Il divieto di soccorso finanziario degli organismi partecipati dalle amministrazioni è espressivo di un vero e proprio principio di ordine pubblico economico, fondato su esigenze di economicità e razionalità nell’utilizzo delle risorse pubbliche e di tutela della concorrenza e del mercato.

Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 17 luglio 2019, n. 296, Presidente f.f. Degni, relatore Caleo

A margine

Il caso – In esecuzione delle decisioni dell’Assemblea consortile, il commissario liquidatore di un consorzio in perdita da 3 esercizi domanda ai comuni consorziati di versare le quote prescritte dallo statuto a titolo di contributo ordinario e di reintegro del fondo consortile.

La Corte dei conti viene richiesta di chiarire se il divieto di cui all’articolo 14, comma 5, del TUSP, si applichi anche alle partecipazioni detenute da enti locali in consorzi tra imprese, disciplinati in via generale dagli articoli 2602 e ss del codice civile e da specifiche previsioni pattizie.

La deliberazione – Come noto, il TUSP prevede il cd divieto di “soccorso finanziario” nei confronti delle partecipate, stabilendo in particolare che “Le amministrazioni … non possono, salvo quanto previsto dagli articoli 2447 e 2482-ter del codice civile, sottoscrivere aumenti di capitale, effettuare trasferimenti straordinari, aperture di credito, né rilasciare garanzie a favore delle società partecipate …. che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali ….”.

Come più volte rimarcato dalla giurisprudenza contabile (Cfr. Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, deliberazione n. 279/2015/PAR), l’art. 14 del d.lgs. n. 175/2016 impone l’abbandono della logica del “salvataggio a tutti i costi” di strutture ed organismi partecipati che versano in situazioni di irrimediabile dissesto.

Non sono quindi ammessi “interventi tampone” con dispendio di disponibilità finanziarie a fondo perduto, erogate senza un programma industriale o una prospettiva che realizzi l’economicità e l’efficienza della gestione nel medio e lungo periodo.

Scopo della disposizione è quello di frenare la prassi di procedere a ricapitalizzazioni e ad altri trasferimenti straordinari per coprire le perdite strutturali delle proprie società, fenomeno che, oltre a impattare negativamente sui bilanci pubblici, si pone in contrasto con le disposizioni dei trattati europei che vietano che, soggetti che operano nel mercato comune, beneficino di diritti speciali o esclusivi, o comunque di privilegi in grado di alterare la concorrenza “nel mercato”.

Per questi fini il TUSP “fissa un generale divieto di disporre, a qualsiasi titolo, erogazioni finanziarie “a fondo perduto” in favore di società in grave situazione deficitaria, relegando l’ammissibilità di trasferimenti straordinari ad ipotesi derogatoria e residuale, percorribile con finalità di risanamento aziendale e per il solo perseguimento di esigenze pubblicistiche di conclamato rilievo, in quanto sottendenti prestazioni di servizi di interesse generale ovvero la realizzazione di programmi di investimenti affidati e regolati convenzionalmente, secondo prospettive di continuità” (Sezione regionale di controllo per il Lazio, deliberazione n. 66/2018/PAR).

Tale assunto non è contraddetto dall’obbligo, per le pubbliche amministrazioni che adottano la contabilità finanziaria, nel caso in cui le proprie società partecipate presentino un risultato di esercizio negativo, di accantonare nell’anno successivo, in apposito fondo vincolato, un importo pari al risultato negativo non immediatamente ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione (art. 21, TUSP).

Questo perché l’accantonamento del cd “fondo perdite” non obbliga l’ente locale, anche se socio unico, a ripianare le perdite o a procedere all’assunzione diretta dei debiti delle proprie partecipate (Cfr. Sezione regionale di controllo per la regione siciliana, deliberazione n. 119/2019/PAR), ma mira a neutralizzare le ricadute negative delle gestioni societarie, riducendo le capacità di spesa dell’ente pubblico partecipante, così da responsabilizzarlo nel perseguimento della sana gestione delle proprie società e di consentire una costante verifica delle possibili ricadute sui bilanci pubblici, ai fini della salvaguardia degli equilibri finanziari presenti e futuri.

Così ricostruito il quadro normativo vigente, la Sezione lombarda rammenta che, per consolidato orientamento, il divieto di soccorso finanziario opera anche per le società poste in liquidazione, le quali, proprio perché rimangono in vita al solo fine di risolvere i rapporti finanziari e patrimoniali pendenti, non possono, per definizione, prospettare alcuna possibilità di recupero o risanamento.

Ne deriva che “un intervento del Comune volto ad assumere debiti della partecipata in liquidazione dovrà essere supportato da una congrua e analitica motivazione in ordine alle sottostanti ragioni di razionalità, convenienza economica e sostenibilità finanziaria che lo possano eventualmente ed esaustivamente giustificare” (Sezione regionale di controllo per la Puglia, deliberazione n. 47/2019/PAR).

Con riguardo, poi, all’esatta definizione del perimetro di applicazione soggettivo dell’art. 14, comma 5, TUSP, con particolare riguardo all’applicabilità ai consorzi partecipati da enti locali, la Corte osserva che i consorzi rappresentano una delle modalità di esercizio associato di funzioni e servizi da parte degli enti locali, contemplata dall’art. 31 del TUEL, ai sensi del quale “gli enti locali per la gestione associata di uno o più servizi e l’esercizio associato di funzioni possono costituire un consorzio secondo le norme previste per le aziende speciali di cui all’articolo 114, in quanto compatibili”.

Per questi organismi trovano applicazione, da un lato, le norme che valgono per le aziende speciali per quanto riguarda l’attività di erogazione del servizio, dall’altro, “in quanto compatibili” quelle che valgono per i consorzi, ove si tratti di regolamentare la vita associativa fra i comuni consorziati (Cfr. Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 114/2012).

In tale ottica, assume rilievo quando disposto dall’art. 2615 c.c. che attribuisce autonomia patrimoniale ai consorzi con attività esterna, stabilendo che “per le obbligazioni assunte in nome del consorzio, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo consortile” e chiarendo che “il consorzio con attività esterna, pur essendo sfornito di personalità giuridica, è pur sempre un autonomo centro di rapporti giuridici e pertanto assume la responsabilità, garantita dal fondo consortile, per tutte le obbligazioni comunque derivanti dai contratti che stipula in nome proprio … (Cass. 18235 del 2008)”.

Conclusioni – La Sezione lombarda sottolinea che, anche se l’art. 14, co. 5, del TUSP si riferisce espressamente soltanto ad organismi strutturati in forma di società di capitali, il divieto di soccorso finanziario si estende anche ai Consorzi di servizi che integrano “realtà operative inserite a tutti gli effetti nel contesto della finanza territoriale” (Cfr. Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 114/2012), Sezione regionale di controllo per la Campania, deliberazione n. 75/2017/PAR e Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, deliberazione n. 279/2015/PAR).

Il divieto di soccorso finanziario è infatti espressivo di un vero e proprio principio di ordine pubblico economico, fondato su esigenze di economicità e razionalità nell’utilizzo delle risorse pubbliche e di tutela della concorrenza e del mercato.

Tale principio si impone alle amministrazioni pubbliche prescindendo dalle forme giuridiche prescelte per la partecipazione in organismi privati che finirebbero, altrimenti, col prestarsi a strumento di elusione del dettato normativo.

Stefania Fabris


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