Posto che l’affidamento in house, al ricorrere dei requisiti prescritti, ha natura ordinaria e non eccezionale, la legittimità della scelta non dipende in alcun modo dall’entità della partecipazione, essendo sufficiente una quota ultra minoritaria al capitale della società pubblica per dare corso all’affidamento diretto del servizio senza gara
Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza n. 4902 del 24 ottobre 2017 – presidente Frattini, relatore Calderoni
A margine
Fatto – Un’impresa, affidataria uscente di alcuni servizi collegati ad attività farmaceutiche, richiede la riforma della sentenza di primo grado per l’annullamento dell’affidamento in house disposto da un’azienda sanitaria nei confronti di una propria società partecipata.
Ad avviso della ricorrente, l’AUSL non ha adeguatamente motivato le ragioni del mancato ricorso al mercato e dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta; insussistente sarebbe anche il requisito del controllo analogo dell’azienda sanitaria sulla società partecipata stante l’esiguità della relativa partecipazione (pari al 4,10%)
Sentenza – Il Consiglio di Stato, ribadita la natura ordinaria e non eccezionale dell’affidamento in house (sentenze, Sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 762; Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 257; Sez. V, 18/07/2017, n. 3554), ricorda che, sulla base della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE 29 novembre 2011 – causa C-182/2011), ai fini del controllo analogo “congiunto”, non si richiede che ciascuno degli enti pubblici partecipanti possa esercitare un potere individuale sull’entità esterna, bensì che “ciascuna delle autorità stesse partecipi sia al capitale, sia agli organi direttivi dell’entità suddetta”.
La stessa Corte di Giustizia non ha previsto una quota minima di partecipazione al capitale sociale, ritenendo a tal fine idonea anche una quota ultra minoritaria dello 0,1% del capitale di una società interamente pubblica.
Rispetto all’ulteriore presupposto dell‘effettiva partecipazione dell’ente socio agli organi direttivi, esso può ritenersi soddisfatto, o direttamente, o tramite la partecipazione a ”cordate” di soci, allorquando tale partecipazione venga garantita a tutti i sottoscrittori (esclusivamente pubblici) del capitale.
Del resto, è la stessa direttiva 2014/24/UE, a chiarire che “singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni partecipanti” non essendo pertanto necessario che tutti i soci possiedano un proprio rappresentante all’interno del consiglio di amministrazione, ben potendo essere rappresentati congiuntamente, sia pure in posizione di minoranza.
Quanto alle modalità dell’influenza degli enti soci sul governo della società, lo statuto di quest’ultima prevede, allo scopo, l’utilizzo dello strumento convenzionale, sia a livello orizzontale (apposita convenzione “quadro” tra gli enti soci), sia a livello verticale (singole convenzioni tra soci e società).
Nel caso di specie, la convenzione stipulata tra i soci prevede la costituzione di una “Conferenza di coordinamento”, composta dai rappresentanti legali degli enti o loro delegati, “per garantire l’azione unitaria e coordinata dei soci sull’attività e sul governo della società e per consentire l’utilizzo di modalità omogenee da parte di ciascun socio nello svolgimento dei controlli sulla società medesima secondo i profili dell’esattezza, della regolarità, dell’economicità, dell’efficienza, dell’efficacia e della razionalità”.
Le funzioni di questa Conferenza si traducono nell’impartire direttive per il perseguimento degli indirizzi e degli obiettivi determinati annualmente dall’assemblea, nell’individuare criteri omogenei di remunerazione delle attività svolte a favore dei soci, nello stabilire forme di controllo sulla qualità dei servizi e nel definire gli indirizzi strategici valevoli per il mandato dei rappresentanti degli Enti soci nominati nel consiglio di amministrazione al fine di assicurare la coerenza tra le competenze esercitate e le funzioni di indirizzo e controllo spettanti ai soci.
In altri termini, la Conferenza è titolare di attribuzioni pregnanti e incisive e non, come sostenuto dalla ricorrente, di “poteri latamente partecipativi, non di reale impulso, pressoché di informazione e di generica vigilanza sull’operato della società, che non comportano l’effettiva capacità di influenzarne le scelte gestionali e gli obiettivi strategici”.
