Un primo tentativo per introdurre nell’ordinamento delle società partecipate l’istituto di stampo pubblicistico della mobilità del personale (da intendersi come cessione del contratto/rapporto di lavoro del dipendente tra distinti datori di lavoro, comportante il passaggio diretto del lavoratore ceduto dal datore cedente a quello cessionario, e non viceversa come “anticamera del licenziamento – licenziamento indennizzato”, di stampo marcatamente privatistico), è stato effettuato dal Governo con i commi da 2 a 7 dell’art. 3 del D.L. n.  101 del 31 agosto 2013, recanteDisposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni”.

Il tentativo non è andato a buon fine, è durato poco: la citata disciplina non è stata confermata in sede di conversione in Legge del Decreto (trattasi della legge n. 125 del 30 ottobre 2013), nel timore parlamentare di un’eccessiva erosione dei principi di sana gestione aziendale, non orientati ad avvalersi di paracadute e reti di protezione così forti, allorquando si debbano fronteggiare situazioni di crisi.

 

Tuttavia, l’Esecutivo non si è perso d’animo, si è rimboccato le maniche ed ha ottenuto la reintroduzione del “pacchetto” in esame, senza interpolazioni di sorta, con i commi da 563 a 568 dell’articolo unico della Legge di Stabilità 2014.

 

Il quadro risultante dall’estenuante pingpong è focalizzabile nei termini che seguono.

 

A – L’ambito soggettivo di applicazione dell’istituto

 

I soggetti abilitati ad avvalersi dello strumento in questione sono: le società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni o dai loro enti strumentali.

 

L’attivazione dei percorsi di mobilità può essere decisa autonomamente da questi soggetti, a tutto tondo, anche al di là dei limiti vigenti in ambito di pubblico impiego in senso stretto. Sono comunque fatte salve le sotto riportate “eccezioni”.

 

Per espresso diktat legislativo, l’istituto è infatti precluso a: società, sia pure pubbliche, ma emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati (società quotate in borsa) e loro controllate, per evidenti ragioni di tutela del mercato borsistico e del piccolo risparmio finanziario.

 

Allo stesso modo, i trasferimenti di personale in analisi non possono seguire la direttrice “da società controllata a pubblica amministrazione controllante”: si andrebbe inevitabilmente ad impattare contro gli stringenti vincoli di spesa avviluppanti oramai da anni il pubblico impiego nonché avverso l’obbligo costituzionale di accesso al posto pubblico per il tramite del “battesimo concorsuale”.

 

B – La ratio dell’istituto

 

La (possibilità di) mobilità del personale delle società partecipate presidia al soddisfacimento delle seguenti esigenze: 1) registrazione funzionale del fabbisogno di personale, in risposta soprattutto ai problemi di esubero o di gestione economico/redditiva (da conseguirsi anche attraverso la contrazione delle spese, quale chiave di volta del risanamento finanziario); 2) riorganizzazione delle funzioni e dei servizi espletati; 3) agevolazione dei processi di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni pubbliche nelle società.    

 

C – La promozione dell’istituto

 

Gli enti (pubbliche amministrazioni) che controllano società assoggettabili alla disciplina della mobilità, sono tenuti ad adottare, nel contesto delle esigenze e delle finalità appena enucleate, atti di indirizzo, prefigurativi/connessi/conseguenti a piani industriali di risanamento, preordinati a favorire l’acquisizione/dismissione di personale a mezzo di mobilità, coevamente all’avvio di nuove procedure di reclutamento (o di percorsi di licenziamento collettivo!).

 

Il che, a parere di chi scrive, non esclude a priori l’autonoma iniziativa/responsabilizzazione delle società medesime.

 

D – Le modalità procedurali

 

Il trasferimento di personale viene operativamente sdoganato attraverso uno specifico accordo tra le società interessate, che non deve comportare oneri aggiuntivi per la finanza pubblica (tipo, incentivi economici all’uscita, preposti ad attirare i lavoratori).

 

E’ molto importante ricordare come l’accordo debba essere preceduto da apposita informativa direzionata sulle rappresentanze sindacali operanti presso le società coinvolte oltre che sulle organizzazioni sindacali firmatarie della contrattazione collettiva di riferimento.

