Grava sul richiedente l’onere di fornire la prova sulle condizioni e sulla consistenza dell’abuso edilizio e sull’epoca della sua realizzazione, anche se si tratta di dimostrare l’esistenza del manufatto in epoca estremamente risalente; mentre spetta all’amministrazione il compito di controllare i dati forniti che, se non assistiti da attendibile consistenza, implicano la reiezione dell’istanza di sanatoria.
La domanda di accertamento di conformità ex articolo 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 non determina la definitiva perdita di efficacia del precedente ordine di demolizione, ma solo la sua sospensione temporanea, con la conseguenza che esso riprende efficacia in caso di rigetto dell’ istanza di sanatoria.
È irricevibile l’istanza di accertamento di conformità in mancanza di autorizzazione paesaggistica, dato che, fuori dai casi di cui all’art. 167, commi 4 e 5, del d.lgs. 42/2004, tale autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi.
La natura vincolata del provvedimento di rigetto dell’istanza di sanatoria edilizia, in mancanza dell’autorizzazione paesaggistica, esclude la necessità, ai sensi dell’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990, del preavviso di rigetto ex art. 10-bis della stessa legge n. 241.
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 10 marzo 2020, n. 1727 – Pres. R. Greco, Rel. G. Orsini
La vicenda – Il ricorrente ha impugnato l’ordinanza di demolizione delle opere ritenute abusive insistenti sul proprio fondo e il provvedimento di rifiuto dell’istanza di accertamento di conformità presentata in pendenza del giudizio amministrativo di primo grado.
L’abuso, in particolare, riguardava la realizzazione di una tettoia con struttura portante in ferro e copertura in lamiera coibentante di circa 40 mq in terreno destinato ad azienda agricola.
La sentenza di primo grado – Il TAR Campania (sez. IV, sentenza n. 21570/2008) ha ritenuto il ricorso originario improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse e infondate le censure proposte con i motivi aggiunti.
Il Giudice amministrativo, in particolare, ha ritenuto improcedibile il ricorso in quanto “la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità, ex articolo 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, successivamente all’impugnazione dell’ordinanza di demolizione” aveva prodotto “l’effetto di rendere inammissibile l’impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse”.
Per quanto attiene ai motivi aggiuntivi, lo stesso Giudice, qualificato l’intervento come nuova costruzione e non come manutenzione straordinaria, ha ribadito l’irricevibilità dell’istanza di accertamento di conformità in carenza di autorizzazione paesaggistica “dal momento che ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, fuori dai casi di cui all’art. 167, commi 4 e 5 [1], l’autorizzazione paesaggistica “non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi”. E ha sostenuto che spetta al ricorrente, e non all’Amministrazione, l’onere di dimostrare che il manufatto su cui insiste la tettoia fosse originariamente assistito da titolo abilitativo o comunque risalente ad un periodo antecedente al 1935, epoca in cui è stato introdotto l’obbligo di richiedere la licenza edilizia per le opere da realizzare nel Comune di cui trattasi.
L’interessato ha appellato al Consiglio di Stato la sentenza di primo grado adducendo diversi motivi di gravame.
La sentenza di appello – Il Consiglio di Stato ha ritenuto di non doversi discostare dalle conclusioni del Giudice di prime cure e, pertanto, ha respinto l’appello.
Il massimo Consesso di giustizia amministrativa, in particolare, ha condiviso le conclusioni del giudice di prime cure in ordine alla improcedibilità del ricorso originario (n. 2926/2008), confermando che la più recente giurisprudenza ha affermato il principio in base al quale la domanda di accertamento di conformità ex articolo 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 non determina la definitiva perdita di efficacia del precedente ordine di demolizione, ma solo la sua sospensione temporanea (con la conseguenza che essa riprende efficacia in caso di rigetto della domanda di sanatoria).
Il Collegio ha confermato anche che spetta al richiedente la sanatoria edilizia l’onere di provare la sussistenza dei presupposti e requisiti normativamente previsti (cfr. in tal senso Cons. St., sez. VI, n. 5537/2019), e che tale regola si applica anche quando si tratta di dimostrare l’esistenza del manufatto in epoca estremamente risalente.
Il Consiglio di Stato, infine, ha respinto l’eccezione di omessa notifica del preavviso di rigetto ex art, 10-bis della L. n. 241 del 1990: attesa la natura vincolata del provvedimento di irricevibilità dell’istanza di sanatoria in mancanza di autorizzazione paesaggistica, al caso di specie si applica l’articolo 21 octies, legge n. 241 del 1990 [2].
[1] Art. 167 D.lgs. n. 42 del 2004 “4. L’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.
5. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni […]”.
[2] Art. 21, octies, L. 241 del 1990 ” 2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. […]”.