Il dibattito sviluppatosi nel corso del 2013 sulla possibilità di trasformare le società in house in aziende speciali, per la prosecuzione della gestione di servizi pubblici locali a rilevanza economica, non aveva risolto tutti i dubbi.

Ma adesso, su sollecitazione della sezione regionale Piemonte, ci ha pensato la Sezione Autonomie della Corte dei conti, con la deliberazione n. 2 del 21 gennaio 2014, a diradare le nebbie.

La mancata tipizzazione del percorso di trasformazione, sia in sede civilistica sia in sede pubblicistica, è di ostacolo al suo perfezionamento (ed alla conseguente gestione in continuità del servizio pubblico locale a rilevanza economica) ?

No, assolutamente no! Anzi!

A)    Il superamento della “tassatività” civilistica

L’art. 2500 – septies del codice civile, intestato “Trasformazione eterogenea da società di capitali”, prefigura la trasformazione delle società di capitali in consorzi, società consortili, società cooperative, comunioni di aziende, associazioni non riconosciute, fondazioni.

Non contempla, invece, il passaggio da società di diritto privato a ente di diritto pubblico (ente pubblico economico/azienda speciale).

Nel contempo, però, non lo vieta, a fronte delle argomentazioni che seguono.

1)     La persistente applicabilità del principio di continuità aziendale, a garanzia del patrimonio.

L’imprescindibile/immanente principio di continuità aziendale, codificato dall’art. 2498 del codice civile, secondo cui, con la trasformazione, l’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti – anche processuali – dell’ente che ha effettuato la trasformazione, può trovare applicazione anche alla fattispecie in esame, in quanto la logica della continuità va ascritta alla dimensione “oggettiva” dell’azienda, intesa come complesso di beni funzionalmente orientato allo svolgimento di attività d’impresa, e non ai “ristretti” modelli “soggettivi” di gestione di tali beni. Banalizzando, il principio di continuità funziona anche senza l’esplicita ricomprensione dell’azienda speciale nell’alveo degli enti risultanti dal percorso di trasformazione. Trattasi di una delle molteplici declinazioni del sovraordinato principio di economia dei mezzi giuridici.

Questa impostazione consente, quindi, di acquietare i timori provocati dal paventato rischio di dispersione/disgregazione del patrimonio aziendale, proprio grazie all’assenza di latenze nella conduzione dell’organizzazione produttiva.

2)     La conservazione del principio di separazione dei patrimoni, a garanzia di terzi e creditori.

L’azienda speciale, costituente il prodotto finale del percorso di trasformazione, mantiene la dimensione da “patrimonio separato, non confuso ed inframmezzato”, propria della società di capitali originaria, in contesto, quindi, di preservazione delle garanzie di terzi e creditori, oltre che di persistenza dei necessari raccordi con la pubblica amministrazione proprietaria.

Questa impostazione consente di superare la giurisprudenza ordinaria, che si è dimostrata contraria ad estensioni analogiche della portata delle trasformazioni, proprio per evitare il fenomeno dell’occultamento dei patrimoni, e quindi la vanificazione delle tutele poste dall’ordinamento a garanzia dei creditori.

B)    Il superamento della “tassatività” pubblicistica

La dimensione formale civilistica si gemma in ambito pubblicistico, con la seguente “aggravante”:non solo non esistono norme che prevedano la trasformazione delle società di capitali in house  in aziende speciali, ma addirittura sono presenti disposizioni (l’art. 115 TUOEL e l’art. 35, comma 8 della L. n. 448/2001) che si muovono in direzione “ostinata e contraria”, prefigurando la trasformazione delle aziende speciali in società di capitali.

“A contrariis”, sembrerebbe potersi dedurre da questa apparente prospettiva un divieto di trasformazione delle società di capitali in aziende speciali, con i nobili fini di arginare i fenomeni elusivi dei vincoli di finanza pubblica, ridurre le strutture intermedie tra pubblica amministrazione e collettività amministrata, contrarre spese ingenti e fuori controllo, preservare sistemi contabili più articolati e trasparenti, in coerenza con l’evoluzione dell’ordinamento dei servizi pubblici locali.

Ma il divieto non regge, a fronte delle confutazioni che seguono.

