Come noto, è da tempo in corso un processo di progressiva introduzione di logiche di consolidamento tra gli enti locali e le società partecipate, allo scopo di fornire una rappresentazione aggregata della situazione del gruppo pubblico locale, anche ai fini dell’applicazione di determinati vincoli gestionali.In proposito, meritano senz’altro di essere segnalati i recenti provvedimenti che hanno imposto (in alcuni casi soltanto per gli enti di maggiore dimensione) la predisposizione del bilancio consolidato, con l’obiettivo di garantire la determinazione complessiva dei risultati (economico-patrimoniali) conseguiti (si tratta del D.Lgs. 118/2011 in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e della L. 213/2012 di conversione del D.L. 174/2012).

Tra gli aspetti specificamente disciplinati ai fini del consolidamento vi sono anche le spese di personale, in vista della verifica del raggiungimento della soglia che, se superata, comporta il divieto (mutuato dalle sanzioni previste per il patto di stabilità interno) di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi fattispecie contrattuale.

Si tratta, come noto, del calcolo del rapporto tra spese di personale e spese correnti per la verifica del rispetto del limite del 50%, nel quale – sulla base della modifica introdotta dalla L. 111/2011 all’art. 76 della L. 133/2008 – occorre computare le spese sostenute anche dalle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica.

Tale formulazione della disposizione ha, nondimeno, determinato alcune incertezze applicative, in relazione, principalmente, a tre aspetti, riguardanti le società partecipate da prendere in considerazione, le grandezze da assumere (integralmente o in base alla quota di partecipazione) nonché il parametro su cui incidere (esclusivamente il numeratore oppure anche il denominatore).

A chiarire l’applicazione di tali aspetti (di contenuto incerto) è intervenuta in diverse occasioni, e con riferimento ad una molteplicità di richieste degli enti, la magistratura contabile, con soluzioni tra di loro in parte contrastanti, soprattutto sulla determinazione del «denominatore» del rapporto.

