Si intende rappresentare, con il presente contributo, un punto della situazione sugli scenari controversi del servizio cimiteriale d’illuminazione votiva.

La giurisprudenza “minoritaria di lotta” ha cercato di sostenere prospettive di buon senso riguardo agli assetti dell’illuminazione votiva, imperniate sulla costante praticabilità, da parte degli enti locali, di gestioni “immediate e dirette”, soprattutto quando si tratti di attività di modesto impegno finanziario, comportanti un volume d’affari non superiore alle poche migliaia di euro all’anno.

Secondo questa impostazione, nessuna norma obbligherebbe i comuni all’affidamento esterno dei servizi a connotazione “socio/ambientale”, come confermato dalla prassi estremamente ricorrente su centri assistenziali, case di accoglienza, case di riposo, case famiglia, assistenza domiciliare per anziani e disabili, asili nido, mense scolastiche, scuola-bus, biblioteche, impianti sportivi, ecc.

Ad ulteriore sostegno della tesi, non si concepisce lo sforzo connesso al rintracciare un’esplicita disposizione positiva, autorizzatoria della gestione interna di un servizio appartenente allo storico “core” dell’ente locale; si reputa, in tal senso, sufficiente l’insussistenza di divieti, impliciti e/o espliciti.

Si ritiene, addirittura, inverosimile che un comune di dimensioni medio/piccole non possa condurre in economia un servizio semplice come quello dell’illuminazione votiva cimiteriale, in considerazione, altresì, dei maggiori esborsi derivabili dall’esternalizzazione (compresi i costi delle formalità di gara, necessarie al reclutamento del contraente privato); in caso contrario, si violerebbe il principio fondante di buon andamento dell’azione amministrativa.

L’impostazione appena delineata viene “dogmaticamente” collocata, escludendo il rilievo economico del servizio, a fronte degli scarsi margini di profitto ricavabili[1].

La giurisprudenza maggioritaria si è invece consolidata, se non addirittura stratificata, in una dimensione parecchio differente, configurando l’illuminazione elettrica votiva di aree cimiteriali, a tutti gli effetti, quale servizio pubblico locale a rilevanza economica e a fruizione individuale, non gestibile in economia, bensì da esternalizzare o condurre con i moduli societari consentiti dall’ordinamento.

Si è fondato l’assunto appena riportato sulle seguenti argomentazioni:

–        Il servizio in se considerato comporta l’impegno di cospicui capitali, mezzi, personale, in un’attività economicamente rilevante, a fronte della sua capacità di generare un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull’assetto concorrenziale del mercato di settore;

–        La natura di “servizio pubblico locale” dell’insieme delle prestazioni in esame, discende direttamente dalle finalità delle stesse, esemplificabili nel soddisfacimento del sentimento religioso e della “pietas” di coloro che frequentano il cimitero: trattasi di finalità sociali di promozione dello sviluppo civile della comunità locale;

–        Nella vasta casistica concessoria, intesa quale modalità esternalizzata di gestione del servizio, ricorrono tutti i tratti distintivi della “concessione di pubblico servizio”, ossia: a) assunzione del rischio legato alla gestione del servizio, quale principale modalità  di remunerazione del prestatore/concessionario; b) erogazione di un canone a vantaggio della pubblica amministrazione, da parte del concessionario, quale corrispettivo della “rendita di posizione” (monopolistica), conferita dalla pubblica amministrazione medesima; c) trilateralità del rapporto giuridicamente rilevante (pubblica amministrazione concedente/concessionario gestore/utenti del servizio – frequentatori del cimitero)[2].

Il Legislatore del “dopo referendum” ha cercato, in sede di (tentativo) di riassetto dei servizi pubblici locali, di approntare una risposta all’annosa “querelle”, introducendo (addirittura), con l’art. 34, comma 26, del D.L. n. 179 del 18 ottobre 2012, convertito con modificazioni nella Legge n. 221 del 17 dicembre 2012, una disciplina speciale per il servizio d’illuminazione votiva, imperniata sui seguenti capisaldi:

–        Esigenza di aumentare la concorrenza di settore;

–        Codifica esplicita dello strumento concessorio, quale modalità ordinaria di svolgimento del servizio (ma non esclusiva?);

–        Espunzione del servizio dal novero dei servizi comunali a domanda individuale di cui al Decreto del Ministro dell’Interno 31 dicembre 1983, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 16 del 17 gennaio 1984;

–        Conseguente applicazione, nelle procedure di affidamento del servizio, della disciplina della concessione di servizio di cui all’art. 30 del Codice dei contratti pubblici;

–        Possibilità di applicazione delle metodiche di gestione in “economia” di cui all’art. 125 del medesimo codice, ricorrendo le condizioni, ivi esplicitate, di particolare “modestia”, soprattutto economica, del servizio.

