I consigli di amministrazione delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni, devono essere composti da non più di tre membri, nei casi in cui dette società abbiano conseguito – con riferimento all’anno 2011 – un fatturato da prestazioni di servizi a favore di amministrazioni pubbliche superiore alla soglia del 90% del totale[1].
Si tratta, evidentemente, delle c.d. “società strumentali”, controllate da tutte le pubbliche amministrazioni e non solo dagli enti locali, come esplicitato dalla rubrica dell’articolo di legge – fonte, per l’appunto intestata “Riduzione di spese, messa in liquidazione e privatizzazione di società pubbliche”[2].
Estendendo l’ambito di analisi: i consigli di amministrazione delle altre società a totale partecipazione pubblica, diretta o indiretta, devono essere composti da tre o cinque membri, a seconda della rilevanza e della complessità delle attività svolte[3].
Anche in questo caso, il riferimento alle partecipazioni pubbliche coinvolge non solo gli enti locali ma, in generale, tutte le pubbliche amministrazioni, come palesato, oltre che dalla precitata rubrica, anche dall’ambito di applicazione dei commi successivi[4].
Entrambe le tipologie limitative entreranno assolutamente ed automaticamente a regime, a decorrere dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo al giugno 2014[5].
Difatti, l’operatività della “tagliola” appena descritta non può essere condizionata neppure dalla coeva approvazione di corrispondenti adeguamenti statutari: va “immediatamente” applicata, seppur contrastante con le previsioni statutarie, dato che sono oramai decorsi tutti i termini temporali originariamente configurati dalla normativa per l’armonica modellazione degli statuti[6].
Per quel che riguarda gli enti locali, la ratio complessiva del presente impianto normativo (preordinata alla contrazione della presenza degli enti pubblici nelle società ed alla conseguente riduzione dei discendenti costi, seppur indiretti), autorizza ad affermare che continua a trovare applicazione, nei limiti di compatibilità, la specifica previgente disciplina[7], recepita nell’art. 1, comma 729, della Legge Finanziaria 2007, secondo cui: il numero complessivo di componenti del consiglio di amministrazione delle società partecipate totalmente anche in via indiretta da enti locali, non può essere superiore a tre, ovvero a 5 per le società con capitale, interamente versato, pari o superiore all’importo di due milioni di euro[8] … Nelle società miste, il numero massimo di componenti del consiglio di amministrazione designati dai soci pubblici locali non può essere superiore a cinque.
L’architettura d’assieme assunta dal legislatore consente, comunque, di salvaguardare la nomina di amministratori unici (in luogo di consigli di amministrazione a tre o a cinque), sia per le società pubbliche tout court sia per le società locali, ed inoltre sia per le società strumentali sia per le società eroganti servizi pubblici locali: tale conclusione risulta, infatti, coerente colla logica di razionalizzazione e risparmio retrostante alla “spending review”, oltre che confortata dal codice civile, che sdogana appositamente le possibilità di gestione monistica (ad esempio, all’art. 2475: l’amministrazione delle società a responsabilità limitata, salvo diversa previsione dell’atto costitutivo, è affidata a uno o più soci).
Anzi, le novelle normative succedutesi nel tempo lasciano trasparire un netto favore per la nomina dell’amministratore unico.[9]
Anche se non va tralasciata l’esigenza di rispettare una certa proporzionalità tra consiglieri di amministrazione ascrivibili all’ente locale e quota di partecipazione dell’ente stesso, a fronte della “nuova” formulazione dell’art. 2449 del codice civile (se gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni, lo statuto può ad essi conferire la facoltà di nominare uno o più amministratori), introdotta con la novella del diritto societario del 2003/2004, meglio ossequiosa dei dettami europei. Difatti, malgrado possa essere astrattamente concepita la tesi secondo cui il criterio di rappresentanza non debba essere compresso e sacrificato da logiche meramente aritmetiche, queste non vanno comunque accantonate a cuor leggero e/o grossolanamente[10].
La “tagliola” trova, infine, applicazione anche alle ipotesi di componenti dei consigli di amministrazione “eccedentari”, che svolgano il loro compito senza alcun emolumento (a titolo gratuito) e, di conseguenza, senza alcun impegno di spesa gravante sui bilanci pubblici, per le seguenti ragioni:
– il tenore letterale delle disposizioni in esame, basta già di per se ad escludere ogni possibile assottigliamento del loro ambito applicativo;
– l’interpretazione rigorosa delle medesime disposizioni non consente di circoscrivere la loro diffusione in ambiti meramente sostanziali: sicuramente, l’intento primario del legislatore è stato quello del contenimento della spesa pubblica, ma non l’unico … Si è in presenza, altresì, di misure organizzative fondate (cumulativamente) sull’esigenza di perseguire una maggiore efficienza nell’amministrazione delle società partecipate[11].
Roberto Maria Carbonara, segretario comunale
[1] Art. 4, comma 4 del Decreto Legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni in legge 7 agosto 2012, n. 135, come sostituito dall’art. 16, comma 1, lett. a) del Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90, a sua volta convertito con modificazioni in legge 11 agosto 2014, n. 114.
[2] Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 186 del 3 maggio 2013.
[3] Art. 4, comma 5 del Decreto Legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni in legge 7 agosto 2012, n. 135, come sostituito dall’art. 16, comma 1, lett. b) del Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90, a sua volta convertito con modificazioni in legge 11 agosto 2014, n. 114.
[4] Giurisprudenza citata nella nota n. 2.
[5] Ai sensi del comma 2 dell’art. 16 del Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni in legge 11 agosto 2014, n. 114.
[6] Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 461 del 29 ottobre 2012.
[7] Giurisprudenza citata nella nota n. 2.
[8] Ai sensi del D.P.C.M. attuativo 26 giugno 2007, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana 7 agosto 2007, n. 182.
[9] La tesi risulta validata dall’esplicito dettato legislativo, dalla giurisprudenza citata nella nota 2 e dalla dottrina (Nico).
[10] Tribunale di Ragusa, sentenza del 24 febbraio 2014, su partecipazione societaria del Comune di Comiso.
[11] Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 19 del 5 dicembre 2007.