Il contenuto del menù di una attività di somministrazione alimenti è un argomento che abbiamo trattato in diversi articoli.

Ciò che si deve scrivere su un menù non è lasciato al caso dal legislatore, bensì deve rispettare quanto previsto dall’articolo 19 comma 8 e 9 del D.Lgs. 231/17.

Il comma 8 del sopra citato decreto recita: “8. In caso di alimenti non preimballati ovvero non considerati unità di vendita, serviti dalle collettività, come definite all’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), del regolamento, è obbligatoria l’indicazione delle sostanze o prodotti di cui all’allegato II del  regolamento UE 1169/2011(ovvero i 14 allergeni previsti nell’allegato II del REG UE 1169/2011).

Tale indicazione deve essere fornita, in modo che sia riconducibile a ciascun alimento, prima che lo stesso venga servito al consumatore finale dalle collettività e deve essere apposta su menù o registro o apposito cartello o altro sistema equivalente, anche digitale, da tenere bene in vista. In caso di utilizzo di sistemi digitali, le informazioni fornite dovranno risultare anche da una documentazione scritta e facilmente reperibile sia per l’autorità competente sia per il consumatore finale.

In alternativa, può essere riportato l’avviso della possibile presenza delle medesime sostanze o prodotti che possono provocare allergie o intolleranze, sul menù, sul registro o su un apposito cartello che rimandi al personale cui chiedere le necessarie informazioni che devono risultare da una documentazione scritta e facilmente reperibile sia per l’autorità competente sia per il consumatore finale.

Il comma 8 dell’art 19 del D.Lgs. 231/17 chiarisce quindi alcuni concetti chiave:

  • è obbligatorio specificare esattamente in ogni piatto quali allergeni sono presenti e una indicazione generica a fondo pagina non va bene;
  • tale indicazione può non essere direttamente su menù. Ma che si può rimandare a un libro ingredienti o un cartello dove siano specificati gli allergeni presenti in ogni piatto;
  • le informazioni sugli allergeni devono essere scritte e non possono essere date oralmente dal personale di sala.

Il comma 9 dell’articolo 19 del D.Lgs. 231/17 riporta invece:
9. Con riferimento agli alimenti di cui al comma 8, trova applicazione, altresì, l’obbligo di cui al comma 2, lettera g), fatti salvi i casi di deroga previsti.” Il comma 2 lettera g dello stesso articolo 19, riporta la definizione di “decongelato” facendo riferimento all’Allegato VI, punto 2, del regolamento UE 1169/2011, fatti salvi i casi di deroga previsti“.

Il punto 2 dell’allegato VI del regolamento, riporta: Nel caso di alimenti che sono stati congelati prima della vendita e sono venduti decongelati, la denominazione dell’alimento è accompagnata dalla designazione «decongelato».

Tale obbligo non si applica:
a) agli ingredienti presenti nel prodotto finale;
b) agli alimenti per i quali il congelamento costituisce una fase tecnologicamente necessaria del processo di produzione;
c) agli alimenti sui quali lo scongelamento non produce effetti negativi in termini di sicurezza o qualità.”

Quindi sembra chiaro, ancor più dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 231/2017 come gestire un menù e quali devono essere i suoi contenuti per una corretta informazione del consumatore.

Eppure nonostante il tempo passato e nonostante i vari chiarimenti degli esperti sulla tematica, ad oggi molti menù sono ancora non conformi, soprattutto per quel che riguarda la gestione degli allergeni.

Lo studio- Uno studio da noi condotto dimostra che in Italia, su 100 attività ben 69 non hanno un menù a norma e rischiano di essere sanzionate ai sensi dell’articolo 23 comma 2 del D.Lgs. 231/17 che prevede per la non corretta gestione degli allergeni sanzioni per una somma che va da 3.000 euro a 24.000 euro.

Le attività analizzate nello studio sono site in Lombardia, Veneto, Puglia, Sicilia e Lazio.

Analizzando le non conformità riscontrate si denota che il 23% delle attività riportavano sul menù una indicazione generica sugli allergeni presenti, generalmente a fondo o inizio menù, ma senza alcun riferimento ai piatti.

Un altro 46% di attività addirittura non aveva alcuna indicazione sugli allergeni sul menù.

Solo il 23% delle aziende riportavano nel menù gli allergeni esattamente presenti in ogni singolo piatto. Il restante 8% delle attività analizzate ha applicato il metodo con la tabella degli allergeni, dove comunque per ogni piatto era possibile individuare gli allergeni presenti.

Perciò il 69% delle attività risulta non conforme a quanto previsto per i menù dal D.Lgs 231/17.

L’aspetto positivo è che dopo il nostro intervento il 58% delle attività non conformi ha risolto i problemi e si è messa a norma.

Su questo 58& di attività, una parte ha inserito gli allergeni in modo specifico per ogni piatto direttamente sul menù, altre invece hanno elaborato il registro ingredienti con evidenza degli allergeni, ed altre ancora hanno realizzato la tabella per gli allergeni.

In ogni caso hanno applicato quanto previsto dal REG UE 1169/2011 e dal D.Lgs. 231/17.

Dall’analisi dei risultati dell’indagine e dall’analisi normativa, per quel che riguarda i menù, è evidente quindi che gli OSA non hanno ancora ben chiaro come affrontare la tematica degli allergeni.

L’aspetto negativo è che non è riconosciuta evidentemente l’importanza della tematica, e se l’attenzione non è massima non si ha solo il rischio di non dare la corretta informazione al consumatore bensì di non gestire correttamente in cucina il problema creando contaminazioni crociate potenzialmente molto pericolose.

Se su 100 attività analizzate ben 69 non rispettavano quanto previsto dal regolamento UE 1169/2011 e dal D.Lgs. 231/17, vuol dire che vi sono carenze di formazione negli OSA, vuol dire che le attività dei consulenti non sono puntuali e precise e soprattutto che i controlli sono pochi e/o non verificano tali aspetti, sperando che chi deve controllare sia formato e competente sul tema specifico.

Dott. Matteo Fadenti

 


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