Il vigente ordinamento programma l’assoggettamento al patto di stabilità interno delle società a partecipazione pubblica totale o di controllo:
1) che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali (senza gara), ovvero;
2) che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero;
3) che svolgano attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica.
Le modalità concrete di assoggettamento dovranno essere definite, di concerto con i Ministri dell’interno e per gli affari regionali, attraverso l’assunzione di un decreto attuativo da parte del Ministro dell’economia, una volta sentita la Conferenza Unificata Stato/Regioni/Città/Autonomie Locali. Tale decreto andrà corredato da congrua modulistica/reportistica.
Ovviamente, agli enti locali proprietari competono (rectius, competeranno) specifici oneri di vigilanza sul sistema appena delineato, prendendo a riferimento le dinamiche tipiche del “controllo analogo”.[1]
L’interpretazione elaborata dalla giurisprudenza contabile sulla specifica materia subordina inequivocabilmente l’asservimento al patto delle società partecipate, soltanto a seguito del completamento delle modalità operative e della reportistica di cui sopra. Conseguentemente, non sussiste l’obbligo attuale, in capo agli enti controllanti, di verificare il rispetto del patto di stabilità attraverso un bilancio consolidato funzionale all’analisi della situazione finanziaria delle società partecipate congiuntamente a quella dell’ente locale.
Ricorre, tuttavia, l’opportunità di un consolidamento dei risultati economici e finanziari “infra/gruppo”, al fine di una realistica rappresentazione del bilancio dell’ente locale: è innegabile l’esigenza di monitorare e metabolizzare i risultati delle società a partecipazione pubblica (in termini di ammontari di spese e debiti), in chiave coordinata a quelli della pubblica amministrazione di riferimento, onde evitare il mascheramento di situazioni di “deficit”, destinate, prima o poi, a gravare sulla collettività. Questa opportunità trova un buon ancoraggio sia nei principi contabili internazionali sia nei principi contabili per gli enti locali elaborati dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali, in forza dei quali il bilancio consolidato costituisce un valido strumento di apprensione di una dimensione concreta delle situazioni finanziarie, economiche e patrimoniali. D’altronde, lo stesso art. 152 TUOEL stabilisce come il regolamento di contabilità degli enti locali debba assicurare la conoscenza consolidata dei risultati globali delle gestioni relative ad enti od organismi costituiti per l’esercizio di funzioni o servizi; inoltre, l’art. 172, comma 1, lett. b) TUOEL prevede, tra gli allegati obbligatori del bilancio di previsione locale, le risultanze dei rendiconti o conti consolidati delle società di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici, relativamente al penultimo esercizio antecedente quello cui il bilancio si riferisce; per finire sul TUOEL, l’art. 230 consente al regolamento locale di contabilità la previsione della compilazione del conto consolidato patrimoniale per tutte le attività e le passività interne ed esterne.
In definitiva, l’opportunità del consolidamento dei dati di bilancio tra soggetti pubblici ed organismi partecipati è ormai oggetto di recepimento legislativo in via generale per il mondo delle pubbliche amministrazioni (ad ulteriore riscontro riguardo alle amministrazioni locali, può rinviarsi al D. Lgs. n. 118 del 23 giugno 2011 – di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio di regioni, enti locali e loro organismi in attuazione del c.d. “federalismo fiscale” – che prevede l’adozione di uno schema comune di bilancio consolidato tra enti locali e organismi controllati).
Per altro verso, la dimensione delle società partecipate non è integralmente espungibile dalle strettoie del patto, già da adesso, sia pure di riflesso, per “interposto soggetto” (per il tramite dell’ente locale proprietario). L’analisi va condotta, secondo questa prospettiva, su particolari movimentazioni finanziarie intercorribili tra ente locale socio e organismo partecipato, in ragione della loro ricorrenza, ossia: a) realizzazione di opere e servizi da parte dell’organismo partecipato per conto dell’ente locale; b) concessione di credito in favore dell’organismo partecipato e successiva rinuncia da parte dell’ente locale; c) alienazioni immobiliari infragruppo.