Al riguardo di fondamentale importanza di presenta, anche per la Sezione da cui è stata elaborata, la Deliberazione n° 14/AUT/2011/QMIG della Sezione delle Autonomie della Corte dei Conti, che affronta le diverse questioni in gioco, in primis concernenti le società da considerare nell’ambito del consolidamento. In proposito, alla luce della formulazione normativa, è precisato come l’esclusione delle società che hanno ricevuto l’affidamento mediante l’evidenza pubblica si giustifichi per il presupposto che lo svolgimento di una procedura di gara può assicurare la presenza di requisiti di economicità, efficienza ed efficacia (che si riconducono all’art. 97 della Costituzione) in funzione del confronto competitivo che si sviluppa. Per le stesse ragioni possono considerarsi escluse da consolidamento anche le spese di personale delle società miste conformi (in tal senso, si veda la pronuncia della Sezione Regionale di Controllo della Lombardia n° 7/2012), che presentano le medesime logiche. Nel merito, poi, si ritiene che il concetto di «partecipazione totalitaria e di controllo» debba riferirsi alle società partecipate al 100% da un ente pubblico o da più enti pubblici congiuntamente nonché alle società che presentano le caratteristiche previste dai punti 1 e 2 del comma 1 dell’art. 2359 del codice civile. Si tratta, più specificamente, delle società in cui l’ente dispone della maggioranza dei diritti di voti esercitabili nell’assemblea ordinaria ovvero dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nella stessa assemblea ordinaria. E’ quindi esclusa la fattispecie nella quale il controllo (o meglio l’influenza dominante) viene esercitato attraverso particolari vincoli contrattuali, che costituisce il terzo caso previsto dal citato art. 2359 del codice civile. Sul punto, tra l’altro, la pronuncia non consente un’interpretazione estensiva dei soggetti da considerare, per quanto più coerente sul piano sistematico: è, infatti, precisato che il chiaro riferimento normativo alle «società» induce a ritenere che non debbano essere considerate le spese di personale delle aziende speciali e delle fondazioni. In ordine alla soluzione accolta, non sembra essere stato adeguatamente valorizzato il carattere «locale» che dovrebbe connotare la partecipazione pubblica totale o di controllo per renderla rilevante rispetto alla disposizione in commento, che imporrebbe un controllo da parte di enti locali e non necessariamente di enti pubblici. Passando, invece, alle grandezze da prendere in considerazione ai fini del calcolo è indicato come il problema nasca dalla locuzione utilizzata dal legislatore, che fa riferimento al concetto di «spesa» (tipico degli enti locali) e non di «costo» (tipico delle società). Soluzione che fa teoricamente ipotizzare la possibilità di tenere conto esclusivamente di quelle voci del conto economico che hanno anche una dimensione finanziaria (i cd. «costi monetari»), con esclusione degli ammortamenti, degli accantonamenti e dei fondi diversi. In realtà, secondo la Sezione delle Autonomie, deve essere valorizzato maggiormente l’obbligo societario di predisporre i bilanci sulla base del principio della competenza economica (di cui all’art. 2423 bis del codice civile), assumendo il dato ufficiale compreso nel conto economico senza alcuna detrazione a titolo di accantonamenti o fondi diversi. Di conseguenza, risulta necessario – correttamente – utilizzare il dato che emerge dal bilancio delle partecipate, contenuto nella voce 9 del conto economico che, appunto, si riferisce ai costi per il personale, assimilando così il concetto di spesa al concetto di costo. Soluzione che, tra l’altro, presenta una maggiore semplicità applicativa, posto che evita di effettuare rielaborazioni dei bilanci delle società partecipate dall’ente locale. I costi di personale così individuati devono, poi, essere attribuiti all’ente locale in funzione non della percentuale di capitale detenuta bensì dei corrispettivi a carico dello stesso ente ovvero dei ricavi tariffari di rispettiva competenza, come risultanti dai questionari. Tale grandezza, infatti, secondo la pronuncia, rappresenta lo strumento più efficace e significativo per attribuire all’ente la (quota di) spesa di personale delle società associabile ai servizi resi ed alle prestazioni erogate. Si tratta di una soluzione che, a prescindere da qualsiasi altra considerazione, genera non pochi problemi applicativi, soprattutto per le società che sono partecipate da una pluralità di enti locali. Da una parte, perché si tratta di una grandezza «variabile» di anno in anno e, consequenzialmente, pone periodicamente la necessità di eseguire delle rideterminazioni in funzione dei singoli bilanci, modificandosi così, in base all’annualità, anche la quota di spesa di personale da attribuire all’ente. Dall’altra parte, perché i dati necessari per effettuare il calcolo non sono immediatamente disponibili nelle informazioni rilasciate dal bilancio di esercizio ovvero presuppongono ulteriori rielaborazioni, non tanto per le società strumentali quanto per le società che svolgono servizi pubblici locali. In quest’ultimo caso, infatti, occorrerebbe tenere altresì conto dei ricavi tariffari associati agli utenti di ciascun ente, essendo la remunerazione del servizio non necessariamente garantita dall’amministrazione locale (il cui intervento normalmente si limita alla copertura dei «costi sociali»). Secondo la magistratura contabile il metodo di calcolo, quindi, si potrebbe concretizzare in una proporzione, il cui risultato è costituito proprio dalla