Il rapporto tra salute e rischi lavoro correlati è ormai da diversi anni chiaro, così come il rapporto che vi è tra alimentazione e salute.
Una dieta equilibrata, calibrata sulle caratteristiche e sulle abitudini del soggetto, e uno stile di vita sano sono armi fondamentali nella prevenzione di alcune tra le patologie più frequenti nella società moderna (tumori, malattie metaboliche, obesità, malattie neurodegenerative e cardiocircolatorie). L’alimentazione, peraltro, può influire su diversi aspetti della sicurezza sul lavoro. E’ quindi chiara la forte sinergia in essere tra: sicurezza sul lavoro, alimentazione e prevenzione della salute.
Gli studi che si concentrano su queste tematiche sono diversi. L’alimentazione può influenzare la produttività del lavoratore, l’alimentazione può ridurre (o peggiorare quando non è regolata in modo corretto) il rischio portato dall’esposizione di sostanze chimiche sul luogo di lavoro, l’alimentazione può far nascere delle patologie (come diabete ed obesità) che rendono il lavoro meno sicuro ed il lavoratore non adatto a determinate mansioni. Quindi l’alimentazione provoca in modo indiretto problematiche alla sicurezza del lavoratore e quindi diventa un costo economico “nascosto” per l’azienda.
Tra i vari studi, il rapporto del 2005 dell’Ufficio Internazionale del Lavoro (ILO) ha “analizzato le abitudini alimentari in diverse parti del mondo e ha messo in evidenza come un regime alimentare troppo povero o un’ alimentazione troppo ricca sul luogo di lavoro possano provocare una perdita di produttività del 20% circa”. Ma nello specifico perché un lavoratore dovrebbe curare la propria alimentazione? Come possono essere questi due aspetti legati così fortemente?
Sicuramente uno dei problemi principali è legato all’obesità. Un lavoratore obeso il più delle volte fatica a trovare un occupazione stabile (aumentando così lo stress lavoro correlato), non riesce a svolgere con efficienza alcune mansioni (soprattutto quelle che richiedono ad esempio sforzi fisici particolari o agilità) e per altre mansioni non può essere considerato idoneo dal medico competente, basti pensare al lavoro in quota o agli spazi confinati.
L’obesità peraltro è una patologia che presenta diverse co-morbosità come l’innalzamento della pressione arteriosa, l’aumento del rischio cardio circolatorio, l’aumento della possibilità di contrarre il diabete di tipo II (con conseguenti crisi ipoglicemiche), malattie polmonari e respiratorie, tutte problematiche che aumentano la probabilità della comparsa di situazioni di emergenza legate a malori che poi si dovranno gestire all’interno dell’azienda (tramite la squadra di primo soccorso). Lo studio precedentemente citato dell’ILO tratta tre tematiche relative a quanto detto: Obesità e stress, Obesità e produttività, Obesità e sicurezza sul lavoro. La ricerca ha dimostrato che chi è esposto a stress cronico in ambiente lavorativo ha il 50% di possibilità in più di diventare obeso. Gli obesi risultano essere discriminati in ambito lavorativo e presentano una bassa autostima e questo crea quindi un vortice di stress lavoro correlato difficile da risolvere. Secondo uno studio condotto nel Regno Unito, gli impiegati obesi hanno una probabilità di assenteismo 1,5 volte maggiore rispetto ai colleghi con peso ottimale, è stato calcolato, inoltre, che le cattive abitudini alimentari generano una perdita di quasi 97 milioni di giorni lavorativi, pari a 16,5 miliardi di sterline. Ovviamente la produttività cala anche a causa delle difficoltà fisiche che questi soggetti hanno nel fare certi tipi di lavorazioni e di movimenti. Inoltre queste limitazioni fisiche nei movimenti e nell’agilità, nello svolgimento dell’attività lavorativa comportano una riduzione della sicurezza e una maggior predisposizione all’infortunio, soprattutto in determinate situazioni.
La comparsa di patologie come obesità, diabete e altre situazioni che portano alla sindrome metabolica, spesso è dovuta dal lavoro, dalle situazioni stressanti che questo comporta, dai ritmi che impone all’individuo (soprattutto nei lavori a turni notturni). Spesso il lavoro non permette al lavoratore di effettuare i 5 pasti durante la giornata previsti dall’OMS e non solo (colazione, spuntino metà mattina, pranzo, spuntino metà pomeriggio e cena), mettendo le basi per una sindrome metabolica.