A) La realizzazione di opere e servizi strumentali per conto dell’ente locale, si presta a fenomeni elusivi del patto di stabilità, allorquando la società realizzatrice si trovi in situazione di perdita o di debito verso il socio pubblico che, tuttavia, grazie alla collocazione esterna di attività, consegue il rispetto (meramente cartolare) del patto. In questa prospettiva, va evidenziato come le somme erogate dall’ente locale alla società, per lo più a titolo di concessione di credito, non vadano scomputate dai saldi locali del patto di stabilità, anche se l’effettuazione dei pagamenti dei retrostanti appalti venga materialmente effettuata dalla società. Al fine di evitare la configurazione della fattispecie dell’ “illegittima traslazione di pagamenti in capo a società partecipate”, gli enti sono tenuti ad una corretta contabilizzazione di siffatte concessioni/riscossioni di crediti (Ministero dell’Economia e delle Finanze, Circolare n. 11 del 6 aprile 2011). Costituisce, ad esempio, scorretta contabilizzazione l’allocazione dei pagamenti nei “servizi per conto di terzi” (di per sé esclusi dall’applicazione del patto di stabilità), seppur “attenuata” dalla configurazione non di diretti oneri di pagamento all’appaltatore, bensì di oneri finanziari fideiussori o di abbattimento del mutuo preposto a sostenere la fattibilità economica dell’investimento.
B) La concessione di credito, da parte dell’ente locale, in favore della società partecipata può assumere rilievo autonomo, ai fini del rispetto dei saldi del patto di stabilità, indipendentemente dal pagamento di opere pubbliche (o di mutui che la società abbia direttamente contratto per finanziarle). Le voci contabili relative alla concessione di crediti alle società partecipate rilevano ai fini del patto di stabilità, a fronte della sostanziale unitarietà intercorrente tra ente locale e società “in house” (si tratta di rapporto di mera delegazione interorganica, a prescindere dalla formale presenza di due distinti soggetti giuridici). In altri termini, l’ente locale, finanziando la società, finisce con il finanziare le sue stesse attività. Inoltre, il vaglio anti/elusivo va configurato su un esteso arco temporale, coinvolgendo eventuali successive rinunce al credito da parte dell’ente locale, che potrebbero consentire di riqualificare l’erogazione in esame quale “versamento a fondo perduto”, sicuramente rilevante ai fini del computo del rispetto del patto.
C) Il reperimento, da parte di amministrazioni locali, di plusvalenze immobiliari grazie all’alienazione di beni “infragruppo” (dall’ente locale ad organismi partecipati), desta perplessità, ai fini della corretta contabilizzazione dei saldi del patto, nel momento in cui le società, povere di risorse proprie, debbano necessariamente indebitarsi per reperire le fonti di finanziamento dell’acquisto. Tale fenomeno, infatti, va a configurare un improprio collegamento negoziale tra il contratto di vendita dell’immobile comunale all’organismo partecipato e il contratto di mutuo che consente all’organismo partecipato di conseguire il prezzo di acquisto; a fronte del collegamento negoziale “atipico”, l’ente locale riesce ad acquisire una modalità di finanziamento (solo formalmente) non classificabile come indebitamento in capo all’ente locale medesimo. Si viene a realizzare, quindi, un duplice effetto elusivo: 1) entrata, quale (apparente) saldo attivo del patto; 2) ribaltamento dell’indebitamento sull’organismo partecipato. Effetto elusivo “potenziato”, nei casi in cui l’indebitamento assunto dall’organismo partecipato sia direttamente garantito dall’ente locale attraverso fideiussione o lettera di “patronage”; ulteriormente “corroborato”, qualora l’ente locale si preoccupi di pagare le rate del mutuo, avvalendosi della liquidità fornita dalle casse comunali, sotto forma di contributo a favore della partecipata (si sarebbe in presenza di una vera e propria “partita di giro”).
