La gestione degli stabilimenti balneari rientra tra i servizi pubblici locali di rilevanza economica.

L’antieconomicità delle condizioni economiche previste dai patti parasociali e dallo statuto, che di fatto spossessano il Comune socio di maggioranza, da ogni beneficio economico, sono ragioni sufficenti a giustificare lo scioglimento di una società mista costituta per il servizio pubblico di gestione dell’area demaniale.

Non rileva la mancata comunicazione formale ex art. 7 della legge n. 241 del 1990 dell’avvio del procedimento ai soci privati,  se risulta che questi hanno avuto comunque conoscenza aliunde della pendenza dello stesso (ex multis Cons. Stato, V, 7 dicembre 2005, n. 6990).

Consiglio di Stato, sez V, sentenza n. 05193 del 9 dicembre 2016, Pres. Giuseppe Severini, Est. Stefano Fantini


A margine

Con la sentenza annotata, i Giudici di Palazzo Spada hanno accolto l’appello avverso la sentenza del T.A.R. Liguria, sez. I, n. 00400/2016, concernente la liquidazione di una societa’ a maggioranza comunale costituita per la gestione delle spiagge libere e attrezzate e la decadenza delle relative concessioni demaniali, concludendo che dal punto di vista dell’ente pubblico il mero profilo del non adeguato perseguimento delle  finalità istituzionali da parte di una società mista  giustifica la decisione del suo scioglimento.

La decisione è molto attuale considerato che gli enti locali devono provvedere ell’assetto complessivo delle società  in cui detengono partecipazioni, dirette o indirette, e alla loro revisone straordinaria  ai sensi di quanto imposto dall’art. 24 del  TU n. 175 del 2016 , e decidere la loro sorte sulla base di parametri di valutazioni molto stringenti.

Il Consiglio di Stato ha richiamato, innazitutto, la pronuncia della Corte costituzionale 20 luglio 2012, n. 199, secondo cui « i servizi pubblici di rilevanza economica possono essere gestiti vuoi mediante il mercato, vuoi attraverso il partenariato pubblico-privato (ossia mediante una società mista, e dunque con una “gara a doppio oggetto” per la scelta del socio e poi per la gestione del servizio), vuoi attraverso l’affidamento diretto, in house; la preferenza per l’uno o l’altro modello costituisce frutto di una scelta ampiamente discrezionale, che va adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano (in termini anche Cons. Stato, V, 22 gennaio 2015, n. 257).»

Ha annotato poi, correttamente, che la scelta discrezionale dell’ente nell’individuare l’uno o l’altro modello organizzativo, seppure ampia, non è del tutto libera, in quanto deve essere improntata ai principi di economicità, efficacia ed efficienza, oltre che corrispondere ad una finalità propria dell’ente. Mentre nella fattispecie oggetto dell’appello è stata accertata dalla documentazione in atti  che «il Comune in qualità di socio di maggioranza (detenendo il 51 per cento del capitale sociale) non ritraeva più alcuna partecipazione agli utili». Al contrario, con il ricorso all’alternativo modello dell’affidamento della gestione del servizio ad un concessionario, avrebbe potuto percepire un congruo canone per ogni singola spiaggia.

Per giungere a questa conclusione, la Sezione ha dovuto risolvere la questione preliminare della qualificazione o meno della gestione degli stabilimenti balneari come servizi pubblici locali, ed ha concluso che si tratta di servizio pubblico di rilevanza economica, come confermato non solo dalla sua inclusione ad opera del d.m. 31 dicembre 1983 tra i “servizi turistici diversi”, ma anche dalla circostanza che «la gestione  assunta da una società a partecipazione pubblica prevalente induce a ravvisare una connotazione in termini di servizio pubblico, per regola generale desumibile dall’art. 4 d.lgs. 18 agosto 2016, n. 175 secondo cui «le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente od indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società». Il predetto art. 4, comma 2, chiarisce, in modo complementare al primo comma, che le amministrazioni pubbliche possono costituire società esclusivamente a taluni fini, tra cui quello di «gestione di un servizio d’interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all’art. 180 del decreto legislativo n. 50 del 2016 […]».

avv. Giuseppe Panassidi


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