Introduzione alle criticità

L’equilibrio dei generi all’interno degli organi di amministrazione e controllo delle società non è solo questione di civiltà ma anche di funzionalità … Taluni studi empirici, infatti, avrebbero dimostrato come un’adeguata presenza femminile negli organi sociali consenta una migliore gestione dei conflitti d’interesse, una maggiore attenzione agli interessi degli azionisti e, soprattutto, una maggiore rispondenza delle remunerazioni alla “performance”.

L’ordinamento non ha più potuto non tenerne conto …

Tuttavia, non è riuscito ad andare al di là della produzione di una legislazione “emergenziale”,  “a tempo determinato”, affievolendo in tal modo pesantemente la portata operativa della rivoluzione culturale in corso: le nuove regole di garanzia dei generi negli organi di governo e controllo delle società, difatti, non superano i tre mandati (insediati a partire dall’entrata in vigore della novella normativa), forse auspicando la progressiva maturazione della società civile che opportunamente stimolata sarà in grado di irreggimentarsi autonomamente?!

Ad ogni modo, il nuovo scenario, per quanto precario, risulta meritevole di approfondimento …

 Il consiglio di amministrazione delle società quotate

In forza dell’art. 147 – ter, comma 1 – ter, del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e successive modificazioni (c.d. “TUF”), introdotto dall’art. 1 della L. n. 12 luglio 2011, n. 120, recante “Modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria … concernenti la parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati”:

   lo statuto sociale deve prevedere che il riparto degli amministratori da eleggere venga effettuato in base a criteri che assicurino l’equilibrio tra i generi;
    il genere meno rappresentato deve comunque ottenere almeno 1/3 degli amministratori eletti;
    tale criterio di riparto va ripetuto per n. 3 mandati consecutivi;
   in occasione del primo rinnovo post 2012, la quota riservata al genere meno rappresentato è ridotta ad 1/5 degli amministratori eletti.

 La vicenda assume anche una valenza deontologica, in quanto non risulta estranea nemmeno al codice di autodisciplina delle società quotate, che finisce coll’occuparsi delle questioni di genere:

  al punto 1.C.1, lett. g), in forza del quale il consiglio di amministrazione deve effettuare, almeno una volta all’anno, una auto/valutazione sul proprio funzionamento e su quello delle articolazioni interne, da estendere a relative dimensioni e composizioni, utilizzando, quali parametri di riferimento, le caratteristiche professionali e di esperienza (anche manageriale) dei componenti nonché le anzianità di carica, senza tuttavia tralasciare le peculiarità di genere;
ma anche al punto 3, che stimola alla valorizzazione, nella composizione dei consigli di amministrazione, dell’adeguata rappresentanza di competenze professionali e manageriali (anche di carattere internazionale), ovviamente da modularsi sulle concrete attività esercitate dalla società, senza tuttavia tralasciare i benefici derivabili dalla presenza in consiglio di diversi generi, fasce d’età ed anzianità di carica.

Il collegio sindacale delle società quotate

 In forza dell’art. 148, comma 1 bis, TUF, introdotto sempre dall’art. 1 della L. n. 120/2011:

  lo statuto sociale deve prevedere che il riparto dei sindaci effettivi e dei sindaci supplenti da eleggere sia effettuato in modo tale che il genere meno rappresentato ottenga almeno un terzo dei membri effettivi del  Collegio Sindacale;

 tale criterio di riparto va ripetuto per n. 3 mandati consecutivi;

in occasione del primo rinnovo post 2012, la quota riservata al genere meno rappresentato è ridotta ad 1/5 dei membri effettivi del collegio sindacale.

