Sebbene sia in fase di elaborazione un regolamento edilizio-tipo secondo quanto stabilisce l’articolo 4 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (il T.U. dell’edilizia), integrato dal comma 1-quinquies  inserito dall’articolo 17-bis, comma 1, del D.L. n. 133/2014, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, alcuni comuni hanno già adottato loro regolamenti, di aggiornamento di quelli vigenti.

L’approccio alla trattazione di questa materia è anche resa difficile  dalla problematica attorno alla demarcazione rispetto alla materia dell’urbanistica. La riforma dell’articolo 117 della Costituzione, con la quale è stata coniata la locuzione governo del territorio, ha infatti indotto la legislazione regionale a ricondurre in essa i regolamenti edilizi, senza considerare che se pur l’urbanistica è materia regionale, la disciplina dell’attività edilizia appartiene alla potestà regolamentare dei comuni, che non può ammettere interferenze, se non nel rispetto di principi fondamentali. In un quadro così delineato l’analisi non appare semplice, soprattutto se si considera che della materia si è riappropriato lo Stato con la previsione di adozione di un regolamento unico.

Nel tempo non breve in cui il processo di formazione si completerà, essendo previsto un iter assai complesso, è entrato in vigore il regolamento edilizio del Comune di Milano, approvato il 2 ottobre 2014. Merita un esame particolare perché ha una sua singolarità. Una sua norma prevede una sorta di aggiornamento permanente, quale si rileva dal suo articolo 3.

Premesso il richiamo, operato dal primo comma, alla regola generale secondo cui le modifiche al regolamento sono di competenza del Consiglio comunale, il secondo comma introduce la figura dell’adeguamento automatico che non segue la riferita regola generale.

Viene infatti previsto l’adeguamento in presenza di normative sopravvenute, ed anche di indirizzi giurisprudenziali che affrontano aspetti interpretativi, o che incidono sui suoi contenuti. La norma appena sopra richiamata stabilisce infatti che il regolamento medesimo (…) è automaticamente aggiornato per adeguarlo a disposizioni di legge, decisioni della Corte Costituzionale e sentenze definitive del Consiglio di Stato (…). Quanto alle modalità attuative, la seconda parte di questo medesimo comma stabilisce che (…)  laggiornamento è effettuato con provvedimento del Direttore cui è affidato il coordinamento delle attività edilizie da pubblicarsi sul sito web del Comune. Si è dunque in presenza di una sorta di automatismo che opera anche al difuori della previsione di aggiornamento annuale affidata ad un apposito osservatorio la cui istituzione è prevista al successivo terzo comma e che ha il compito, entro il 30 giugno di ogni anno, di presentare (…) alla Giunta, ai Consigli di zona, e all’Assessore competente un rapporto sui problemi emersi nell’applicazione del regolamento, presentando eventualmente proposte di modifiche e integrazioni (…). All’Osservatorio, come prevede il comma successivo, possono pervenire segnalazioni di problemi giuridici, procedurali, e tecnici di carattere generale inerenti l’applicazione del regolamento.

Non poche sono le difficoltà interpretative e applicative che queste norme introducono.

La prima questione è quella della sorte di norme di rango inferiore al sopravvenire di altre di rango superiore. Problema non nuovo nella materia dei regolamenti edilizi. Stabilisce l’articolo 121 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e s.m.i. (il T.U. dell’edilizia), in correlazione con il novellato articolo 4, che i comuni e le regioni sono tenuti ad adeguare i propri regolamenti, qualora siano in contrasto con le disposizioni del T.U. medesimo. Come pure nella materia urbanistica, l’articolo 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, stabilisce che le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali della legislazione abrogano le norme regionali che siano in contrasto con esse. Ma nell’un caso e nell’altro l’adeguamento non è automatico. Lo si rileva, per i regolamenti comunali, e per le leggi regionali nella materia dell’urbanistica e dell’edilizia, dal tenore letterale delle norme richiamate (ivi si legge che i comuni e le regioni sono tenuti ad abrogare, secondo l’articolo 121, T.U. Ed. cit. e  che i Consigli Regionali devono apportare alle leggi regionali le conseguenti necessarie modificazioni, secondo l’articolo 10, c. 2, della legge n. 762/1953, cit.).

