La pubblicazione del Testo Unico delle partecipate (cd. Decreto Madia), avvenuta recentemente con la Gazzetta Ufficiale dell’8 settembre 2016, ha consentito di definire e chiarire il regime transitorio da rispettare per l’adeguamento, anche statutario, alle nuove disposizioni introdotte dal D.Lgs. 175/2016.

In effetti, le novità del provvedimento si presentano indubbiamente significative e sono destinate a produrre un certo impatto sulla struttura e sul funzionamento delle società pubbliche già esistenti, richiedendo un arco temporale finalizzato a recepire le scelte operate in via legislativa, dovendo invece essere direttamente applicate nelle realtà in fase di costituzione.

In tale quadro di riferimento, di fondamentale importanza si rivela l’art. 26, che fissa, specificamente per le società a controllo pubblico, il termine di adeguamento del 31 dicembre 2016, con una scelta che – invero – non si presenta del tutto felice, proprio in considerazione della tempistica con la quale è avvenuta la pubblicazione del provvedimento.

Da un lato, infatti, l’arco temporale appare eccessivamente breve, considerando sia i passaggi intermedi che possono rendersi necessari, soprattutto in presenza di una pluralità di soci pubblici, sia per gli elementi di rilevante novità da implementare (si pensi, tra i molti, alle regole fissate dall’art. 3 per gli organi di controllo).

Dall’altro lato, invece, il termine indicato non si rivela del tutto coerente con altre tempistiche pure definite dallo stesso provvedimento, che possono costituire un presupposto degli adeguamenti statutari: è sufficiente evidenziare, al riguardo, la previsione di cui all’art. 11, comma 3, che ipotizza un termine di 6 mesi per emanare il decreto ministeriale finalizzato ad individuare le condizioni che legittimano il ricorso ad un organo amministrativo collegiale ovvero ai sistemi alternativi di governance.

Nel mentre, tra l’altro, entro i 30 giorni successivi all’entrata in vigore del Testo Unico (e quindi entro il 23 ottobre 2016), dovrebbe essere emanato il decreto ministeriale che, attraverso una classificazione delle società pubbliche sino a cinque fasce dimensionali, individua il limite dei compensi massimi al quale fare riferimento per la determinazione del trattamento economico spettante agli amministratori, ai componenti degli organi di controllo, ai dirigenti ed ai dipendenti.

Il termine di 6 mesi, inoltre, sempre sulla base di quanto disposto dall’art. 26, è selezionato anche per rendere conforme alla nuova disciplina, recata dall’art. 11, comma 8, la composizione degli organi amministrativi. Quest’ultima disposizione, infatti, stabilisce che gli amministratori delle società a controllo pubblico non possono essere dipendenti delle amministrazioni pubbliche controllanti o vigilanti.

Da segnalare pure, per le amministrazioni pubbliche, dal momento che assume particolare rilievo, il chiarimento esplicitamente offerto in ordine al coordinamento temporale tra il piano di revisione straordinaria delle partecipazioni (di cui all’art. 24) ed il piano di razionalizzazione periodica (di cui all’art. 20), finalizzato anche ad evitare possibili sovrapposizioni.

Il primo è immediatamente operante, di conseguenza occorre che le amministrazioni partecipanti vi provvedano entro il termine di 6 mesi puntualmente individuato, mentre il secondo “scatterà” a partire dall’esercizio 2018, seppure con riferimento alla situazione in essere al 31 dicembre 2017.

Infine, è utile ricordare che nessuna indicazione transitoria è prevista in relazione agli obblighi disposti, per le amministrazioni pubbliche, dall’art. 11, comma 16. Quest’ultimo, in particolare, stabilisce che, nelle società a partecipazione pubblica (quindi non in controllo pubblico), le amministrazioni titolari di una partecipazione superiore al 10% devono proporre agli organi societari l’introduzione di misure analoghe a quelle previste per il contenimento dei compensi ed emolumenti nelle società controllate.

 

 


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