quota parte di spese di personale da consolidare con l’analoga spesa dell’ente locale. Tale proporzione sarebbe la seguente: il valore della produzione della società sta alle spese totali del personale (voce B9) come il corrispettivo (ed i ricavi tariffari) sta alla quota di costo del personale attribuibile all’ente, che costituisce l’incognita da calcolare. Determinata così la quota di spesa attribuire, essa deve sommarsi alle spese di personale di ciascun ente (calcolata al loro delle voci escluse) allo scopo di calcolare la soglia necessaria per verificare la possibile di procedere ad assunzioni di personale, tenendo conto dei limiti normativi. A tale scopo tale aggregato deve essere confrontato con le spese correnti dell’ente locale, essendo esclusa dalla pronuncia la possibilità di consolidare anche i costi delle società partecipate: di conseguenza, occorre agire esclusivamente sul numeratore del rapporto (spese di personale) e non sul denominatore (spese correnti) con una soluzione che certamente risulta penalizzante. Peraltro, sottolinea conclusivamente la Corte dei Conti, si tratta di una soluzione transitoria, in attesa che si compia il percorso (delineato dal D.Lgs. 118/2011) che dovrebbe portare all’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi, con la conseguente predisposizione del bilancio consolidato, da cui potranno essere tratte le informazioni necessarie per la (più puntuale) determinazione della soglia. Secondo la pronuncia, quindi, il consolidamento deve riguardare esclusivamente le spese di personale (non le spese correnti) in funzione dell’incidenza dei corrispettivi erogati dall’ente ovvero dei ricavi tariffari sviluppati per effetto dell’affidamento da parte dell’ente rispetto all’entità del valore della produzione complessivamente considerato. Emerge in tutta evidenza come il nodo critico dell’indicazione sia rappresentata dal trattamento riservato al denominatore, che continuerebbe ad essere costituito esclusivamente dalle spese correnti sostenute dall’ente locale, con un esito fortemente penalizzante e certamente non corrispondente alla situazione (alla cui ricostruzione mirano le logiche di consolidamento) che si avrebbe qualora fosse l’amministrazione pubblica a svolgere direttamente i servizi esternalizzati. Tanto è vero che, proprio su tale punto, le Sezioni Regionali di C
ontrollo della Corte dei Conti hanno ritenuto di assumere posizioni diverse, anche con motivazioni del tutto condivisibili ed appropriate. Sulla questione era già intervenuta, peraltro, prima della Sezione delle Autonomie, la Sezione Toscana (pronuncia n° 208/2011) che, alla luce delle difficoltà interpretative, aveva sottoposto al Presidente della Corte dei Conti la valutazione in ordine all’opportunità di rimettere la questione alle Sezioni Riunite, per ottenere una pronuncia definitiva. Tale pronuncia aveva adottato un’impostazione diversa e meno penalizzante per gli enti (rispetto a quella accolta dalla Sezione delle Autonomie) in ordine alla quantificazione del denominatore, ossia alle spese correnti da confrontare con la spesa di personale. Ciò in funzione delle specifiche caratteristiche delle società prese in considerazione, in funzione – soprattutto – dell’attività svolta. Secondo l’interpretazione, infatti, in riferimento alle società strumentali (ovvero alle società che vivono esclusivamente di risorse provenienti dall’ente locale) è opportuno operare una somma in relazione alla sola spesa di personale senza eseguire operazioni sul denominatore, nel ragionevole presupposto che la spesa corrente è erogata proprio dall’ente stesso, non potendo – conseguentemente – essere computata due volte. Per le altre società, invece, che non vivono esclusivamente di risorse provenienti dall’ente (come, tipicamente, si verifica per le società di servizi pubblici locali) non risulta possibile prescindere dal valutare quanto l’ente eroga in virtù di un contratto di servizio (ovvero ad altro titolo) e sommare alla spesa corrente dell’ente la spesa corrente societaria che supera tale importo, rimodulata in proporzione alla partecipazione detenuta. Di conseguenza, al denominatore devono concorrere tutti i costi presenti nel conto economico delle società, seppure (e si tratta di un aspetto fortemente critico) secondo modalità che consentano di evitare di computare due volte le medesime voci. In particolare, nel caso di specie, il problema si pone per i corrispettivi dei contratti di servizio, che costituiscono spesa corrente per l’ente ma che si ritrovano altresì nel bilancio delle società come ricavi, allo scopo di dare copertura ai costi di esercizio. Va detto, peraltro, che una successiva pronuncia, della stessa Sezione (n° 3/2012), aveva realizzato un adeguamento rispetto alle indicazioni della Sezione delle Autonomie in relazione alla determinazione della quota da consolidare, ritenendo di accogliere l’ammontare dei corrispettivi maturati (derivanti anche dalle contribuzioni dell’ente-socio). Fattispecie diversa, poi, è stata esaminata dalla Sezione della Lombardia (nel parere n° 75/2012) che ha preso in considerazione le problematiche di consolidamento delle spese di personale di una società che si occupa esclusivamente della gestione di una farmacia. In questo caso la peculiarità consiste nella circostanza che l’ente non corrisponde alcuna somma alla società, essendo anzi quest’ultima a versare al primo un apposito canone di concessione. Secondo la magistratura contabile, in tale ipotesi, la spesa di personale della partecipata deve essere consolidata (concorrendo al numeratore) in