Per la sussistenza del controllo analogo, depongono anche le previsioni dello statuto della società che attribuiscono all’assemblea (col voto favorevole di tanti Soci che rappresentino almeno l’80% del capitale sociale) l’approvazione degli atti di indirizzo, degli obiettivi dell’azione societaria e dei piani pluriennali di attività, conferendo al Consiglio di amministrazione solo un potere di proposta circa gli stessi.
Inoltre, la specifica convenzione bilaterale tra la società partecipata e i singoli Enti prevede l’obbligo, per la prima, di fornire all’Ausl atti, relazioni e documenti al fine di adempiere alle funzioni attribuite in sede di Conferenza di coordinamento; di segnalare immediatamente alla stessa Ausl e alla Conferenza ogni eventuale disservizio e le misure adottate per la sua risoluzione, nonché, la facoltà per Ausl di “indire” riunioni anche urgenti con personale qualificato della società per affrontare problemi emersi o sviluppi dell’attività da svolgere; di far accedere proprio personale designato a uffici e locali della società per verificare le modalità di svolgimento delle attività; di fornire alla società indicazioni e direttive in merito al servizio commissionato, il tutto naturalmente nel rispetto del programma generale concordato e dell’equilibrio economico-finanziario e tecnico-operativo del rapporto.
Per quanto riguarda la prevalenza dell’attività in favore degli enti partecipanti, l’appellante contesta la possibilità, prevista dallo statuto della società aggiudicataria in house, di svolgere altre attività così lasciando intravvedere una vocazione della stessa di carattere commerciale.
Al riguardo, il Collegio osserva che con la sentenza Teckal (C. giust. CE, 18 novembre 1999, C-107/98) è stato da tempo chiarito come l’affidamento diretto in house sia legittimo se l’affidatario realizza “la parte più importante” (o preponderante o prevalente) della propria attività con l’ente o con gli enti che lo controllano: dunque, non è richiesta l’esclusività dell’attività in favore degli enti controllanti.
Coerentemente a tale principio, lo statuto della società prevede che le altre attività svolte dalla stessa debbano rivestire carattere residuale, rispettoso dell’oggetto sociale e funzionale agli interessi dei soci pubblici.
Per quanto attiene alle motivazioni addotte da Ausl ai fini dell’affidamento in house del servizio, il giudice amministrativo osserva che la determinazione impugnata in primo grado ha espressamente valutato la congruità della proposta economica di quest’ultima sulla scorta di 3 fattori:
– comparazione con le tariffe applicate dall’attuale fornitore;
– benefici in termini di riduzione dei costi Iva;
– efficienza ed economicità del servizio complessivamente svolto dalla società in favore delle aziende del servizio sanitario regionale.
Bene ha fatto l’Auls a non tener conto dei prezzi da ultimo proposti dalla ricorrente prendendo in considerazione le sole tariffe in corso, trattandosi di prezzi proposti in sede di mera proroga tecnica del servizio.
E’ poi da escludersi la lamentata violazione dei principi in materia di concorrenza e aiuti di stato, in quanto la società affidataria in house gode legittimamente dell’esenzione Iva prevista dall’art. 132 della Direttiva del Consiglio dell’Unione Europea 28/11/2006, n.112, svolgendo attività strettamente connesse con le cure mediche, comunque facenti parte del servizio sanitario nazionale.
A questo si aggiunga l’evidenza dei vantaggi che possono derivare (in termini di sinergie informative e organizzative, tariffazione unitaria, ecc.) dalla prospettiva dello svolgimento in forma integrata del servizio, ad opera di un unico soggetto partecipato e in favore dell’insieme delle Aziende sanitarie operanti nella regione, rispetto a uno scenario che veda l’affidamento parcellizzato del servizio, azienda per azienda, a fornitori potenzialmente differenti:
La motivazione addotta da AUSL nella determinazione impugnata in primo grado risulta quindi essere esente da vizi macroscopici tali da poter essere censurati dal Giudice amministrativo.
Da ultimo va altresì disattesa la doglianza secondo cui la società affidataria in house avrebbe previsto l’esternalizzazione, tramite gara, di una parte definita “non marginale” del proprio fatturato. Secondo il collegio, infatti, l’affidamento in house non può implicare alcun divieto in sé di rivolgersi al mercato esterno per determinati servizi.
Stefania Fabris