Disposizioni comuni a consiglio di amministrazione e collegio sindacale delle società quotate

In forza dell’art. 144 undecies, comma 1 del Regolamento di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente la disciplina degli emittenti (c.d. Regolamento Emittenti), nella formulazione assunta con la deliberazione Consob n. 18098 dell’8 febbraio 2012 e successive modificazioni:

    lo statuto sociale deve contenere previsioni che consentano che la nomina degli organi di amministrazione e controllo venga effettuata in adesione ai criteri legislativi di garanzia dell’equilibrio tra generi, con reiterazione del parametro utilizzato per n. 3 mandati consecutivi;
  qualora dall’applicazione dei criteri di riequilibrio tra generi non risulti un numero intero di componenti degli organi di amministrazione o controllo appartenenti al genere meno rappresentato, va applicato l’arrotondamento per eccesso all’unità superiore;
   lo statuto sociale deve disciplinare le modalità di composizione delle liste elettorali, introducendo altresì criteri suppletivi di individuazione dei singoli componenti degli organi, in moda da pervenire al rispetto dell’equilibrio tra generi in esito alle votazioni;
   lo statuto sociale deve configurare le modalità di sostituzione dei componenti degli organi di che trattasi, venuti a cessare in corso di mandato, assumendo quale “stella polare” il criterio dell’equilibrio tra generi;  resta comunque difficile ipotizzare che l’esponente del genere meno rappresentato possa essere tratto da liste “alternative o concorrenti” a quella divenuta deficitaria, in quanto non sembra che la disciplina sulle quote di genere possa derogare a quella sul voto di lista in sede di elezione dell’intero consiglio/collegio;
   lo statuto sociale deve orientare l’esercizio dei diritti di nomina, eventualmente previsti, in armonia ed assetto con i principi di garanzia degli equilibri di genere;
  lo statuto sociale non può tuttavia imporre l’alternanza tra generi, ove le liste elettorali presentino un numero di candidati inferiore a tre.

 L’equilibrio di genere nelle società non quotate

L’art. 3, comma 1 della legge n. 120/2011 estende espressamente la disciplina della tutela di genere anche alle società, costituite in Italia e non quotate in mercati regolamentati, ma comunque controllate da pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 2359, commi primo e secondo, del codice civile, ossia:

  alle società in cui una pubblica amministrazione disponga, direttamente o indirettamente, della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (c.d. controllo di diritto);
alle società in cui una pubblica amministrazione disponga, direttamente o indirettamente, di voti sufficienti ad esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria (c.d. controllo di fatto);
    alle società che si trovino sotto influenza dominante, diretta o indiretta, di una pubblica amministrazione a fronte di particolari vincoli contrattuali (sempre, controllo di fatto).

La tutela di genere, al di là del troppo “stringente” dato letterale codicistico, si applica altresì alle società a capitale misto ed alle società a capitale integralmente pubblico il cui controllo non sia esercitato da una singola pubblica amministrazione bensì da una pluralità di pubbliche amministrazioni, secondo le coordinate che seguono.

L’interpretazione estensiva appena riportata, deriva dal Parere della Prima Sezione del Consiglio di Stato n. 1801 del 4 giugno 2014, reso a seguito di quesito prospettato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le pari opportunità.

Il supremo consesso amministrativo fa scaturire il suo convincimento ampliativo dalla “ratio”della previsione dell’equilibrio di genere nelle società controllate da pubbliche amministrazioni … “Ratio” da non radicarsi tanto sulla garanzia etico/politica della pari rappresentanza dei generi negli organismi di decisione pubblica (sorta di “superfetazione” dei principi di tutela della dignità della persona e democrazia partecipativa), cedevole nella contrapposizione con altri valori costituzionalmente orientati ed egualmente meritevoli di protezione (ad esempio, la libertà dell’iniziativa economica di cui all’art. 41, comma 1 Cost.) … Quanto sul fondamento economico dell’equilibrio di genere, che impone di attingere al più variegato possibile patrimonio umano/culturale/sociale/di sensibilità/di professionalità, a pena di gravi carenze sui piani della funzionalità, della produttività, della capacità di perseguimento degli obiettivi … Senza tralasciare il sovraccarico di compiti dell’odierna società (molto più complessa ed esigente rispetto al passato), che non consente più il lusso di circoscrivere i ruoli decisionali ad un unico genere … L’equilibrio di genere rappresenta, in definitiva, la soluzione di un problema economico, afferente alla migliore distribuzione delle risorse umane; è l’efficienza, più che l’equità, ad imporre un maggiore coinvolgimento del genere femminile nei processi di produzione dei beni, sia pubblici che privati … La suddetta impostazione è ulteriormente corroborata dalla sostanziale latenza di meccanismi di selezione competitivo/meritocratica nella materia “de qua”, cui deve sopperirsi, appunto, con la codificazione di quote di genere … Emerge, quindi, non proprio la tutela dell’interesse pubblico (in qualche modo, di parte), bensì quella del più vasto interesse generale al massimo utile individuale e collettivo. Ed inoltre, non si va a cozzare con le formulazioni letterali contenute nell’art. 2359 c.c., in quanto la nozione di “pubbliche amministrazioni” recepita nella norma, non collide con le tecniche di controllo congiunto da parte di una pluralità di pubbliche amministrazioni sulle società derivate, oramai consolidate nel nostro ordinamento, purchè (cumulativamente):