Per completezza, va precisato come, a fronte della lettera della legge, non siano ascrivibili alla categoria della teorica applicazione del patto di stabilità interno, le società miste pubblico/private, in cui il socio privato sia stato reclutato con gara a doppio oggetto (concernente sia la solidità economico/finanziaria da investitore/socio sia le abilità tecnico/operative alla conduzione del servizio pubblico locale da gestire). La motivazione retrostante alla scelta del legislatore è rinvenibile nella valorizzazione delle dinamiche della gara, in grado di presidiare i requisiti di economicità, efficienza ed efficacia, necessari all’attuazione del buon andamento dell’azione amministrativa, posto dall’art. 97 Cost., grazie al confronto competitivo sul mercato, anche in termini di verifica della congruità dei “costi” di funzionamento e produzione.
In conclusione, va rimarcata la perdurante “latitanza” del decreto ministeriale di completo assorbimento delle società partecipate nell’area del patto di stabilità interno (avrebbe dovuto essere emanato entro il 30 settembre 2009).
Ad ogni modo, le ipotesi di lavoro, sviluppate dai tecnici del Ministero dell’economia, in sede di predisposizione del provvedimento attuativo, sarebbero imperniate su dinamiche parallele a quelle degli enti locali, senza intreccio (almeno inizialmente) in un bilancio consolidato; tuttavia, in caso di sforamento dei tetti da parte della società partecipata, anche l’ente locale proprietario dovrebbe subirne le conseguenze in chiave sanzionatoria (c.d. “consolidamento” delle sole sanzioni). Si starebbe configurando una duplice linea di obiettivi: 1) saldo di bilancio, senza perdite; 2) rispetto di una certa soglia nel rapporto fra debito e patrimonio netto (con differenziazione tra i diversi settori di attività dell’organizzazione aziendale, richiedenti strutture di costi ed investimenti diversificati). In caso di mancato conseguimento degli obiettivi, si sarebbe tenuti ad un piano di rientro quinquennale ed assoggettati alle seguenti misure sanzionatorie: peggioramento dell’obiettivo di saldo pari allo sforamento; stretta sui costi operativi (assimilabili alle spese correnti dei bilanci finanziari); limiti alle assunzioni; divieto d’indebitamento; taglio dei compensi di sindaci ed amministratori; penalità a carico anche dell’ente controllante (in termini di peggioramento dell’obiettivo di saldo, pari allo sforamento realizzato dalla società, con parametrazione connessa all’entità delle quote di partecipazione), onde stimolarne le funzioni di controllo e prevenire le tattiche elusive di cui sopra. Resta da chiarire se il prefigurato apparato sanzionatorio necessiti di norme primarie di legge o sia risolvibile integralmente all’interno del decreto attuativo.
La partenza sarebbe prevista per l’esercizio finanziario 2014[2].
Roberto Maria Carbonara*
*Segretario generale del comune di Segrate
[1] Art. 18, comma 2 bis del D.L. n. 112/2008, convertito in Legge n. 133/2008, inserito dall’art. 19, comma 1 del D.L. n. 78/2009, convertito nella L. n. 102/2009; art. 4, comma 14 del D.L. n. 138/2011, convertito con modificazioni in legge 14 settembre 2011, 148.
[2] Il presente contributo è ispirato dalla deliberazione n. 14 del 2 marzo 2010 della Corte dei conti – sezione regionale di controllo per il Piemonte ma soprattutto dalla deliberazione n. 7 del 19 gennaio 2012 della Corte dei conti – sezione regionale di controllo per la Lombardia. Le “indiscrezioni” sulla bozza di decreto ministeriale derivano da fonte giornalistica (“Il Sole 24 Ore”).