Il problema però non è solo per gli obesi, l’alimentazione può incidere su tutti i lavoratori, anche quelli normo peso. È stato stimato che, nel mondo del lavoro, circa un terzo delle persone ha a disposizione solo un’ora di pausa pranzo. Sono sempre meno quindi i lavoratori che hanno il tempo di tornare a casa e preparare il pranzo tradizionalmente inteso. Mense, trattorie o sale pausa delle aziende sono per molti il luogo dove pranzare. Il rischio maggiore insito in tale modello nutrizionale, caratterizzato prevalentemente da scelte verso alimenti di rapido consumo, ricchi in energia e poveri in micronutrienti, potrebbe associarsi a carenze nutrizionali che, a lungo andare, possono rendere il lavoratore vulnerabile verso patologie cronico – degenerative come cancro, diabete di tipo 2 e aterosclerosi. Nell’intento di ricercare e garantire le forme più avanzate di tutela sanitaria dei lavoratori, l’alimentazione dovrebbe essere considerata come strategia preventiva utile per poter ridurre il rischio verso differenti malattie.
Alcuni autori, identificano i luoghi di lavoro come piccole comunità all’interno delle quali risultano possibili programmi di prevenzione attraverso modifiche nello stile di vita, fornendo così una razionale opportunità di prevenzione primaria (Beresford, 2007).
Per portare atri esempi di come alimentazione e salute e sicurezza siano legate, lo stress lavoro correlato, così come l’esposizione ad inquinanti presenti nel luogo di lavoro, possono portare alla creazione di radicali liberi nel corpo. Questo processo può portare ad una serie di condizioni che a lungo andare possono sfociare in patologie gravi. L’alimentazione può tamponare ed offrire un buon rimedio all’ossidazione e alla formazione dei radicali liberi. Una dieta ricca di frutta e verdura, non solo fa bene alla linea, ma fornisce al corpo una serie di sostanze anti ossidanti che aiutano appunto a ridurre l’effetto negativo dei radicali liberi.
Ci sono sostanze chimiche che possono aumentare l’effetto tossico sul corpo umano in base al tipo di alimentazione seguita dal lavoratore. Un esempio su tutti può essere quello dell’alcol. Bere alcolici durante la pausa pranzo è fortemente sconsigliato. I motivi sono vari, il principale è il divieto di essere sotto effetto di alcol al rientro al lavoro, però è giusto sottolineare che l’alcol se presente nel corpo dell’individuo, oltre ad aumentare il rischio infortunistico, interagisce con alcune sostanze tossiche potenzialmente presenti in alcuni luoghi di lavoro, aumentandone la tossicità. Tali sostanze sono: i solventi alogenati (aumento epatotossicità), i solventi alifatici ed aromatici come: xilene, toluene, stirene (potenziamento degli effetti sul sistema nervoso centrale), la nitroglicerina (aumenta la tossicità sull’apparato cardiovascolare), pesticidi (aumento della neuro ed epato tossicità), metalli come Piombo, Cromo, Cobalto, Mercurio (aumento della tossicità).
Mangiare troppo nella pausa pranzo diminuisce la produttività e l’attenzione del lavoratore a causa di sonnolenza e difficoltà a concentrarsi, soprattutto nei lavoratori d’ufficio. L’assunzione di molto cibo, soprattutto di difficile e lenta digestione, come i grassi, fa si che il nostro sistema digerente richieda molta energia che viene sottratta al resto dell’organismo, provocando quindi sonnolenza. Nei lavori più fisici e manuali invece, una alimentazione scorretta può portare a crisi per carenza di zuccheri o facilitare malori ed indigestioni quando è eccessiva.
Risulta quindi chiaro che le aziende hanno ruolo chiave nella sensibilizzazione della tematica alimentazione e salute. Il datore di lavoro dovrebbe puntare alla tutela della salute del lavoratore (voluta dalla Costituzione, oltre che dal D.Lgs. 81/08 e dal Codice Civile), passando anche da una corretta informazione e soprattutto da azioni pratiche come una disponibilità di cibi vari e ben calibrati nei menù delle mense aziendali e la modificazione degli orari di lavoro per permettere adeguate pause e per impedire il salto dei pasti ai propri dipendenti. Le attività pubbliche o private che possiedono una mensa interna, dovrebbero garantire una scelta tale da poter seguire una dieta ipocalorica e sana, evitando i così detti cibi spazzatura o cibi molto grassi e ricchi di sale, condimenti e zuccheri semplici. Si dovrebbe partire dall’informazione arrivando ad un processo di formazione ed educazione che porti il lavoratore a sapersi alimentare in modo sano ed efficiente.
dott. Matteo Fadenti
Sicurgarda snc (www.sicurgarda.com)