– gli organi decisionali della società controllata siano composti da rappresentanti delle pubbliche amministrazioni, con possibilità che singoli soggetti rappresentino varie o tutte le amministrazioni partecipanti;

– le pubbliche amministrazioni congiuntamente – grazie ad accordi tra loro o a comportamenti paralleli – dispongano della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (controllo di diritto), ovvero di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria (controllo di fatto), oppure esercitino congiuntamente sulla società un’influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali;

– la persona giuridica controllata non persegua interessi contrari a quelli delle amministrazioni controllanti.

Non risulta viceversa sufficiente la mera titolarità pubblica della maggioranza di capitale, essendo tale elemento, univocamente considerato, estraneo all’art. 2359 c.c.; sotto altro angolo visuale, ci si pone al di fuori dei limiti di cui all’art. 2359 c.c., con impossibilità di recupero esegetico, allorquando, le pubbliche amministrazioni maggioritarie agiscano separatamente.

Rientrando sull’analisi strettamente normativa, il comma 2 del citato art. 3 prefigura l’emanazione di un regolamento di attuazione dei principi legislativi nello specifico segmento, preordinato in particolare a disciplinare la vigilanza sull’applicazione degli stessi, oltre che le forme e i termini dei provvedimenti esecutivi, senza dimenticare le modalità di sostituzione dei componenti decaduti.

Il regolamento è poi intervenuto, a dire il vero con qualche mese di ritardo, a mezzo del D.P.R. n. 251 del 30 novembre 2012, recante, per l’appunto, i termini e le modalità di attuazione della disciplina concernente la parità di accesso agli organi di amministrazione o controllo di società controllate, direttamente o indirettamente, dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 del D. Lgs. n. 165/2001 e successive modificazioni.

Le direttrici regolamentari possono essere riassunte nei seguenti termini:

le società devono inserire nei propri statuti “clausole” che impongano la composizione degli organi di amministrazione e controllo (purchè collegiali e non monocratici) assicurando almeno 1/3 dei seggi al genere meno rappresentato;
  qualora lo statuto sociale preveda per la nomina degli organi di che trattasi il meccanismo del voto di lista, la formazione delle liste deve seguire – sempre secondo la disciplina statutaria – il criterio del riparto tra i generi, da conseguire definitivamente anche attraverso peculiari modalità di elezione ed estrazione dei singoli componenti … Tuttavia, il criterio del riparto tra generi non può trovare applicazione alle liste che presentino un numero di candidati inferire alle tre unità;
  gli speciali diritti di nomina vanno modulati dagli statuti in maniera tale da non contrastare con i principi regolatori della materia;
   gli statuti devono inoltre disciplinare le sostituzioni dei componenti dell’organo di amministrazione che vengano a cessare in corso di mandato, preservando la quota minima di genere;
la quota minima di genere va applicata anche ai sindaci supplenti, il cui subentro nel collegio degli effettivi va praticato nell’ordine idoneo a garantire la quota medesima.

In conclusione si rendono opportune un paio di note critiche.

La prima chiosa concerne l’esonero dagli equilibri di genere delle liste elettorali con meno di tre candidati (valevole anche per le quotate): la regola, la cui previsione non sembra necessitata e forse neppure consentita dalla fonte di rango primario, sembra determinare una disparità di trattamento tra azionisti e rischia di far apparire l’equilibrio tra il genere maschile e femminile un fardello, da mettere sulle spalle soltanto di azionisti forti, piuttosto che un’opportunità.