 

E – L’ambito oggettivo: la posizione dei lavoratori

 

Le regole schiettamente privatistiche direttamente applicabili alla fattispecie “esubero” condurrebbero inevitabilmente al licenziamento dei lavoratori eccedentari per ragioni economiche.

 

Conseguentemente, la speciale mobilità in esame funge come una sorta di “stanza di compensazione”: in luogo del licenziamento, consente il trasferimento dei lavoratori su aziende più sane.

 

A fronte di ciò, non risulta necessaria l’acquisizione del consenso del lavoratore coinvolto dalla specifica operazione di traslazione societaria.

 

Anzi, il lavoratore che si ostinasse a rifiutare il distacco sulla società esterna, correrebbe il serio rischio di essere licenziato, a fronte della giurisprudenza consolidatasi in materia*.

 

In chiave completamente ribaltata rispetto alla dimensione “coatta”, il ricorso ai principi generali in materia di mobilità pubblicistica non rende azzardata l’ipotesi del trasferimento volontario, su iniziativa del singolo lavoratore, che dovrebbe acquisire il nulla osta del datore di lavoro cedente ed ovviamente l’assenso del datore di lavoro cessionario. Il tutto andrebbe analiticamente disciplinato in sede di regolamenti interni di reclutamento, da approvarsi a cura delle società.

 

Va precisato come sia coinvolgibile nei processi di mobilità tutto il personale in servizio alla data di entrata in vigore della legge di Stabilità 2014 (1 gennaio 2014).

 

Quanto allo status dei lavoratori trasferiti, costoro conservano le tutele  approntate dall’ordinamento civilistico nelle fattispecie di trasferimento imprenditoriale d’azienda, ossia: la sostanziale preservazione dei diritti di cui al rapporto di lavoro originario.

 

F – La dimensione ultra/patologica

 

Nei casi di rilevazione ufficiale delle eccedenze di personale rispetto alle esigenze funzionali, operata direttamente dalle stesse società, o di incidenza delle spese di personale pari o superiore al 50% delle spese di funzionamento, scatta automaticamente la seguente dimensione obbligatoria:

  • va inviata una informazione preventiva sullo stato di crisi aziendale alle rappresentanze sindacali operanti presso le società coinvolte ed alle organizzazioni sindacali firmatarie della contrattazione collettiva di riferimento; tale informazione deve indicare il numero, il collocamento aziendale ed il profilo professionale dei dipendenti in eccedenza;
  • gli stessi dati di cui al capoverso precedente devono essere contestualmente comunicati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica;
  • le posizioni dichiarate eccedentarie non sono ripristinabili nella dotazione del personale e non possono essere ricoperte con nuove assunzioni (anche a garanzia della serietà del successivo processo di mobilità);
  • nei 10 giorni successivi alla ricezione dell’informazione preventiva – da parte delle rappresentanze sindacali e della funzione pubblica -, l’ente controllante provvede alla riallocazione – nei limiti del possibile – del personale eccedente sulla medesima società ingolfata, avvalendosi di forme flessibili di gestione del tempo di lavoro (ad esempio, trasformazione dei tempi pieni in tempi parziali, contratti di solidarietà), ovvero presso altre società del gruppo, secondo le modalità procedurali analizzate in precedenza – tuttavia, per restare con i piedi per terra (ed arrogandosi inevitabilmente il diritto di riscrivere il testo legislativo), appare maggiormente plausibile che la pubblica amministrazione controllante inizi ad avviare questo sofisticato processo riallocativo, una volta decorsi almeno n. 10 giorni dalla ricezione delle informazioni preventive.

Un ulteriore strumento di gestione di queste eccedenze (nella logica dell’extrema ratio prima del licenziamento), è rappresentato dalla possibilità d’addivenire alla stipulazione di accordi collettivi tra enti controllanti/società partecipate/organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, preordinati a disciplinare il trasferimento dei lavoratori in esubero – secondo il solito modulo procedurale – presso società del medesimo tipo, ma fuori “holding” e addirittura fuori regione.