1)     L’abbandono dell’originaria dimensione di favore per le società

L’originaria dimensione di favore per la trasformazione delle aziende speciali in società di capitali, a garanzia della piena esplicazione del mercato, appartiene, oramai, ad un mondo superato, connotato dal convincimento di un miglior perseguimento dell’interesse pubblico attraverso il ricorso ad istituti di diritto comune.

Ebbene, tale convincimento è stato sbalzato dall’esponenziale proliferazione di società partecipate, che:

– muovendosi in regime di sostanziale monopolio, hanno recato serie ferite alle dinamiche concorrenziali;

– hanno fatto comunque proliferare la spesa pubblica (chiamando al ripiano gli enti proprietari);

– sovente, non hanno conseguito risultati di gestione positivi.

2)     Gli effetti proattivi del referendum abrogativo del 2011

Il referendum abrogativo del 2011 ha fatto venire meno ogni divieto assoluto alla gestione diretta o mediante azienda speciale dei servizi pubblici locali a rilevanza economica.

Ha, altresì, comportato l’implicita abrogazione delle norme sollecitanti la trasformazione delle aziende speciali in società, essendo sottese alle concezioni sconfitte dalla vittoria referendaria.

Tali norme, d’altronde, vanno considerate “scadute”, a fronte della decorrenza delle tempistiche d’attuazione in esse prefigurate.

3)     L’evoluzione del quadro normativo dimostra la rivitalizzazione delle aziende speciali.

Lo sviluppo del quadro normativo di disciplina dei servizi pubblici locali, negli ultimi anni, non si è più di tanto direzionato verso la circoscrizione dei modelli gestori; piuttosto, si è preoccupato delle ricadute economiche delle attività esternalizzate sui bilanci degli enti soci. Vanno colte, in tal senso, le misure di razionalizzazione e contenimento della spesa prodotta dagli enti strumentali.

Il nuovo quadro normativo ha poi finito col puntare nuovamente sull’azienda speciale, nel perseguimento dei suoi intenti di “governance al risparmio”.

Lo dimostrano le recenti novelle legislative dell’azienda speciale: non si regolamenta di sicuro una dimensione già morta!  

Certo, le ultime disposizioni non forniscono alle aziende speciali “carta bianca” e riportano la solita logica deflattiva della spesa. In tal senso:

– la riforma dell’art. 114 TUOEL mira a rendere trasparenti i conti delle aziende speciali, attraverso l’obbligo di iscrizione delle stesse e di deposito dei relativi bilanci presso il Registro delle Imprese o il Repertorio delle Notizie economico/amministrative tenuto dalle C.C.I.A.A.

– i commi da 550 a 562 dell’articolo unico della legge di Stabilità 2014, le ascrivono pienamente al contesto del concorso al conseguimento degli obblighi di finanza pubblica attraverso: l’assoggettamento a principi di sana gestione dei servizi, secondo criteri di economicità ed efficienza; l’imposizione di accantonamenti di risorse agli enti proprietari, per i casi di risultati di esercizio o saldi finanziari negativi; l’imposizione della messa in liquidazione, in caso di perdite pluriennali; la sottoposizione a specifici vincoli di spesa in materia di personale, ecc.

Ovviamente, il Legislatore, fresco delle scottature subite dalle società partecipate, non ha potuto ripetersi nell’ “ingenuità” ed ha dovuto prevenire qualsiasi preoccupazione di elusione dei vincoli di finanza pubblica.

Tuttavia, il solo fatto di avere ritirato esplicitamente “in ballo” le aziende speciali, con disposizioni successive a quelle di esplicito disfavore, comprova:

– la piena vitalità delle aziende speciali, oltre che;

– l’abrogazione tacita delle norme che ne imponevano la trasformazione in società di capitali e correlativamente vietavano loro la gestione di servizi pubblici economici a rilevanza economica.

Per stare ancora più tranquilli, è sufficiente supportare le operazioni di trasformazione con attività di revisione economico/patrimoniale  delle società trasformande, a garanzia dei terzi e dell’ente istitutore: parola di Corte dei conti!   

Roberto Maria Carbonara,

Segretario generale del comune di Segrate


Stampa articolo