Le società in house possono porre in essere negozi a titolo gratuito o liberale, sempre che siano volti alla realizzazione di un interesse, patrimonialmente valutabile, rientrante nell’oggetto sociale. Compete esclusivamente all’Ente socio valutare la rispondenza dell’atto dispositivo all’oggetto sociale e la compatibilità con la specifica destinazione, impressa dalla società, alle somme oggetto di liberalità in favore dei Comuni soci.

Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 100 del 3 agosto 2020 – Presidente Riolo, redattore Fusano

A margine

Il quesitoIl parere concerne la possibilità per una società in house, operante nel campo dell’igiene urbana, di erogare, attraverso i Comuni soci, contributi liberali in denaro, a favore di determinati operatori economici con lo scopo di ristorarli, in parte, per le maggiori spese o minori entrate derivanti dall’emergenza Covid-19.

Nel caso in questione, la società intenderebbe trasferire ai soci circa due milioni di euro attualmente destinati alla mitigazione del costo del servizio di igiene urbana gravante sugli utenti finali.

La somma verrebbe ripartita non in ragione della partecipazione al capitale di ciascun socio, ma del valore degli affidamenti ricevuti, e verrebbe iscritta in bilancio fra le “poste rettificative” di cui alla delibera Arera n. 443/2019/R/RIF relativa al metodo tariffario del servizio integrato di gestione dei rifiuti 2018-2021.

Gli importi ricevuti sarebbero erogati dagli stessi Comuni agli operatori economici da loro individuati.

Il parere – La Sezione lombarda rammenta che, nel contesto della riforma operata con il d.lgs. n. 175/2016, le società pubbliche possono, al pari di tutte le altre, disporre negozi gratuiti, ovvero caratterizzati dall’assenza di controprestazione, in quanto volti alla realizzazione di un proprio interesse, patrimonialmente valutabile, comunque rientrante nell’oggetto sociale (Cfr Sez. Lombardia, delib. n. 223/2018/PAR).

Le liberalità concesse dall’organismo societario dovranno pertanto:

a) essere riconducibili all’oggetto sociale della società, posto che un eventuale atto liberale o gratuito allo stesso estraneo, pur rimanendo valido (anche ex art. 2384 c.c.), sarebbe suscettibile di essere sanzionato tramite le azioni civilistiche a presidio delle prerogative della società, dei soci e dei creditori sociali (artt. 2393, 2394 e 2395 c.c.);

b) tener conto delle possibili ricadute sul valore della partecipazione, trattandosi di fattispecie in astratto idonee a causare diminuzioni patrimoniali, qualificabili, ricorrendone le condizioni, in termini di danno erariale, ai sensi dell’art. 12, co. 2, del Tusp.

I Comuni dovranno, poi, tenere in debita considerazione anche gli eventuali effetti economici della liberalità sull’utenza del servizio.

Pur essendo vero, infatti, che i costi connessi all’erogazione di liberalità rientrano tra le poste rettificative sottratte al riconoscimento tariffario, la Corte sottolinea che – come riferito dallo stesso Comune istante – trattasi comunque di somme espressamente destinate alla mitigazione del costo del servizio di igiene urbana che grava sugli utenti finali.

La valutazione circa il rispetto di un simile vincolo di destinazione, al pari di quella afferente alla sussistenza di un valido interesse della società a disporre, compete esclusivamente all’Ente socio, che ne assume integralmente la responsabilità anche con riferimento alla necessità di assicurare il permanere della finalità di mitigazione del costo del servizio di igiene urbana su tutti gli utenti finali del servizio.

Stefania Fabris


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