Il legislatore si era peraltro già preoccupato in via generale, con le leggi 15 marzo 1997, n. 59, e 15 maggio 1997, n. 127, di dettare norme dirette a imporre l’adeguamento delle norme regolamentari alle leggi che disciplinano le medesime materie, nell’obiettivo di ricondurre a una disciplina organica norme disomogenee. Ma anche in questo riordino l’adeguamento e l’aggiornamento delle norme regolamentari resta pur sempre affidato ai competenti organi deliberativi, sia pure con criteri vincolati.

Nella specifica materia dei regolamenti edilizi comunali ha rilievo anche la legge 28 febbraio 1985, n. 47, con la quale si era operato un primo tentativo di porre rimedio al disordine edilizio sanando il passato con il condono e riordinando il futuro, prevedendosi di imporre alle regioni, in forza dell’articolo 25, di (…) definire criteri e indirizzi per garantire l’unificazione dei regolamenti edilizi (…). Prescrizione alla quale la Regione Lombardia ha dato attuazione mediante la predisposizione, con l’articolo 28 della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12, e s.m.i., di uno schema tipo dei regolamenti edilizi comunali, vincolante per le amministrazioni interessate. Schema peraltro non rigido, considerando che vi sono margini di autonomia regolamentare che non possono essere intaccati, come si legge in una sentenza del giudice amministrativo, la numero 227 del 10 febbraio 2008 della IV Sezione del Consiglio di Stato.

Quanto agli effetti che derivano da sentenze della Corte Costituzionale, pure essi produttivi di modifiche e aggiornamento, non è agevole individuare la portata di questa previsione, tenuto conto che le sentenze medesime non intervengono su atti di natura regolamentare, ma su leggi statali, regionali, e delle province autonome, e su provvedimenti aventi forza di legge. La dichiarazione di inefficacia delle norme censurate fa venir meno il supporto normativo del regolamento o del provvedimento che su di esso si basa, e con questo si torna al problema dell’aggiornamento rispetto alle disposizioni di legge, quali rimangono vigenti o abrogate, in forza delle sentenze medesime.

Di ancor minor agevole interpretazione è la parte della norma del regolamento del Comune di Milano che attribuisce effetti caducanti, modificativi, o novativi, alle sentenze definitive del Consiglio di Stato quando la sanzione di nullità colpisce il regolamento o alcune delle sue norme. In dottrina e in giurisprudenza si afferma che si producono effetti caducanti se l’annullamento investe norme regolamentari di carattere generale per ragioni che ne minano alla radice la legittimità, e quindi non più applicabili nei confronti della generalità dei cittadini. Effetti che invece non si verificano, se non in particolari casi, quando l’annullamento interviene su un atto con effetti singolari e che fa stato solo fra le parti. In questa evenienza non vi sono effetti devolutivi.

Occorre inoltre individuare il momento dell’intervenuta defintività, e anche se, superando il dettato letterale, la definitività debba riguardare anche le sentenze dei TAR quando non siano state impugnate, o confermate in sede di appello. Come pure devono avere rilevanza le decisioni sul ricorso straordinario, per la loro stretta affinità con le pronunce giurisdizionali. Occorre anche considerare che le sentenze del Consiglio di Stato sono soggette a revocazione, a opposizione di terzo, e anche al ricorso per Cassazione per motivi di giurisdizione.

Appare infine singolare, sia pure in ambito di attività recettizia, ma che pur sempre presuppone analisi e valutazioni, che venga affidato a un dirigente dell’apparato amministrativo il potere di adeguare le norme intaccate dagli eventi sopra individuati. Questo significa trasferire funzioni che invece competono al Consiglio comunale, che pur sarebbero fatte salve dal ricordato primo comma dell’articolo 3 del regolamento.

Da queste annotazioni, che hanno finito con il porre maggiore attenzione al regolamento del Comune di Milano per la sua forte innovazione in tema di aggiornamento, emerge come ancora sia lontano il raggiungimento dell’obiettivo di uniformità normativa nel delicato campo dell’edilizia.

Mario Bassani


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