Con parere del 29 novembre 2019, il Ministero dell’Interno si è espresso su quale sia l’organo comunale competente a deliberare l’affidamento diretto di servizi strumentali a società in house direttamente partecipate dall’ente.
Il Ministero ha, in particolare, formulato la seguente massima: “La partecipazione a società di capitali destinate a soddisfare fini pubblici corrisponde, nel sistema della legge, ad una scelta fondamentale deferita all’organo di vertice, qual è il consiglio”.
Di seguito il testo del parere:
“È stato chiesto un parere in merito all’organo comunale competente all’affidamento diretto a società in house direttamente partecipate dall’ente di servizi a natura strumentale, quale nel caso di specie il servizio di conduzione e manutenzione ordinaria dell’impianto termico degli edifici di competenza comunale.
Si premette, in linea generale, che il quadro normativo in materia di affidamento in house dei servizi di interesse generale è stato inciso sia dal D.Lgs. n. 175/16 (testo unico in materia di società a partecipazione pubblica) sia dal D.Lgs. n. 50/16 (nuovo codice degli appalti) e da tale recente assetto scaturisce quali siano gli atti e le procedure da mettere in atto da parte degli enti locali qualora essi decidano di procedere all’autoproduzione dei servizi, ovvero intendano rinnovare il contratto di servizio con le loro rispettive società in house providing.
In passato era prevalsa la prassi che le PP.AA. inserissero nella relazione di previsione e programmatica, che i comuni dovevano approvare quale allegato al bilancio di previsione, l’atto di indirizzo secondo il quale un determinato servizio di pubblico interesse avrebbe dovuto essere erogato a mezzo di una società in house, ovvero totalmente partecipata (e controllata) dai comuni medesimi. Attraverso questo atto di indirizzo, successivamente, le giunte comunali avrebbero adottato i provvedimenti attuativi conseguenti alla scelta strategica elaborata dal consiglio comunale, in special modo il contratto di servizio. La relazione previsionale e programmatica è da considerarsi, dunque, quale atto a carattere generale assunto dall’ente locale per definire i piani strategici, nonché allocare le risorse necessarie alla loro realizzazione. Giova rammentare che trattasi di un documento che dapprima è stato disciplinato dal D.Lgs. n. 77/1995 e successivamente è stato confermato dal T.U.O.E.L. del 2000 (art. 170) nell’ambito della separazione tra le competenze degli organi politici e quelle degli organi dirigenziali. La relazione in oggetto identificava, in ultima analisi, il piano degli interventi e diventava, caricandosi di una valenza prescrittiva, il termine di riferimento per tutta l’attività deliberativa dell’ente, così esprimendo il processo di programmazione della P.A.
Come è noto, il quadro descritto sopra si è in parte modificato nel corso degli ultimi anni: in particolare, a seguito del D.Lgs. n. 126/2014, recante disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili delle autonomie locali, l’art. 170 è stato inciso, prevedendo ora che “la Giunta presenta al Consiglio il documento unico di programmazione per le conseguenti deliberazioni”. Ne consegue che il DUP è considerato un documento slegato dal bilancio del comune; al riguardo, preme evidenziare che peraltro l’art. 42 del d.lgs. n. 267/00 non contempla l’atto in oggetto tra le competenze dell’organo consiliare. Per contro il medesimo articolo 42 del T.U.O.E.L. attribuisce al consiglio comunale la competenza in ordine all’organizzazione dei pubblici servizi e all’affidamento di attività o servizio mediante convenzione. Analizzando il contenuto dell’art. 192 del nuovo codice dei contratti pubblici in relazione a quanto disposto nel citato art. 42 si evince con una certa chiarezza che, per quanto riguarda gli affidamenti in house, il consiglio comunale non può più pronunciarsi mediante indirizzi. Esso deve, invece, adottare un’apposita delibera nella quale si deve dare conto di una istruttoria particolareggiata e per così dire “aggravata”, nel senso che la delibera deve contenere la motivazione analitica (cfr. anche d.lgs. n. 175/2016) e puntuale in rapporto all’opzione giuridico-organizzativa preferita.
Gli enti locali devono dunque essere consapevoli che l’autoproduzione dei servizi, siano essi servizi pubblici locali o strumentali, poiché le norme sopramenzionate non operano distinzioni in merito, richiede un’apposita deliberazione, in cui sia dato conto delle motivazioni (precise e puntuali) che spingono l’ente pubblico ad identificare l’in house providing quale soluzione ritenuta maggiormente adeguata e, quindi, da preferire alle altre.
A maggior sostegno di quanto sopra enunciato, si rappresenta (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – sent. n. 7058/2005) che “… Invero l’art.42, secondo comma, lettera e) di detto decreto (T.U.O.E.L.) (lettera modificata dall’art. 35, comma 12, legge n. 448 del 28 dicembre 2001), attribuisce alla competenza del consiglio comunale gli atti di ‘organizzazione dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali, concessione dei pubblici servizi, partecipazione dell’ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi mediante convenzione’. Ne discende che la partecipazione a società di capitali destinate a soddisfare fini pubblici, in quanto finalizzate all’esercizio di servizi pubblici, corrisponde, nel sistema della legge, ad una scelta fondamentale deferita all’organo di vertice, qual’è nell’organizzazione comunale il consiglio (non a caso definito nel comma 1 dell’art. 42 ‘organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo’)” (cfr., altresì, T.A.R. Lombardia, sentenza 16 giugno 2010, n. 1882).
La legge ha quindi riservato alla competenza esclusiva dell’organo consiliare ogni determinazione circa gli oggetti dianzi indicati e con la precisazione, contenuta nella parte finale della norma, che “le deliberazioni in ordine agli argomenti di cui al presente articolo non possono essere adottate d’urgenza da altri organi del comune o della provincia, salvo quelle attinenti alle variazioni di bilancio adottate dalla giunta da sottoporre a ratifica del consiglio nei sessanta giorni successivi a pena di decadenza”.
Invero, sul criterio di riparto di competenze tra consiglio comunale e giunta, l’organo elettivo è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale, che si traducono in atti fondamentali, tassativamente elencati nell’art. 42 D.Lgs. n. 267/2000, mentre la giunta municipale (cfr. artt. 48 e 107 del medesimo decreto) ha una competenza residuale in quanto compie tutti gli atti non riservati dalla legge al consiglio o non ricadenti nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco o di altri organi.
Non può pertanto ritenersi condivisibile una possibile lettura riduttiva della delibera in argomento che, quand’anche non introducesse in via immediata e diretta alcun elemento di innovazione nell’organizzazione del servizio de quo, tuttavia traduce un indirizzo politico ed amministrativo di rilievo generale la cui elaborazione, come sopra detto, la legge riserva al consiglio comunale”.