Anche per le aggiudicazioni dei servizi pubblici locali, vale il principio generale della gara.

Simmetricamente, gli affidamenti diretti sono relegati negli stretti confini delle deroghe eccezionali, di rigorosissima interpretazione (c.d. insuscettibilità di estensioni analogiche).

In tale scenario, si muovono pure le società miste, che si giustificano quali peculiari modalità di partenariato pubblico – privato per la gestione di specifici servizi lungo intervalli di tempo ben determinati (circoscritti).

In effetti, esse appaiono soltanto superficialmente come affidatarie immediate e dirette  di servizi pubblici locali ma in realtà non rappresentano un esenzione dalle direttrici dell’evidenza pubblica.

Viene semplicemente a mutare l’oggetto della gara, che deve comunque essere esperita: non più per scovare il terzo gestore del servizio, bensì il partner privato con cui gestire il servizio.

Tuttavia, affinchè la selezione del socio privato possa fungere anche da procedura di affidamento di appalti o concessioni (assorbendola), occorre che la corrispondente gara rispetti le seguenti condizioni:

1) coevamente: adeguata ponderazione dei retrostanti interessi, anche economici, che inducano l’ente locale alla scelta discrezionale della forma societaria mista, comportante (diversamente dall’ “in house”) una vera e propria esternalizzazione di funzioni proprie; entrando nello specifico, deve seriamente prospettarsi un’azione amministrativa più efficiente ed efficace, fortemente improntata a criteri di economicità, con arricchimento del know how pubblico ed alleggerimento degli oneri finanziari incombenti sulla collettività;

2) garanzia, in favore di ogni potenziale offerente, di adeguato livello di pubblicità, che consenta l’apertura del mercato dei servizi alla libera concorrenza, secondo trasparenza e parità di trattamento degli operatori;

3) inclusione, nel bando di gara e/o nel capitolato d’oneri, di informazioni analitiche sul servizio da conferire all’entità a capitale misto; in tal senso, vanno evitati i generalismi approssimativi (tipo, “attività di raccolta dei rifiuti di tutti i comuni ricompresi nell’ambito territoriale ottimale” o “realizzazione di tutti quegli interventi che l’ATO provinciale decida di finanziare con i propri piani annuali”) nonchè le clausole aperte – c.d. “cambiali in bianco” (tipo, “il servizio di raccolta dei rifiuti potrà essere esteso a tutti i comuni che ne facciano richiesta”); ad ulteriore sviluppo, la realizzazione, la modifica improvvisa ed a posteriori o il venir meno della missione (oggetto) sociale, pregiudicherebbe l’operatività della società e, a monte, la stessa partecipazione del privato; “dogmaticamente parlando”, il rispetto delle regole prescritte per l’affidamento del servizio finisce col riflettersi dialetticamente non solo (ovviamente) sul piano genetico, bensì (e soprattutto) su quello funzionale;

4) indicazioni, sempre nel bando di gara e/o nel capitolato d’oneri, sulla durata preventivata del rapporto gestorio, evitando gli ordini di grandezza esorbitanti; anche se, più correttamente, occorre porsi il problema, sin dalla predisposizione degli atti di gara, di come consentire, alla scadenza del contratto, l’eventuale svolgimento di una nuova gara per la scelta di un nuovo socio; in altri termini, non risulta sufficiente la pura e semplice delimitazione temporale dell’affidamento, rivestendo invece carattere esiziale la previsione di un obbligo di cessione della quota del socio privato a condizioni predeterminate all’eventuale nuovo socio, da individuarsi sempre secondo raffinate tecniche d’evidenza pubblica; il tutto, al fine di prevenire l’aberrante situazione che sarebbe data dall’assenza della previsione circa la rinnovazione delle procedure di selezione del socio privato alla fine del periodo di affidamento, enfatizzabile col dictum “ socio iniziale – di fatto – socio stabile”, in barba alle logiche della concorrenza!

