Con l’avvento dei ristoranti giapponesi, stile sushi, in Italia c’è stato un boom di assunzione di prodotto ittico crudo. Non solo in questa tipologia di attività, il pesce, i molluschi ed i crostacei crudi anche nei ristoranti italiani compongono spesso i piatti più ricercati e costosi.

Mangiare alimenti crudi sicuramente dal punto di vista nutrizionale ha i suoi vantaggi, visto che senza la cottura non vi è il rischio di denaturare proteine o alterare le proprietà nutrizionali degli alimenti. Però deve essere chiaro a tutti che mangiare alimenti crudi (pesce compreso) è sempre un rischio di tipo microbiologico per la salute, essendo che solo la cottura può garantire l’eliminazione di batteri patogeni potenzialmente presenti nell’alimento.

Diventa quindi ancora più importante quando si manipolano e servono alimenti crudi rispettare in pieno le buone prassi, le procedure dettate dal sistema HACCP, in tutte le fasi di vita del prodotto ittico, per evitare il più possibile contaminazioni biologiche che senza la cottura non possono essere eliminate.

Alla base degli operatori che trattano alimenti crudi deve esserci la conoscenza di quelli che sono i comportamenti corretti da attuare e gli stessi controllori (ispettori asl, nas, ecc) devono conoscere le criticità, conoscere le norme e farle rispettare, per garantire che l’alimento servito sia il più possibile sicuro (ricordiamo che il rischio zero non esiste, soprattutto con gli alimenti crudi).

Eppure parlando di pesce crudo vi è grande confusione. Troppo spesso gli operatori del settore alimentare hanno convinzioni sbagliate e trattano il prodotto ittico in modo errato e pericoloso per la salute del consumatore. Dall’altro lato capita anche che chi deve fare i controlli non conosca la norma e richieda pratiche non obbligatorie agli operatori.

Cerchiamo quindi di sfatare qualche convinzione sbagliata nei confronti del prodotto ittico da servire crudo, sia per gli operatori che per i consumatori e di fare un po’ di chiarezza.

  • Il prodotto ittico abbattuto correttamente è sempre sicuro

ERRATO. L’abbattimento, effettuato nei tempi e nelle modalità previste dalle norme (come riportato di seguito) non serve per eliminare totalmente il rischio microbiologico, ma solamente per contrastare il rischio relativo alla presenza di parassiti, come l’anisakis (che è il più famoso ma non è l’unico). Quindi abbattere correttamente il prodotto ittico da servire crudo serve per eliminare il rischio relativo ai parassiti ma non il rischio legato ad esempio ai batteri, che con il freddo non vengono uccisi bensì “bloccati”.

  • Ho tenuto il pesce in abbattitore per 24 ore, questo vuol dire che l’ho abbattuto correttamente

NON E’ DETTO. Infatti il REG CE 853/2004 prevede che il prodotto ittico per essere abbattuto debba essere portato a -20°C al cuore del prodotto per almeno 24 ore. Questo vuol dire che da quando il cuore dell’alimento arriva a -20°C partono le 24 ore. Questo vuol dire che in un abbattitore normale (di quelli normalmente presenti nei ristoranti) il pesce deve rimanere sicuramente più di 24 ore nell’abbattitore, poiché le 24 ore partono quando il cuore del prodotto arriva a -20°C. Di solito in base alla potenza dell’abbattitore e allo spessore del pesce contenuto, il tempo può variare da minuti fino ad un massimo di 4 ore. Nel caso in cui l’abbattitore impieghi 4 ore per portare il cuore a -20°C, l’alimento deve rimanere nell’abbattitore per almeno 28 ore (24+4).

Inoltre la norma, con la modifica al REG CE 853/2004 apportato dal REG UE 1276/2011 prevede che il prodotto ittico per essere consumato crudo possa essere abbattuto a: -35°C per 15 ore. Quindi solo nel caso in cui il prodotto ittico venga portato alla temperatura al cuore di -35°C, può rimanere 24 ore o meno nell’abbattitore.

  • Se faccio pesce crudo marinato non ho l’obbligo di abbatterlo

ERRATO. La marinatura infatti non garantisce l’eliminazione dei parassiti. L’obbligo di abbattere anche il prodotto ittico marinato da servire crudo è esplicitato sia dal REG CE 853/2004 (Allegato III, Sezione VIII, Capitolo 1, lettera c) che dal REG UE 1276/2011 che ha modificato quella sezione della norma.

Difatti gli OSA che immettono sul mercato i prodotti della pesca marinati, salati e qualunque altro prodotto della pesca trattato, se il trattamento praticato non garantisce l’uccisione del parassita vivo, devono assicurarsi che il materiale crudo o il prodotto finito siano sottoposti ad un trattamento di congelamento che uccide i parassiti vivi potenzialmente rischiosi per la salute dei consumatori.