Ci si è, inoltre, interrogati sull’organo competente ad apportare le registrazioni statutarie di recepimento dei principi introdotti dall’ordinamento.

In proposito, la stampa specializzata ritiene che non possano essere venute meno le competenze assembleari, a garanzia della democrazia interna alle società, che potrebbe risultare inficiata da decisioni dell’organo amministrativo (anche) su se stesso.

Viceversa “Assonime” (Associazione tra le società italiane per azioni), con la circolare n. 23 del 18 luglio 2013, non esclude la competenza del consiglio di amministrazione, se prefigurata in statuto, trattandosi di meri adeguamenti a disposizioni legislative sopravvenute.

Le conseguenze in caso d’inosservanza nelle società quotate

In caso di carente pratica dei virtuosi principi afferenti alla tutela di genere, soccorrono gli artt. 147 – ter , comma 1 ter e 148, comma 1 bis, TUF, in forza dei quali:

  la Consob diffida la società ad adeguarsi entro n. 4 mesi;
  qualora la società resti ulteriormente inottemperante (anche alla diffida), la Consob applicherebbe una sanzione amministrativa pecuniaria (da € 100.000,00 a € 1.000.000,00 per le violazioni concernenti il consiglio di amministrazione; da € 20.000 ad € 200.000,00, per le violazioni concernenti la dimensione del collegio sindacale), secondo i criteri e le modalità stabiliti dall’art. 144-undecies, comma 4 del Regolamento Emittenti; fissando nel contempo un nuovo termine di tre mesi per adempiere;
  nell’ipotesi di ulteriore inottemperanza all’ulteriore diffida, i componenti eletti degli organi collegiali in argomento decadrebbero dall’incarico.

 Le conseguenze in caso d’inosservanza nelle società non quotate

 Al di fuori dei mercati regolamentati, subentra il Governo nelle funzioni di polizia della Consob.

L’art. 4 del regolamento “251/2012” demanda, infatti, al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro delegato per le Pari Opportunità il compito di vigilare sul rispetto della normativa in esame; l’attività di vigilanza va poi recepita in una relazione da presentare triennalmente al Parlamento (relazione sullo stato di applicazione della tutela di genere nelle società partecipate non quotate).

L’attività di vigilanza è sostanzialmente stimolata, ai sensi dei commi da 1 a 4 del citato art. 4, da:

  le società medesime, che sono tenute a comunicare al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro delegato per le Pari Opportunità la composizione degli organi sociali entro n. 15 giorni dalla data di sostituzione o costituzione;
  gli stessi consigli di amministrazione e collegi sindacali, che devono comunicare al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro delegato per le Pari Opportunità la sopravvenienza in corso di mandato della lesione degli equilibri di genere, nel loro seno;
  chiunque vi abbia interesse, approntandogli l’ordinamento uno specifico aggiuntivo potere di segnalazione (da rivolgersi sempre nei riguardi delle medesime autorità).

Il conseguente accertamento della violazione della quota minima di equilibrio tra generi, fa sì che il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato per le Pari Opportunità diffidi la società a ripristinare detto equilibrio entro n. 60 giorni … In caso di inottemperanza alla diffida, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato per le Pari Opportunità ridiffida assegnando un ulteriore termine di 60 giorni, senza tuttavia disporre del potere di comminare sanzioni pecuniarie … in caso di persistenza nell’inottemperanza, i componenti dell’organo sociale coinvolto nella violazione decadono dall’incarico, incardinandosi contestualmente il percorso di ricostituzione del collegio nei modi e nei termini previsti dalla legge e dallo statuto.

Ad ogni modo, la configurazione di una sentinella esterna non ha fatto venire meno le funzioni di controllo esterno, insite nel sistema: quindi, spetta innanzi tutto al collegio sindacale il ruolo di vigilanza sulla corretta composizione di genere degli organismi societari, attivando, se del caso, i meccanismi di correzione coevi all’organizzazione societaria (Circolare Assonime n. 23 del 18 luglio 2013).

Roberto Maria Carbonara, segretario comunale

 


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