Sicuramente, è un bel passo in avanti!

Viene, quanto meno, tracciato un percorso minimale, in grado di attenuare i rischi di errore, ossia:

–        Grazie all’esplicito rinvio all’articolo 125 del codice (ed in particolare ai commi 1, 2, 3, 9 e 10), non è esclusa la gestione diretta in economia del servizio, con personale dipendente dell’ente e piccoli appalti strumentali, ove la dimensione delle prestazioni sia non troppo complessa, dal punto di vista tecnico ed economico;

–        Grazie all’esplicito rinvio all’art. 30 del codice, le situazioni di maggiore complessità andranno canalizzate nel modulo della concessione di servizio, con possibilità di sviluppo di ulteriori graduazioni: a) volumi d’affari inferiori ad € 40.000 – esperibilità di affidamenti diretti a concessionari privati; b) nell’infra/soglia 40.000/200mila circa, esperibilità di procedure negoziate di reclutamento del concessionario, coinvolgendo almeno 5 operatori del settore; c) obbligo di procedura d’evidenza pubblica vera e propria, al di sopra della soglia di rilievo comunitario. Fermi restando gli obblighi di ricorso a CONSIP e/o al MEPA.

Il legislatore nazionale, tuttavia, non è riuscito a risolvere ogni dubbio.

E’ rimessa alla prossima esegesi giurisprudenziale la soluzione dei seguenti quesiti:

–        L’espunzione dell’illuminazione votiva dal novero dei servizi comunali a domanda individuale, ne ha determinato una mutazione genetica? E’ esclusa in radice, quindi, la natura di servizio pubblico locale, con degradazione a semplice “servizio da codice dei contratti pubblici”[3]? E’, conseguentemente, preclusa in assoluto la possibilità di ricorso al modello societario (ovviamente, in presenza di congrue ragioni d’efficacia/efficienza/economicità, agevolmente rinvenibili nei casi, ad esempio, d’armonizzazione con l’illuminazione pubblica generale), nonostante la “riemersione” dell’ “in house” quale modulo generale dell’azione amministrativa locale?

–        Quale la soglia economico/qualitativa delle gestioni “immediate e dirette” in economia, con personale proprio della stazione appaltante, ex art. 125 – commi richiamati?

Roberto Maria Carbonara*

* Segretario generale del comune di Segrate


[1] Le posizioni “minoritarie e di lotta” si rivengono in: Tar Lazio Roma, sez. II ter, sentenza n. 1077 del 4 febbraio 2011; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 552 del 26 gennaio 2011.

[2] Le posizioni “maggioritarie” si rivengono “ex multis” in: Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 435 del 24 gennaio 2013; Tar Sicilia Catania, sez. II, sentenza n. 1993 del 3 agosto 2012; Tar Campania Napoli, sez. I, sentenza n. 2409 del 29 aprile 2011; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1784 del 24 marzo 2011; Tar Lombardia Milano, sez. I, sentenza n. 450 del 11 febbraio 2011; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 5620 del 11 agosto 2010; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1790 del 29 marzo 2010; Tar Emilia Romagna Bologna, sez. I, sentenza n. 460 del 29 gennaio 2010; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 6049 del 5 dicembre 2008; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1600 del 14 aprile 2008.

[3] La previgente ascrizione dell’illuminazione votiva nel novero dei servizi a domanda individuale, ha rappresentato un vero e proprio “cavallo di battaglia” per la giurisprudenza maggioritaria, a supporto della tesi della natura “esclusiva” di servizio pubblico locale a rilevanza economica, senza possibilità di ulteriori collocazioni (deducendo – di conseguenza – l’inapplicabilità dell’istituto “concessione di servizio” di cui all’art. 30 del codice dei contratti pubblici!).


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