E’ illegittima la normativa statale che detta una disciplina puntuale su specifiche tipologie di interventi edlizi, sottraendo qualsiasi spazio alla normativa regionale. Ciò in quanto la disciplina urbanistico – edilizia è ricondubuile alla materia “governo del territorio” , ambito riservato alla normativa statale di principio per la definizione dei criteri e obiettivi e a quella regionale di dettaglio per l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere tali obiettivi.

E’ illegittima la normativa statale che determina un’indebita appropriazione da parte dello Stato di risorse appartenenti agli enti territoriali, privandoli del potere di utilizzazione dei propri mezzi finanziari.

Corte costituzionale, sentenza 9 giugno – 24 luglio 2015, n. 189, Pres. M. Cartabia, Redf. S. Sciarpa


A margine

Le norme dichiarate costituzionalmente illegittime dal Giudice delle leggi, con la sentenza in esame, sono:

a) per violazione dell’art. 117, commi 3 e 4, della Costituzione, l ’art. 41, c. 4, del d.l. n. 69 del 2013, che ha novellato l’art. 3, comma 1, lettera e 5), del Testo unico in materia edilizia, ove sia inteso nel senso di includere tra gli interventi di nuova costruzione ‒ per i quali è richiesto il permesso di costruire ‒ l’installazione di «manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee», «ancorché siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno dei turisti», sarebbe in contrasto con l’art. 117, terzo e quarto comma, in quanto sottrarrebbe illegittimamente i richiamati interventi alla competenza delle Regioni in specie in materia di turismo (questa disposizione, in effetti, seppure modificata dall’art. 10-ter, del D.L. 28 marzo 2014, n. 47, con la sostituzione della parola “ancorchè” con “salvo che”, ha avuto comunque  un’applicazione per un determinato periodo che giustifica l’intervento della Corte) (in senso conforme alla pronuncia, fra l’altro, sentenze n. 278 del 2010; n. 16 del 2010, n. 340 del 2009, n. 401 del 2007);

b) per violazione dell’art. 117, comma 3, e dell’art. 119 della Costituzione, l’art. 56-bis, c. 11, del d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui impone un vincolo di destinazione a favore del Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato sulla quota del 10 per cento delle risorse derivanti dall’alienazione dell’originario patrimonio immobiliare disponibile delle Regioni, in quanto “determina una indebita appropriazione da parte dello Stato di risorse appartenenti agli enti territoriali, in quanto realizzate attraverso la dismissione di beni di loro proprietà e, con ciò, sottrae ad essi il potere di utilizzazione dei propri mezzi finanziari, che fa parte integrante di detta autonomia finanziaria, funzionale all’assolvimento dei compiti istituzionali che gli enti territoriali sono chiamati a svolgere” ( in senso conforme, sentenza n. 63 del 2013).

Si tratta, com’è noto, di questioni su cui la Corte costituzionale si è più volte pronunciata in passato a favore delle Regioni e degli enti locali. I precedenti non hanno impedito, tuttavia, allo Stato di ritentare ancora una volta con il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, di impadronirsi di spazi normativi e di risorse finanzarie appartenenti alle autonomie territoriali.

In mancanza di attuazione della riforma del titolo V della Costituzione, continua il ruolo di supplenza della giurisprudenza costituzionale, come confermano i dati contenuti nella relazione su “La giustizia costituzionale nel 2014”, pubblicata il 12 marzo  2015, da cui risulta  il persistente  rilevante numero di decisioni nel giudizio in via principale (91), che, ancorchè in diminuzione rispetto al 2013 (120 sentenze e 29 ordinanze) e al 2012 (116 sentenze e 34 ordinanze), è ancora troppo elevato dopo 14 anni dalla riforma del titolo V (legge costituzionale n. 3/2001) .  E se dovesse raggiungere il traguardo la nuova riforma costituzionale in cantiere, il rischio reale è che il contenzioso aumenti in misura insostenibile.


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