  • Basta l’esame visivo per scongiurare il rischio dei parassiti

ERRATO. Se è vero che il REG CE 853/2004 prevede che gli operatori del settore alimentare debbano assicurare che i prodotti della pesca siano sottoposti ad un controllo visivo alla ricerca di endoparassiti visibili prima dell’immissione sul mercato, è anche vero che l’esame visivo permette di identificare le larve adulte ma non le uova. Per scongiurare questo rischio, il prodotto ittico da servire crudo va, oltre che ispezionato visivamente, abbattuto come descritto sopra.

  • Si può mettere in commercio o servire un prodotto ittico anche se contaminato da parassiti se poi viene cotto o correttamente abbattuto prima del consumo

ERRATO. Infatti il REG CE 853/2004 all’allegato III, Sezione VIII, capitolo V lettera D, vieta l’immissione in commercio del pesce manifestamente contaminato da parassiti. Ecco l’indicazione: “Gli operatori non devono immettere sul mercato per il consumo umano i prodotti della pesca manifestamente infestati da parassiti.” Lo stesso vale anche per la somministrazione post cottura, dove il parassita è morto, poiché può essere che durante la vita nell’alimento il parassita abbia favorito lo sviluppo di istamina nel pesce, rendendolo dannoso per la salute umana (visto che l’istamina non viene distrutta né dall’abbattimento né dalla cottura del pesce).

  • E’ sempre obbligatorio abbattere il prodotto ittico per poterlo servire crudo

ERRATO. Questa è, forse, la convinzione più errata che hanno molti ispettori degli enti di controllo (insieme all’obbligatorietà di inserire nel menù il processo di abbattimento del pesce come vedremo in un punto successivo dell’articolo). Infatti chi obbliga gli OSA ad abbattere tutti i pesci da servire crudi a prescindere dalla provenienza potrebbe sbagliare ed andare contro ciò che la norma prevede.

Infatti sia il REG CE 853/04 prima che il REG UE 1276/2011 poi prevedono delle deroghe all’abbattimento. Andando per ordine, l’allegato III Sezione VIII, capitolo III, lettera D punto 2, riporta: “Gli operatori del settore alimentare non sono obbligati a praticare i trattamenti di cui al  paragrafo 1 (ovvero l’abbattimento -20°C per 24 ore) qualora:

  1. a) i dati epidemiologici disponibili indichino che le zone di pesca d’origine non presentano rischi sanitari con riguardo alla presenza di parassiti;
  2. b) le autorità competenti lo autorizzino.”

Il REG UE 1276/2011 prevede la seguente modifica (che amplia il campo della deroga):

“3. Gli operatori del settore alimentare non sono tenuti a praticare i trattamenti di congelamento di cui al punto 1 (l’abbattimento o a -20°C per 24 ore o quello a -35°C per 15 ore) per i prodotti della pesca:

  1. a) sottoposti, o destinati ad essere sottoposti, ad un trattamento termico che uccide il parassita vivo prima del consumo. Nel caso di parassiti diversi dai trematodi il prodotto è riscaldato ad una temperatura al centro del prodotto superiore o uguale a 60 °C per almeno un minuto;
  2. b) che sono stati conservati come prodotti della pesca congelati per un periodo di tempo sufficiente ad uccidere i parassiti vivi (-18°C per 96 ore);
  3. c) derivanti da cattura in zone di pesca non di allevamento, a condizione che:
  4. i) esistano dati epidemiologici indicanti che le zone di pesca d’origine non presentano rischi sanitari con riguardo alla presenza di parassiti; e
  5. ii) le autorità competenti lo autorizzino;
  6. d) derivati da piscicoltura, da colture di embrioni e nutriti esclusivamente secondo una dieta priva di parassiti vivi che rappresentano un rischio sanitario, e purché uno dei seguenti requisiti sia soddisfatto:
  7. i) sono stati allevati esclusivamente in un ambiente privo di parassiti vivi; oppure
  8. ii) l’operatore del settore alimentare verifica mediante procedure approvate dall’autorità competente che i prodotti della pesca non rappresentano un rischio sanitario con riguardo alla presenza di parassiti vivi.

A questa modifica della norma e queste deroghe si è arrivati dopo un parere scientifico dell’EFSA del 2010. Detto parere comprende informazioni circa i casi in cui i prodotti della pesca possono costituire un rischio per la salute a causa della presenza di parassiti vitali. Il parere dell’EFSA analizza inoltre gli effetti dei vari trattamenti impiegati per uccidere detti parassiti nei prodotti della pesca.

