L’art. 1, co. 568-bis, della legge n. 147/2013 non può trovare applicazione nei confronti delle farmacie comunali gestite attraverso società costituite ai sensi dell’art. 9, primo comma, lettera d), della legge n. 475 del 1968

Corte costituzionale, sentenza n. 116, depositata il 31 maggio 2018 – Presidente Lattanzi, redattore de Pretis

Il caso

La sentenza ha ad oggetto la legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 568-bis, della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014), inserito dall’art. 2, comma 1, lettera a-bis), del decreto-legge n. 16/2014, convertito, con modificazioni, dalla L. 68/2014.

Questa norma prevede che: Le pubbliche amministrazioni locali … e le società da esse controllate direttamente o indirettamente possono procedere:

a) allo scioglimento della società, consorzio o azienda speciale controllata direttamente o indirettamente…

b) all’alienazione, a condizione che questa avvenga con procedura a evidenza pubblica deliberata non oltre dodici mesi ovvero sia in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, delle partecipazioni detenute alla data di entrata in vigore della presente disposizione e alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni a decorrere dal 1º gennaio 2014. In caso di società mista, al socio privato detentore di una quota di almeno il 30 per cento alla data di entrata in vigore della presente disposizione deve essere riconosciuto il diritto di prelazione….”

La questione sorge nel corso di un giudizio promosso avanti il Tar del Lazio, da un farmacista, socio privato in una società comunale, costituita ai sensi dell’art. 9, primo comma, lettera d), della legge 2 aprile 1968, n. 475 (Norme concernenti il servizio farmaceutico) e s.m.i..

Tale disposizione consentiva sin dal 1968 la gestione delle farmacie comunali a mezzo di società di capitali, costituite tra il comune e i farmacisti che prestavano servizio presso tali farmacie, i quali dovevano cessare il proprio rapporto di lavoro dipendente con il comune all’atto della costituzione della società.

In questo contesto normativo un Comune costituiva una società a responsabilità limitata, cedendo il 49% del capitale sociale al farmacista ricorrente, il quale, oltre a rinunciare al rapporto di lavoro, conferiva un’ingente somma per acquisire la partecipazione sociale.

Materia del contendere è la deliberazione con cui il Comune, in applicazione dell’art. 1, comma 568-bis, lettera b), della legge n. 147 del 2013, ed in ragione dello squilibrio economico finanziario registrato nei bilanci societari per gli anni dal 2009 al 2013, ha stabilito il passaggio dalla gestione diretta della farmacia comunale (a mezzo di società di capitali costituita tra il Comune e i farmacisti dipendenti) alla gestione indiretta (mediante gara a doppio oggetto, con contestuale affidamento in concessione della farmacia, ai sensi dell’art. 30 del decreto legislativo n. 163/2006, per un periodo di cinque anni).

Il Tar remittente ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della legge n. 147 del 2013, applicata in via retroattiva al caso di specie, per violazione dei principi costituzionali di tutela del lavoro, del risparmio, degli investimenti e della libera iniziativa economica.

L’art. 1, co. 568-bis, lett. b) della legge di stabilità per il 2014 contrasterebbe infatti con gli artt. 41 e 47 Cost. in quanto:

  1. comprometterebbe irragionevolmente l’affidamento e l’interesse del privato che, prima della sua entrata in vigore, ha aderito al progetto di partenariato pubblico-privato per la gestione del servizio pubblico;
  2. sacrificherebbe ingiustamente l’affidamento del farmacista che, tempo addietro, aveva operato importanti scelte, quale la rinuncia ad un rapporto di pubblico impiego e il versamento di un’ingente somma di denaro, prefigurandosi un assetto di interessi destinato a valere per un lungo periodo di tempo (con una previsione statutaria di durata centenaria sino al 31 dicembre 2104, cui era correlata analoga durata dell’affidamento concessorio);
  3. violerebbe i canoni di ragionevolezza e tutela del legittimo affidamento, non prevedendo alcuna disposizione transitoria o derogatoria per situazioni specifiche, né alcuna forma di indennizzo per il sacrificio imposto al socio privato;
  4. interverrebbe d’autorità in senso riduttivo sul valore dell’investimento sostenuto dal socio privato, così facendo venir meno la finalità di tutela del risparmio imposta dall’art. 47 Cost.