5) restrizione dell’operatività della società mista nei limiti dell’affidamento iniziale, senza possibilità di conferimento di ulteriori missioni (non originariamente configurate), con salvezza dei battesimi di gara;

6) il socio privato deve essere reclutato previa verifica circa il possesso di congrui requisiti: finanziari (ad esempio, fatturato complessivo che dimostri robustezza imprenditoriale; capacità di fornire finanziamenti rimborsabili a tasso agevolato e in tempi prolungati per l’esecuzione di progetti operativi strategici; capacità di corrispondere un sovrapprezzo sul valore di sottoscrizione delle azioni, da versare nelle casse societarie alla stregua di finanziamento iniziale); tecnici (ad esempio, presenza di un organico del personale particolarmente attrezzato nelle varie qualifiche professionali; disponibilità di una struttura di mezzi d’opera idoneamente individuata e da fornire alla società, tale da consentire l’immediata operatività); operativi; e di know how gestionale (ad esempio, pluriennale esperienza di settore); tutti ovviamenteafferenti al servizio da svolgere e alle prestazioni da fornire (c.d. gara a doppio oggetto); detta congruità va intesa anche nel senso dell’illegittimità di requisiti troppo pretenziosi e/o dilatati, tali da indurre potenziali concorrenti a non presentare affatto domanda di partecipazione alla selezione, proprio per la maturazione di una situazione confusa, ovverosia per l’assenza di elementi inequivocabili per effettuare una corretta valutazione sulla convenienza/opportunità (c.d. rapporto costi/benefici) dell’acquisizione della qualifica di socio operativo;

7) configurazione di equilibrata governance pubblica, senza mortificazione degli interessi privati, anche avvalendosi di patti parasociali, già preconfezionati negli atti di gara;

8) assegnazione al socio privato delle attività necessarie all’esecuzione del rapporto contrattuale, suscettibili di rendere utilità economiche, a salvaguardia dei dettami della concorrenza: tale garanzia si ottiene, per l’appunto, solo se il capitale pubblico interviene e si movimenta senza sottrarre all’imprenditoria privata le utilità che questa avrebbe potuto trarre da un affidamento d’appalto tradizionalmente inteso;

9) configurazione di agevoli meccanismi sostitutivi/espulsivi del socio industriale inottemperante.

Di conseguenza, quali inevitabili corollari degli assetti appena delineati:

a) le società miste cosiddette aperte, ovverosia costituite per finalità indifferenziate, non si prestano all’affidamento diretto di servizi pubblici locali, non riuscendo ad agganciare la “deroga” di cui si è disquisito;

b) risultano inutilmente apprese le partecipazioni azionarie “posteriori” in società miste, precedentemente costituite per la gestione di servizi pubblici locali, qualora detta apprensione avvenga al di fuori del sacro perimetro competitivo eretto dagli ordinamenti statuale e comunitario e modellato dalla giurisprudenza sia nazionale sia comunitaria. E questo vale sia per gli enti pubblici (ad esempio, il comune che si insinui in società mista extra territoriale) sia per gli operatori economici (è ricorrente il caso dell’imprenditore – speculatore, che fiuti l’affare avvalendosi di mere logiche di circuitazione delle azioni)[1].

 

Roberto Maria Carbonara, segretario comunale

 


[1] Il presente contributo è ispirato da: Tar Lombardia Milano, sezione quarta, sentenza n. 2120 del 29 luglio 2014; Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenze nn. 2348 del 20 aprile 2012, 7533 del 15 ottobre 2010, 7214 del 30 settembre 2010, 5214 del 4 agosto 2010 e 824 del 13 febbraio 2009; Tar Liguria, sezione seconda, sentenza n. 111 del 18 gennaio 2012; Deliberazione Avcp n. 9 del 26 gennaio 2011; Parere Avcp sulla normativa del 19 maggio 2011, rif. AG 3/2011; Corte di Giustizia UE, causa C-196/08, sentenza del 15 ottobre 2009; Tar Puglia Bari, sezione prima, sentenza n. 1525 del 12 maggio 2009; Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza n. 4603 del 23 settembre 2008 … Senza dimenticare la relazione didattica di Eugenio Mele “Società Miste Pubblico – Privato. La scelta del socio privato”.


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