E’ rimessa alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 192, comma 2, del D.Lgs. n. 50 del 2016 nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti diano conto nella motivazione del provvedimento “delle ragioni del mancato ricorso al mercato”, per contrasto con l’art. 76 della Costituzione, in relazione all’art. 1, lettere a) ed eee), della legge delega n. 11/2016 sul divieto di “gold plating”.

Tar Liguria, sez. II, ordinanza n. 886 del 15 novembre 2018 Presidente Pupilella, relatore Vitali

A margine

Il fatto

Un’azienda privata contesta l’affidamento in house del servizio pubblico locale, di rilevanza economica, di gestione dei parcheggi.

L’azienda impugna la deliberazione con cui il Consiglio comunale ha approvato la relazione, di cui all’art. 34 del D.L. n. 179/2012 (1), illustrativa delle ragioni e della sussistenza dei requisiti per l’in house providing, e la successiva deliberazione di Giunta comunale di affidamento del servizio.

In violazione dell’art. 192, co. 2, del d.lgs. n. 50/2016, l’Amministrazione non avrebbe infatti dato conto delle ragioni di mancato ricorso al mercato (c.d. “outsourcing”), che costituirebbe l’opzione prioritaria ed ordinaria, alla base dell’affidamento.

In particolare, il Comune non avrebbe effettuato una concreta e trasparente disamina delle alternative esistenti non avendo comparato le varie forme di gestione del servizio, né le valutazioni sull’andamento economico/qualitativo dello stesso, né verificato l’effettiva capacità del gestore di svolgere correttamente quanto affidatogli.

La sentenza

Dopo aver ricordato il disposto dell’art. 192, co. 2, del codice, in tema di affidamenti in house, il Tar solleva alcuni dubbi in ordine alla legittimità costituzionale della norma, nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti diano conto nella motivazione del provvedimento “delle ragioni del mancato ricorso al mercato”, per contrasto con l’art. 76 della Costituzione, in relazione all’art. 1, lettere a) ed eee), della legge n. 11/2016 recante Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014”.

Ed è, infatti, proprio questa disposizione, a fungere da parametro, alla stregua del quale il giudice si ritiene chiamato a valutare la legittimità dei provvedimenti impugnati. Questo perché l’impresa ricorrente non contesta affatto la pacifica sussistenza, in capo alla società affidataria, degli ulteriori requisiti sanciti dall’art. 5 del codice (ovvero: 1. controllo analogo dell’amministrazione sulla società; 2. limite minimo di fatturato, pari all’80%, che la controllata deve conseguire nello svolgimento dei compiti affidati dall’amministrazione e, 3. assenza di partecipazione diretta di capitali privati).

Da qui la rilevanza della questione, non potendo il giudizio essere definito indipendentemente dallo scrutinio di legittimità costituzionale dell’art. 192, co. 2, del codice.

Ma alla stessa va altresì attribuito anche il carattere della non manifesta infondatezza, in quanto:

  • l’istituto dell’in house providing (o autoproduzione), rappresenta una modalità di aggiudicazione di una concessione o di un appalto pubblico a soggetti formalmente distinti, ma sottoposti ad un controllo tanto penetrante di un’amministrazione da costituirne sostanzialmente un’articolazione organizzativa, ovvero una modalità alternativa al ricorso all’esternalizzazione (c.d. “outsourcing”) mediante l’avvio di una procedura ad evidenza pubblica;

  • la direttiva n. 2014/24/UE, chiarisce, al 5° considerando, che è opportuno rammentare che nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva”;

  • l’istituto rappresenta, quindi, una specifica applicazione del principio di autorganizzazione o di libera amministrazione delle autorità pubbliche, sancito dall’art. 2, co. 1, della direttiva n. 2014/23/UE;

  • la Corte di giustizia UE ha più volte chiarito che “un’autorità pubblica, che sia un’amministrazione aggiudicatrice, ha la possibilità di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi” (così CGCE, 11 gennaio 2005, C- 26/03, Stadt Halle, punto 48);

  • è dunque la stessa direttiva n. 2014/24/UE, all’art. 12, 5° considerando, ad escludere espressamente, dal proprio ambito di applicazione, cioè dalla necessità di una previa procedura ad evidenza pubblica, gli appalti aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato, quando sono soddisfatte le tre condizioni proprie dell’in house viste sopra.

Detto ciò, il Tar sottolinea come tale principio risulti già operante nell’ordinamento nazionale per via dell’analoga previsione, contenuta nell’art. 34, co. 20, del D.L. n. 179/2012 (1), dedicato ai servizi pubblici locali di rilevanza economica.

Con la precisazione che, nell’art. 34, co. 20 – diversamente che nell’art. 192, co. 2, del d.lgs. n. 50/2016 – non si rinviene alcun riferimento alle ragioni del mancato ricorso prioritario al mercato, che sono ultronee rispetto all’istituto dell’in house.

In tale quadro normativo, l’attuale testo dell’art. 192, co. 2, del Codice, sembra quindi imporre un onere motivazionale supplementare, eccedendo rispetto ai principi ed ai criteri direttivi contenuti nella legge di delega n. 11/2016, la quale, tra l’altro, aveva stabilito il divieto di introdurre o mantenere livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive come definiti dall’articolo 14, commi 24-ter e 24-quater, della L. n. 246/2005 (c.d. divieto di gold plating);

Questa norma è dunque sospettata di incostituzionalità per avere introdotto un onere amministrativo di motivazione maggiore e più gravoso di quelli strettamente necessari per l’attuazione della direttiva la quale, da un lato, ammette gli affidamenti in house a patto che ricorrano i tre requisiti citati, dall’altro, ha escluso i relativi contratti dal proprio campo di applicazione, e dunque dall’obbligo di esperire preventivamente una procedura di gara ad evidenza pubblica.

In conclusione, nel sospendere il giudizio, il Tar rinvia alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 192, co. 2, del d.lgs. n. 50/2016, nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti diano conto nella motivazione del provvedimento di affidamento in housedelle ragioni del mancato ricorso al mercato”, per contrasto con l’art. 76 della Costituzione, in relazione all’art. 1 lettere a) ed eee) della legge n. 11/2016, recante Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014”.

Stefania Fabris

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(1) Art. 34, co. 20, del D.L. n. 179/2012 (convertito dalla legge n. 221/2012)

Per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell’ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste”.


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