Dopo i 60 giorni successivi alla presentazione della SCIA, l’amministrazione può intervenire esercitando i poteri di autotutela o gli altri poteri sanzionatori previsti dall’art. 19, della legge n. 241/1990. Il privato può sollecitare tale intervento con un’istanza che potrà intervenire in qualsiasi tempo e sulla quale nasce l’obbligo dell’Amministrazione di istruire, attivare nuovamente il procedimento e di concluderlo con un provvedimento espresso

 TAR Veneto, Sez. II, 15 febbraio 2013, n. 230, Pres. Amedeo Urbano, Est. Giovanni Ricchiuto

 Il caso

Un privato, dopo aver diffidato la pubblica amministrazione a verificare la legittimità della D.I.A. (ora S.C.I.A.) edilizia in base alla quale il vicino aveva effettuato alcuni interventi su propri immobili, ha impugnato, ai sensi dell’art. 31 del Codice del processo amministrativo, il silenzio dall’amministrazione stessa serbato sull’ istanza presentata

 La sentenza

Il TAR Veneto, con la sentenza in commento, ha ritenuto che il potere inibitorio dell’attività edizia in seguito alla SCIA può essere esercitato dall’amministrazione solo entro il termine di 60 giorni dalla presentazione della segnalazione, mentre il privato può sollecitare la stessa ad esercitare i controlli, ma sempre se il medesimo termine non sia già spirato. Secondo il Tar, infatti, se si ragionasse in termini diversi, ossia se non si imponesse un “preciso limite temporale all’esperimento del potere inibitorio – si avrebbe l’effetto di legittimare il riesercizio dello stesso potere in qualunque tempo, a seguito di una semplice istanza proposta da un terzo, con l’inevitabile conseguenza di ritenere ammissibile una disciplina in cui la vicenda correlata alla s.c.i.a./dia (e la posizione del dichiarante in particolare) potrebbe rimanere instabile a tempo indefinito e, ciò, quanto meno entro i termini entro i quali è esperibile l’azione avverso il silenzio secondo i principi generali dell’istituto di cui si tratta”.

Decorsi i 60 giorni successivi alla presentazione della segnalazione, l’amministrazione può sempre intervenire esercitando i poteri di autotutela o gli altri poteri sanzionatori previsti dall’art. 19, l.n. 241/1990. A sua volta, il privato può sollecitare tale intervento con un’istanza che potrà intervenire in qualsiasi tempo, risultando irrilevante “il momento in cui l’interessato abbia effettivamente appreso della s.c.i.a. o constatato la lesività dell’attività dichiarata”.

In particolare, quando l’istanza del privato è diretta a sollecitare un intervento in autotutela della pubblica amministrazione, secondo il giudice amministrativo, trattandosi di un “potere in cui sussiste la discrezionalità dell’Amministrazione è, comunque, necessario che il corretto esercizio di detto potere sia preceduto da una previa valutazione delle ragioni di pubblico interesse e, quindi, da un’attività istruttoria diretta a verificare l’istanza del privato, attività istruttoria che deve ritenersi ancora più indispensabile nelle materie sottoposte a DIA o Scia nelle quali la tutela ex art. 31 comma 4 del codice del processo costituisce l’unica forma di tutela possibile.

Per il giudice veneto, quindi, anche alla luce di altre pronunce analoghe, “una volta formatosi il titolo edilizio della d.i.a., l’intervento dell’amministrazione può essere giustificato soltanto nell’ambito di un procedimento di secondo grado di annullamento o revoca d’ufficio, ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies l. n. 241 del 1990, previo avviso di avvio di procedimento all’interessato e previa confutazione, ove ne sussistano i presupposti, delle ragioni dallo stesso eventualmente presentate nell’ambito della partecipazione al procedimento”.

Siccome nel caso di specie l’amministrazione comunale era rimasta inerte dinanzi all’istanza con la quale il privato aveva sollecitato un intervento in autotutela sulla SCIA ritenuta illegittima, il giudice amministrativo conclude imponendo all’amministrazione comunale di istruire ed attivare nuovamente il procedimento e di concluderlo con un provvedimento espresso.

 Conclusioni

La segnalazione di inizio attività (SCIA), soprattutto nella sua definizione legislativa risultante dall’ultima riforma, si presta ad essere letta in maniera differente a seconda del punto di osservazione prescelto. Dalla prospettiva di colui che la presenta, la deprovvedimentalizzazione sottesa alla dinamica amministrativa generata dalla segnalazione certificata rappresenta sicuramente una semplificazione del rapporto tra pubblica amministrazione e cittadino, la quale va a beneficio di quest’ultimo, stante la possibilità di poter avviare l’attività dal momento della presentazione della SCIA. Vista, invece, dalla prospettiva del terzo che ha esigenze di tutelare le proprie situazioni giuridiche soggettive eventualmente lese, l’assenza di un provvedimento implicito indebolisce le garanzie processuali a sua disposizione (qual è l’atto contro cui indirizzare un eventuale ricorso?) e rende difficoltoso ricostruire i modelli di azione cui ricorrere per far valere eventuali ragioni (qual è il rimedio da esperire?).

La difficoltà di porre in equilibrio le due posizioni sinteticamente ricostruite emerge nella pronuncia del  T.A.R. Veneto che si annota.

E’ utile ricordare che, ai sensi dell’art. 19, l.n. 241/1990, oggi, le amministrazioni pubbliche destinatarie di una SCIA hanno sessanta giorni di tempo per verificare la correttezza e regolarità della segnalazione e, in caso negativo, vietare la prosecuzione dell’attività e la rimozione degli eventuali effetti dannosi nel frattempo prodotti. Ciò, però, non significa che – decorsi i 60 giorni –  l’amministrazione non possa più intervenire: residuano, infatti, in capo ad essa sempre i poteri di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies, l.n. 241/1990, e altri poteri inibitori o sanzionatori giustificabili alla luce dell’esigenza di tutelare peculiari interessi della collettività (ad esempio, salute, ambiente, ecc.) o dell’esigenza di reagire a falsità riscontrate nella documentazione presentata dal segnalante.

Sempre l’art. 19, poi, riprendendo in parte quanto affermato dalla giurisprudenza più recente (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 15/2011), ha precisato che “la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’articolo 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”.

Nel caso affrontato dal giudice veneto, il privato aveva chiesto all’amministrazione comunale di verificare la correttezza della SCIA presentata da un vicino ben oltre il decorso dei 60 giorni previsti per legge e, non avendo ricevuto alcuna risposta dall’amministrazione stessa, non potendo impugnare – come visto – la segnalazione e non gli è rimasto che esperire il rimedio previsto dal Codice del processo amministrativo contro il silenzio.

Come fatto dal legislatore in astratto, anche il giudice amministrativo nel caso concreto qui in commento tenta di “operare un non facile contemperamento tra l’interesse del privato a non rimanere perennemente esposto alle conseguenze di un ricorso di un soggetto terzo e, ancora, la necessità di consentire un’effettività della tutela della posizione giuridica del terzo presumibilmente leso da un atto di iniziativa privata”.

In tale prospettiva, secondo il giudice amministrativo, il fattore tempo acquista un’importanza fondamentale al fine di definire le azioni esperibili dal terzo che si ritenga leso dalla SCIA e di individuare i poteri di intervento esercitabili dalla pubblica amministrazione.

 Giuseppe  Piperata*

docente Iuav Venezia, avvocato

 


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