La norma censurata, infatti, pur consentendo che il servizio farmaceutico sia affidato alla società risultante dalla procedura di privatizzazione, limita la durata della concessione a soli 5 anni, eventualmente prorogabili per altri 5, e addossa al socio farmacista privato un ulteriore impegno economico nell’ipotesi in cui egli decida di esercitare il diritto di prelazione per acquisire, a titolo oneroso, la quota pubblica aggiudicata con gara.

La sentenza

La Corte statuisce che le questioni di legittimità costituzionale proposte in relazione agli artt. 41 e, implicitamente, 3 Cost., da un lato, e all’art. 47 Cost., dall’altro, non sono fondate.

In primo luogo la Corte osserva che l’art. 1, comma 568-bis, della legge n. 147 del 2013 ‒ non modificato dall’entrata in vigore del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 ‒ ha introdotto i seguenti incentivi per sollecitare lo scioglimento o l’alienazione delle partecipazioni detenute da pubbliche amministrazioni locali, non strettamente necessarie per il perseguimento delle rispettive finalità istituzionali, o scarsamente redditizie o in perdita:

  • nei confronti della pubblica amministrazione locale alienante è previsto un importante beneficio fiscale;
  • al privato acquirente è concesso l’affidamento del servizio per cinque anni e,
  • nel caso di società mista, al socio privato che già detenga una quota di almeno il 30, è riconosciuto il diritto di prelazione per acquistare la quota pubblica.

Ricordato ciò, la Consulta sottolinea che la disposizione censurata non doveva essere applicata alla fattispecie della società comunale partecipata ai sensi dell’art. 9, primo comma, lettera d), della legge n. 475 del 1968.

Questo perché un siffatto tipo di società costituisce un modello specialissimo di società a partecipazione mista per la gestione di servizi pubblici locali nonché un modello altrettanto eccezionale di gestione da parte del comune del servizio farmaceutico in quanto:

1) la società è diretta affidataria del servizio ed ogni scelta circa l’opportunità di coinvolgere altri soggetti nella compagine societaria e circa i caratteri soggettivi dei privati da coinvolgere è già operata a priori dalla legge, in maniera vincolante per l’amministrazione;

2) la posizione del socio farmacista, reso compartecipe dell’impresa pubblica, presenta caratteri di specialità rispetto all’ordinaria partecipazione del socio privato ad una qualsiasi altra società comunale;

3) la società mista rappresenta la nuova veste gestionale di un servizio pubblico che il comune già svolgeva sotto altra forma, con un affidamento che non ha limiti temporali di durata e che consente al socio privato di disporre delle sue quote perfino in sede testamentaria. Inoltre l’ammissibilità dell’affidamento diretto del servizio alla società ‒ pur in presenza della partecipazione di un soggetto privato, che in via ordinaria lo escluderebbe ‒ è giustificata in ragione della piena comunanza di interessi fra l’amministrazione locale titolare del servizio e i farmacisti dipendenti.

Da qui l’esclusione del modello di società prefigurato dall’art. 9, primo comma, lettera d), della legge n. 475 del 1968 dall’ambito oggettivo di applicazione della L. n. 147/2013.

Se così non fosse, infatti, verrebbe a determinarsi un nuovo modello del tutto “spurio” di gestione dei servizi pubblici locali rispetto a quelli tipici previsti dal legislatore in materia, consistente in una società privatizzata:

  • in cui si troverebbero a convivere un socio selezionato senza gara (il farmacista ex dipendente) e uno selezionato con gara;
  • col ruolo di mera concessionaria del servizio, per cinque anni, seppure in origine affidataria diretta dello stesso per un periodo fissato statutariamente, di norma pluridecennale.

Questa interpretazione risulta compatibile coi principi costituzionali di tutela dell’affidamento e della concorrenza e conferma che l’amministrazione non può incidere unilateralmente, in violazione della L. n. 241/1990 e del d.lgs. n. 50/2016, mediante una drastica riduzione della durata del servizio e senza indennizzo, sull’esercizio in atto di un servizio pubblico comunale, assegnato per un periodo pluridecennale, in base a un’espressa previsione di legge e a fronte dell’assunzione da parte del privato di oneri alquanto gravosi.

In ultima analisi, nell’affermare che l’art. 1, comma 568-bis, lettera b), della legge n. 147 del 2013 presenta un significato diverso da quello ad esso attribuito dal giudice a quo, la Corte sancisce l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale prospettate.

Stefania Fabris


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