Sebbene il parere dell’EFSA indichi che tutti i pesci pescati in libertà, marini o di acqua dolce, siano da considerarsi a rischio in quanto possono contenere parassiti vivi e vitali potenzialmente nocivi alla salute umana se destinati ad essere consumati crudi o praticamente crudi, qualora i dati epidemiologici mostrino che le zone di pesca non presentano rischi sanitari con riguardo alla presenza di parassiti, l’autorità competente può adottare misure nazionali che autorizzano un’esenzione dal trattamento di congelamento prescritto per i prodotti della pesca derivanti da pesca non di allevamento. Tali misure nazionali vanno notificate alla Commissione.

Il parere dell’EFSA conclude che qualora il salmone atlantico di allevamento sia allevato in gabbie in mare o vasche su terraferma e nutrito con mangimi compositi che difficilmente contengono parassiti vivi, il rischio d’infezione da Anisakis è trascurabile, salvo modifiche nei metodi di allevamento. Sebbene il parere dell’EFSA concluda che non esistono sufficienti dati di monitoraggio per altre specie ittiche di allevamento, l’EFSA ha stabilito dei criteri per valutare a quali condizioni i prodotti della pesca da acquacoltura non presentano rischi per la salute pubblica relativi alla presenza di parassiti.

Pertanto, se ci si attiene alle procedure nel rispetto di detti criteri il livello di rischio presentato da altre specie ittiche diverse dal salmone atlantico può essere considerato trascurabile per quanto riguarda i parassiti potenzialmente nocivi per la salute dei consumatori. Detti prodotti della pesca di allevamento potrebbero pertanto essere esentati dall’obbligo di congelamento senza che venga compromesso un livello elevato di protezione della salute.

Per questa ragione il legislatore europeo ha previsto le deroghe sopra riportate, per la quale, quindi NON è sempre obbligatorio abbattere il pesce per poterlo servire crudo.

  • E’ sempre obbligatorio abbattere crostacei, ostriche e cozze per poterli servire crudi

ERRATO. Secondo il REG CE 853/2004 e il REG UE 1276/2011 è obbligatorio abbattere unicamente i prodotti della pesca derivati da pesci pinnati (Sono tutti i pesci che diremmo “a forma di pesce”, appartengono a questa classe sia gli squali (come lo smeriglio, il palombo,..) che sono pesci “cartilaginei o condroitti”, cioè con uno scheletro fatto di cartilagine e non di tessuto osseo, e i pesci “osteitti”, cioè i non squali che invece hanno un tessuto osseo. Tra questi troviamo la maggior parte dei prodotti disponibili sul mercato, da quelli più grossi (pesce spada, tonno, ricciola,..) a quelli più piccoli come naselli, triglie, ecc) e da molluschi cefalopodi (Calamaro, Seppia, Polpo, Moscardino Totano e similari). Si sottolinea che il trattamento di bonifica continua ad applicarsi sia ai prodotti di mare che a quelli di acqua dolce.

Si ricorda che mangiare molluschi crudi è un rischio ancora più grande dal punto di vista microbiologico, visto che questi essere vivono filtrando l’acqua e trattenendo oltre che il nutrimento anche tante impurità, inquinamento fino ai microrganismi come virus o batteri. Si ricorda nuovamente che peraltro l’abbattimento non serve ad eliminare il rischio microbiologico ma solo quello legato ai parassiti che per molluschi e crostacei è irrilevante. Per questo l’abbattimento non è necessario seppur consigliato soprattutto per i crostacei.

  • E’ sempre obbligatorio indicare sul menù che il pesce crudo servito ha subito abbattimento come previsto dalla norma

ERRATO. Anche in questo caso, questa richiesta viene avanzata dagli ispettori, facendola passare come un obbligo di legge, ma non è così. Infatti il punto 4 lettera a) del REG UE 1276/2011 recita: “Al momento dell’immissione sul mercato, a meno che non siano forniti al consumatore finale, i prodotti della pesca di cui al punto 1 devono essere accompagnati da un’attestazione dell’operatore del settore alimentare che ha effettuato il trattamento di congelamento, indicante il tipo di congelamento al quale sono stati sottoposti.” Quindi tutti gli OSA della filiera hanno l’obbligo di indicare l’abbattimento, tranne coloro i quali servono il prodotto ittico direttamente al consumatore finale (es il ristoratore che serve pesce crudo al cliente). Tale concetto è anche rafforzato dall’art. 68, punto 4, lettera a, del Regolamento (UE) 404/2011. Riportiamo i punti 3 e 4 del REG UE 404/2011:

“3.   Nel caso in cui un prodotto della pesca o dell’acquacoltura sia stato precedentemente congelato, il termine «scongelato» è altresì indicato sull’etichetta o sul marchio adeguato di cui al paragrafo 1. Si considera che l’assenza di tale dicitura a livello della vendita al dettaglio indichi che i prodotti della pesca e dell’acquacoltura non sono stati precedentemente congelati e quindi scongelati.

