Nel nostro sistema previdenziale e civilistico il mobbing costituisce una malattia professionale.
Può definirsi come una menomazione della integrità psico-fisica del lavoratore, che può dare luogo a danno biologico, causata dalle condizioni lavorative. Si tratta di una materia molto delicata, sotto il profilo giuridico e sociale, in quanto concerne i rapporti giuridici tra lavoratori e datori di lavoro e le dinamiche relazionali all’interno dei luoghi di lavoro.
Occorre distinguere tra il mobbing indennizzato dall’Inail quale malattia professionale e il mobbing civilistico: il primo ha come presupposto e condicio sine qua non la “costrizione organizzativa”. Il secondo richiede un ulteriore elemento, di natura soggettiva, che è costituito dal disegno vessatorio del datore di lavoro. Torneremo in seguito sul mobbing civilistico e concentriamo oggi la nostra attenzione sul mobbing quale malattia professionale oggetto della tutela sociale dell’Inail.
Secondo alcuni studiosi della materia, il mobbing è oggi anche il frutto di una organizzazione produttiva che negli ultimi vent’anni ha accresciuto le pressioni sul lavoratore, soprattutto in termini di competitività. Il risultato è un ambiente di lavoro sempre più stressante, più incattivito rispetto a quello in cui lavoravano i nostri genitori e meno rispettoso delle persone. Ne derivano danni alla salute che sono certi e lo si capisce molto bene se si vanno ad esaminare da vicino le modalità con cui il mobbing si sviluppa. Soffermiamoci sul termine. Che cosa vuol dire? Fu coniato agli inizi degli anni Settanta dal famoso etologo Konrad Lorenz per descrivere un particolare comportamento di alcune specie animali, che circondano un proprio simile e lo assalgono rumorosamente per scacciarlo dal gruppo. Negli anni Ottanta fu lo psicologo svedese Heinz Leymann a trasporlo nella società degli uomini, estendendo il termine a un comportamento di persecuzione psicologica nell’ambiente di lavoro. Il termine deriva dalla parola inglese to mob che indica un comportamento ostile e di aggressione e secondo alcuni dalla frase latina mobile vulgus che significa plebe in movimento.
Il rischio mobbing è connesso al rischio di stress lavoro-correlato oggi in costante aumento. Per definire lo stress lavoro-correlato la Commissione Consultiva Permanente presso il Ministero del Lavoro si è richiamata all’accordo UE dell’8 ottobre 2004, ai sensi del quale è “la condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che alcuni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro”. Tuttavia, ha spiegato la Commissione, non tutte le manifestazioni di stress sul lavoro sono da considerare come stress lavoro-correlato: quest’ultimo è solo quello causato direttamente da vari fattori propri del contesto e del contenuto del lavoro. Anche l’Inail si è posto su questa direttrice nell’assicurare e eventualmente indennizzare i cosiddetti “disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro”.
La diagnosi di malattia professionale e la sua riferibilità eziologica all’attività lavorativa trovano il presupposto giuridico e amministrativo in comportamenti commissivi o omissivi del datore di lavoro consistenti in “incongruenze organizzative”. In altri termini, l’organizzazione del lavoro non “congrua” e che pone il lavoratore in una situazione pesante di “costrittività organizzativa” può determinare lo stress lavoro-correlato indennizzabile dall’Inail. Pertanto la prevenzione dello stress lavoro-correlato deve mirare anche ad evitare le situazioni riconducibili al concetto di costrittività organizzativa; la mancata prevenzione può portare il lavoratore, con il concorso di altri fattori tra cui quelli medico-legali parimenti da accertare, ad una patologia che costituisce malattia professionale, causalmente ricollegabile al lavoro svolto.
Tra le condizioni di lavoro che possono provocare danni psicologici, l’Inail pone ed elenca la marginalizzazione dall’attività lavorativa, lo svuotamento delle mansioni, la mancata assegnazione degli strumenti di lavoro, i ripetuti trasferimenti ingiustificati, la prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto, la prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psico-fisici, l’impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie, la inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni concernenti l’ordinaria attività di lavoro, l’esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione ed aggiornamento professionale, l’esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo.
Le azioni finalizzate ad emarginare o allontanare il lavoratore (quest’ultimo è il cosiddetto mobbing strategico) rivestono rilevanza assicurativa solo se si concretizzano in una delle situazioni di “costrittività organizzativa” di cui all’elenco di cui sopra o in altre ad esse assimilabili. Inoltre, le incongruenze organizzative devono avere caratteristiche strutturali, durature ed oggettive e, come tali, verificabili e documentabili tramite riscontri altrettanto oggettivi e non suscettibili di discrezionalità interpretativa.
Spetta al lavoratore fornire all’Inail tale dimostrazione, oltre la prova del danno psichico e del suo nesso causale con le condizioni lavorative, atteso che sotto il profilo giuridico e amministrativo tale malattia professionale rientra tra quelle “non tabellate”, senza quindi alcuna presunzione legale di origine e natura lavorativa.
Lucio Di Giorgio, avvocato