IN POCHE PAROLE…
La valutazione ambientale strategica è impugnabile immediatamente, senza attendere la conclusione del procedimento di approvazione del piano cui si riferisce.
C.G.A., sez. giur., sent. 29 giugno 2022, n. 778 – Pres. De Nictolis, Est. Immordino.
“La parte, già ricorrente in primo grado e soccombente nel merito, non è legittimata a sollevare, come motivo di appello, l’inammissibilità od improcedibilità del ricorso di primo grado, per mancanza del requisito della soccombenza sulla questione di rito e per abuso del processo”.
“Il potere del giudice di appello di rilevare d’ufficio la irricevibilità, inammissibilità o improcedibilità del ricorso di primo grado (fuori dal caso del rilievo del difetto di giurisdizione che ha sue regole proprie e speciali), presuppone che il giudizio di appello sia ricevibile ed ammissibile. Nell’ordine logico delle questioni, il giudice di appello esamina prima la ricevibilità e ammissibilità del giudizio di appello e, solo superata tale fase, può esaminare d’ufficio questioni di rito relative al giudizio di primo grado”.
A margine
La sentenza annotata conferma l’indirizzo maggioritario della giurisprudenza, secondo cui la VAS è un atto autonomamente impugnabile, per cui non è necessario attendere il provvedimento finale di approvazione del PRG per farne valere i relativi vizi.
La sentenza, tuttavia, si segnala perché risponde in modo esauriente ad una domanda di particolare interesse: il ricorrente risultato soccombente, in sede di appello, può sollevare questioni di inammissibilità ed improcedibilità del ricorso di primo grado, nonostante il difetto di soccombenza in rito e il conseguente divieto di abuso del processo?
Il caso
Un Comune siciliano ha proposto appello avverso la sentenza del TAR di Palermo n. 284/2020, con cui è stato in parte accolto il ricorso proposto per l’annullamento del decreto del Dirigente generale del Dipartimento dell’Ambiente, che condizionava il parere favorevole di valutazione ambientale strategica (VAS) a quattro distinte prescrizioni da recepire in sede di approvazione finale del piano regolatore generale dell’Ente Locale in questione.
Nello specifico, il TAR dichiarava illegittima la prescrizione n. 2, ma legittime le restanti tre, alla luce della stessa ratio sottostante alla disciplina della valutazione ambientale strategica contenuta nel d.lgs. n. 152/2006, che costituirebbe una normativa dall’importanza primaria in quanto funzionale alla “preservazione ambientale del territorio, attraverso la sottoposizione di alcuni piani e programmi – tra i quali i P.R.G. – al giudizio di una apposita commissione che esprime valutazioni vincolanti per le successive fasi di approvazione del progetto”.
La valutazione ambientale avrebbe infatti proprio lo scopo di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e di contribuire all’integrazione di considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione, dell’adozione e approvazione di piani e programmi, assicurando, secondo quanto esposto dallo stesso art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006, che quest’ultimi siano coerenti e contribuiscano a favorire le migliori condizioni per uno sviluppo sostenibile.
Sul punto, in secondo grado, l’appellante sollevava diversi motivi, attraverso i quali contestava la pronuncia precedentemente emessa, tanto a livello di rito quanto più propriamente di merito.
Si costituiva la Regione Sicilia – Dipartimento Regionale dell’Ambiente.
La sentenza
Interesse all’appello – E’ opportuno focalizzare l’attenzione sul primo profilo del primo motivo di appello attinente la parte in cui il Comune chiedeva di dichiarare inammissibile il ricorso di primo grado in quanto la VAS sarebbe un atto endo-procedimentale.
In altri termini, parte appellante, già ricorrente in primo grado, nel suo atto sosteneva che l’Organo giudicante chiamato a dirimere la controversia avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso di primo grado, da lei stessa proposto, dal momento che la VAS sarebbe impugnabile solo con il provvedimento finale di approvazione del PRG.
Nel corso dell’udienza pubblica, sottoposta al contraddittorio delle parti questa auto-eccezione di inammissibilità, la difesa del Comune metteva in luce come non sembrerebbero esservi ostacoli al suo accoglimento, dal momento che si tratterebbe di una questione di rito rilevabile d’ufficio da parte del giudice.
L’Autorità giudicante, però, dichiarava inammissibile il motivo, articolando la propria argomentazione su tre distinti ordini di ragioni, nonché su una considerazione conclusiva presentata a titolo di completezza.