 

La dottrina più arguta ha colto talune criticità promananti dal sistema appena delineato, con particolare riferimento agli automatismi discendenti dallo splafonamento o semplice raggiungimento del tetto del 50% delle spese correnti, che potrebbero mettere seriamente in crisi la funzionalità di quelle società esposte per “vocazione genetica” sul fronte dei servizi connotati fisiologicamente da elevata incidenza di manodopera (come, ad esempio, le società di trasporto pubblico locale, che necessitano inevitabilmente di cospicue squadre di autisti e controllori), anche a causa di ineludibili punte stagionali di lavoro (in relazione a quest’ultima difficoltà, il riferimento più appropriato si attaglia alle società di assistenza ed accoglienza turistiche)**.  

 

G – Gli sgravi fiscali

 

Il legislatore cerca di costruire una corsia preferenziale per codeste forme di mobilità inter/societaria ricorrendo al tradizionale modello dello sgravio fiscale, da attivarsi secondo le regole di seguito esposte.

 

Le società espellenti possono farsi carico, per un periodo massimo di tre anni, di una somma non superiore al 30% del trattamento economico del personale espulso, utilizzando esclusivamente le proprie disponibilità di bilancio e senza ricorrere ad ulteriori aggravi della finanza pubblica (derivabili, ad esempio, dalla richiesta di finanziamenti ad hoc all’ente controllante, eventualmente assentita dal medesimo). Ebbene, le somme corrisposte in tal senso dalle società cedenti alle società cessionarie, non concorrerebbero alla formazione del reddito imponibile, ai fini dell’imposizione statale sul reddito delle persone giuridiche e dell’applicazione dell’IRAP.

 

Ovviamente, anche quest’ultimissima dinamica agevolativa può andare ad integrare i contenuti dell’accordo inter/societario di mobilità.

 

In conclusione ed a completamento delle tecniche di salvataggio del personale eccedentario dipendente dalle società che gestiscono servizi pubblici, può essere riportata la soluzione abbozzata dal Tar Lombardia Brescia, sezione II, con la sentenza n. 780 del 23 settembre 2013, secondo cui, nei casi di traslazione di un servizio pubblico locale a rilevanza economica da un soggetto privato ad una società in house, per scelta strategica dell’ente titolare del servizio, può configurarsi una dimensione di protezione dei lavoratori originariamente impiegati nel servizio, non soltanto attraverso il tradizionale strumento della riqualificazione professionale afferente al sistema interno al gestore “accantonato”, ma anche avvalendosi della mediazione di “innovativi” accordi sindacali territoriali, preposti alla ricollocazione degli esuberi sulla holding locale (ad esempio, in più gestioni, per conto di comuni diversi). Tuttavia, la prospettata soluzione (da bacchetta magica!) pecca sotto svariati punti di vista: tra gli altri, cozza con l’introdotta necessità di selezione pubblica per accedere al posto in società partecipata e con i sempre più stringenti tetti di spesa che si dilatano progressivamente sugli enti derivati.

 

Ed infine, la cassa integrazione guadagni straordinaria! Utilizzabile nel caso di partecipazione di soggetti privati al capitale societario (a prescindere dall’entità percentuale di capitale in mano pubblica/privata)***.

 

 

Roberto Maria Carbonara,

segretario generale del comune di Segrate

 

 

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*Corte di Cassazione Civile, sentenze nn. 24259/2013, 6346/2013, 11465/2012, 2874/2012, 1461/2012.

 

**Diversi spunti critici della presente trattazione traggono fondamento da articoli di Luigi Oliveri, pubblicati sul quotidiano “Italia Oggi”.

 

***Ai sensi dell’interpretazione fatta propria dal Ministero del Lavoro, nella nota protocollo n. 19776/2010. Invece, nelle fattispecie di proprietà pubblica totalitaria del capitale sociale, la cigs potrebbe essere surrogata dall’applicazione di fondi di solidarietà bilaterali discendenti da accordi collettivi o, in mancanza, del fondo di solidarietà residuale, da istituirsi, ai sensi dell’art. 3, comma 19 della L. n. 92/2012, con Decreto del Ministero del lavoro e finanziarsi con oneri a carico dei datori di lavoro. 


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