  1. In deroga al paragrafo 3, il termine «scongelato» non deve figurare:
  2. a) sui prodotti della pesca e dell’acquacoltura precedentemente congelati per ragioni di sicurezza sanitaria, conformemente all’allegato III, sezione VIII, del regolamento (CE) n. 853/2004; e
  3. b) sui prodotti della pesca e dell’acquacoltura che sono stati scongelati prima di essere sottoposti ad affumicatura, salatura, cottura, marinatura, essiccatura o ad una combinazione di questi processi.”

Questo passaggio sottolinea addirittura il fatto che se il prodotto è venduto al dettaglio ed è stato precedentemente abbattuto ai fini della sicurezza (-20°C per 24 ore o -35°C per 15 ore) non debba essere indicato come prodotto “scongelato”.

Si potrebbe cadere in inganno con Decreto del 17 Luglio 2013 recante le informazioni obbligatorie a tutela del consumatore da esporre in pescheria (relativo solo alla vendita al dettaglio, visto il contenuto dell’allegato I del decreto stesso). Questo Decreto obbliga le pescherie ad esporre un cartello che inviti a consumare solo previo abbattimento il pesce crudo (in realtà previo congelamento a -18 °C per 96 ore in congelatore domestico).

In questo decreto si fa riferimento all’art 44 del REG UE 1169/2011 che non parla solo di vendita diretta ma anche di servizio alle collettività (dove rientra l’esempio del ristorante che serve pesce crudo). Il comma b dell’articolo 1 dell’art 44 sopra citato, da spazio agli stati membri di indicare quali informazioni obbligatorie dare al consumatore oltre agli allergeni presenti (obbligatori per la lettera a del comma 1 dell’articolo 44 sopracitato).

L’Italia ha sviluppato questa possibilità attraverso il D.Lgs. 231/17 che sanziona il mancato rispetto del REG UE 1169/2011. Oltre agli allergeni, la norma nazionale prevede l’obbligo di indicare quando l’alimento è “scongelato” con delle deroghe, nella quale rientra anche gli alimenti per i quali il congelamento costituisce una fase tecnologicamente necessaria del processo di produzione (es. quelli abbattuti ai fini del REG CE 853/2004).

Per concludere si può dire che se da un lato gli operatori spesso servono prodotto ittico non abbattuto correttamente creando un serio pericolo per la salute delle persone, dall’altro a volte gli enti di controllo richiedono procedure di abbattimento non necessarie.

Abbattere il prodotto ittico è comunque sempre una buona abitudine anche quando magari per la norma si potrebbe non effettuare. Anche perché i sintomi causati, possono essere anche molto gravi.

Alcune persone, dopo o durante l’ingestione di pesce crudo o poco cotto, avvertono una sensazione di prurito in gola: si tratta del verme che si muove nella bocca o nella gola. In questi casi è possibile estrarlo dalla bocca oppure espellerlo tossendo e prevenire così l’infezione. Altri, invece, avvertono anche lo stimolo a vomitare e riescono così ad espellere il parassita dall’organismo prima che possa colonizzarlo.

L’infestazione può essere classificata in tre forme di malattia:

  • gastrica (95% dei casi),
  • intestinale,
  • ectopica (cioè che interessa regioni diverse da stomaco e intestino, molto rara).

Entro alcune ore dall’ingestione delle larve infette è possibile avvertire un forte dolore addominale, eventualmente accompagnato da nausea e vomito (in alcuni pazienti le larve vengono espulse proprio attraverso il vomito), mentre in caso di forma intestinale l’incubazione può durare diversi giorni.

Più in generale, tra i sintomi caratteristici dell’anisakidosi vi sono:

  • dolore addominale,
  • nausea,
  • vomito,
  • distensione addominale,
  • diarrea,
  • sangue e muco nelle feci,
  • febbre lieve.

Nei casi più gravi il paziente soffre di forte mal di pancia, molto simile a quello dell’appendicite acuta, accompagnato da una sensazione di nausea. Quando il parassita raggiunge l’intestino causa una grave   reazione immunitaria granulomatosa, da una a due settimane dopo l’infezione, con sintomi simili a quelli del morbo di Crohn. Di solito, nei pazienti colpiti, viene rinvenuto un solo parassita. Sono infine possibili sintomi causati da reazioni allergiche.

Proprio per questa ragione è molto importante gestire correttamente il prodotto ittico da servire crudo, rispettando le procedure interne HACCP e i dettami previsti dalle norme in materia.

Dott. Matteo Fadenti


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