Anzitutto, veniva evidenziato che, come in primo grado, anche in sede di appello l’interesse a ricorrere costituisce condizione dell’azione. Un interesse che “nei giudizi di impugnazione presuppo[rrebbe] la soccombenza”. Tuttavia, nel caso di specie, a fronte di una sentenza che ha però parzialmente accolto le doglianze proposte innanzi al TAR e che veniva impugnata dall’Ente locale sollevando in secondo grado una questione di inammissibilità che riguarderebbe invero il ricorso nel suo complesso per un vizio non affrontato nella pronuncia stessa, vi sarebbe un difetto di una simile ipotesi di soccombenza e quindi anche di interesse. “Un conto è sollecitare il giudice di appello ad esercitare i suoi poteri ufficiosi per […] questioni di rito rilevabili d’ufficio, un conto è articolare un motivo di impugnazione a cui la parte non ha alcun interesse per difetto di soccombenza”.
Infatti, proprio il principio dell’interesse all’impugnazione comporterebbe l’impossibilità per la parte che ha proposto ricorso di primo grado di “auto-eccepire” in appello, contro se stessa, l’inammissibilità della propria azione.
Divieto di abuso del processo – Statuizione che si baserebbe anche su un secondo fondamento, dato dal divieto di abuso del processo. Infatti, se “la parte soccombente in primo grado venisse ammessa a contestare in appello l’ammissibilità della propria azione processuale, con conseguente annullamento senza rinvio del giudicato sfavorevole, questo varrebbe a cancellare un giudicato negativo e a rimettere la parte in pista, ad esempio, per articolare domande risarcitorie, per così dire “a terreno vergine”. Se è comprensibile, nel “gioco delle parti” un siffatto interesse, tuttavia, si tratta di un interesse “illegittimo” e va ribadito che il processo […] è una risorsa scarsa cui tutti gli utenti devono accostarsi con serietà”. Al più, ricorda l’Organo giudicante, anziché presentare un simile motivo di impugnazione, radicando un giudizio di appello al solo fine di far dichiarare inammissibile il proprio originario ricorso, la parte avrebbe potuto avvalersi, già in primo grado, dell’ampio strumentario di mezzi garantito dall’ordinamento giuridico, “quali la rinuncia al giudizio o la declaratoria di sopravvenuto difetto di interesse”.
Potere o meno del giudice di rilevare d’ufficio l’inammissibilità – Come terzo argomento posto a base della risoluzione prospettata, invero pur sempre ricollegato a quanto precedentemente esposto, il CGRS affermava che l’assunto di parte appellante con riguardo alla possibilità di rilevare d’ufficio un simile vizio non sarebbe in concreto accoglibile anche per due ulteriori aspetti.
In primo luogo, “il potere del giudice di appello di rilevare d’ufficio la tardività, inammissibilità o improcedibilità del giudizio di primo grado, a prescindere da uno specifico motivo di appello o eccezione di parte (e fuori dal caso del rilievo del difetto di giurisdizione che ha regole proprie e speciali) costituisce un posterius rispetto alla corretta instaurazione del giudizio di appello e presuppone che il giudizio di appello sia a sua volta ricevibile e ammissibile”.
Ne conseguirebbe che la questione dell’interesse all’appello sulla base del criterio della soccombenza sia questione di rito riguardante il giudizio di appello e pregiudiziale rispetto alle ulteriori questioni di rito afferenti al ricorso di primo grado. Dunque, se, come nel caso in esame, il ricorso di appello fosse inammissibile, il giudice si fermerebbe a tale statuizione pregiudiziale, di rilievo dirimente nell’impedirgli di procedere alla verifica della sussistenza delle questioni di rito relative al ricorso di primo grado.
Inoltre, ad un simile rilievo d’ufficio osterebbe anche “il muro invalicabile del giudicato” (ancorché parziale) che si è formato nel presente giudizio sul capo della sentenza favorevole all’appellante. Questo è un aspetto particolarmente significativo e merita di essere ricordato in questa sede. Infatti, la sollevata questione di inammissibilità riguardava l’intero ricorso di primo grado diretto contro una VAS, pur se una parte dello stesso era già stata decisa con effetto di giudicato.
Come potrebbe allora il giudice di appello rilevare d’ufficio una questione che sarebbe capace di travolgere l’intera sentenza se, così facendo, “travolgerebbe (anche) un giudicato”?
Infine, il Collegio sosteneva come la tesi dell’inammissibilità del ricorso di primo grado sarebbe in ogni caso infondata, alla luce del fatto che la VAS sarebbe un atto ritenuto oramai dalla giurisprudenza maggioritaria come autonomamente impugnabile, non necessitando di attendere il provvedimento finale di approvazione del PRG per farne valere i relativi vizi.
La pronuncia annotata contribuisce a fare chiarezza su una disciplina processuale molto complessa ed articolata, che solo un’applicazione concreta, nelle singole fattispecie controverse e nella risoluzione dei successivi giudizi instaurati, permette di comprendere a pieno secondo un assetto ordinato e coerente.
Alessandro Sorpresa