funzione dell’incidenza dei ricavi delle vendite rispetto alla generalità del valore della produzione (composto, ad evidenza, anche da altre voci). Al denominatore, però, risulta necessario aggiungere alle spese correnti dell’ente l’ammontare dei ricavi sviluppati dalla gestione della farmacia, al fine di garantire un confronto appropriato. Siffatta soluzione, che riprende le logiche di fondo della pronuncia della Sezione delle Autonomie nella parte in cui considera i ricavi per determinare la quota parte di spesa da attribuire, si differenzia per il trattamento riservato proprio al denominatore. Quest’ultimo, difformemente dalle indicazioni della Sezione delle Autonomie, infatti, risulta rettificato e, difformemente rispetto alle indicazioni della Sezione della Toscana, è incrementato dei ricavi e non dei costi d’esercizio. L’obiettivo, in entrambi i casi è analogo e consiste nell’avvicinare l’incidenza a quella che si determinerebbe se la gestione del servizio fosse direttamente svolta dall’ente (soluzione che, ad evidenza, richiederebbe non solo l’imputazione delle spese di personale). Sono tuttavia diverse le grandezze considerate: da una parte i costi d’esercizio e, dall’altra parte, i ricavi che, comprendendo anche una quota di utile, determinano una minore entità del consolidamento realizzato. L’opportunità di “agire” non solo sul numeratore ma anche sul denominatore (al di là del contenuto letterale della disposizione) è anche condivisa recentemente dalla Sezione Regionale di Controllo del Veneto della Corte dei Conti (parere n° 48/2013). Secondo quest’ultima, in particolare, seguendo la Sezione delle Autonomie «l’aggiunta, sia pure pro quota, della spesa di personale sostenuta dalla società partecipata al numeratore, infatti, non trova un “bilanciamento” nel correlativo ampliamento della voce posta al denominatore, corrispondente al quantum corrisposto alla società medesima dall’ente per la prestazione del servizio». Così procedendo, in particolare, sussiste il rischio di penalizzare gli enti che detengono partecipazioni soprattutto o esclusivamente in società che provvedono a riscuotere il prezzo del servizio direttamente dagli utenti, anche per le specifiche caratteristiche dell’attività svolta. Per superare tale problematica, una soluzione praticabile (consimile a quella proposta dalla Sezione della Lombardia) è – secondo la Sezione Veneta – quella di aggiungere al denominatore della frazione «la quota degli introiti da tariffa riferibile al singolo socio-comune», e (prima ancora) di sostituire, nella proporzione, il “corrispettivo” con i “ricavi” da tariffa introitati dalla società. Rispetto alla quantificazione del “denominatore” del rapporto, infine, è anche da ricordare la soluzione inizialmente proposta dall’ANCI, in un apposito documento predisposto (però) prima della pronuncia della Sezione delle Autonomie. L’associazione rappresentativa dei comuni, al fine di evitare una non corretta duplicazione delle voci, ha suggerito due soluzioni, entrambe ritenute «rigorose» dal punto di vista logico-contabile. La prima consiste nel calcolare il rapporto ponendo al numeratore la somma tra la spesa di personale dell’ente e delle società partecipate (per la percentuale detenuta) e, al denominatore, la somma della spesa corrente dell’ente con la quota percentuale di costi della società non coperta attraverso i corrispettivi erogati dal medesimo ente. Per determinare quest’ultima quota è possibile rapportare i ricavi derivanti dal contratto di servizio in essere con la generalità dei ricavi conseguiti dalla società. La seconda, più coerente con le regole di formazione dei bilanci consolidati, invece, consiste nel porre al numeratore la somma tra la spesa di personale dell’ente e delle società partecipate (per la percentuale detenuta) e, al denominatore, la somma della spesa corrente dell’ente con i costi della società, al netto della parte di spesa che, nel bilancio dello stesso ente, è destinata a coprire i corrispettivi del contratto. In questa seconda soluzione, quindi, è scomputato dal denominatore l’importo che determinerebbe effettivamente la duplicazione, essendo già ricompreso nell’ambito delle spese correnti dell’ente locale. Come emerge chiaramente dalle considerazioni che precedono, la determinazione del rapporto tra spese di personale e spese correnti (che se superiore al 50% fa scattare il divieto di assunzione a qualsiasi titolo e con qualsivoglia fattispecie contrattuale) impone la preventiva individuazione di un appropriato criterio di riferimento, soprattutto sul trattamento da riservare al “denominatore”, tra quelli proposti dalla magistratura contabile in relazione alla tipologia di società considerata. La scelta inizialmente compiuta dalla Sezione delle Auto
nomie, infatti, destinata a realizzare il consolidamento esclusivamente al numeratore, è stata sostanzialmente sconfessata dalle pronunce successive delle Sezioni Regionali di Controllo che hanno ritenuto più efficace e razionale intervenire anche sul denominatore, integrando le spese correnti dell’ente. Di tali incertezza ha preso atto anche la stessa Sezione delle Autonomie che, nella predisposizione del questionario (dei revisori) al bilancio di previsione 2012, ha chiesto specificamente di indicare se nella determinazione del rapporto tra spese di personale e spese correnti è stata seguita la metodologia individuata dalla deliberazione n° 14/2011 oppure un’altra metodologia, che dovrà essere opportunamente esplicitata.

(F.F. – M.R.)


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