IN POCHE PAROLE…

Esempi pratici su indicazioni di prassi ma non imposte dalle norme


La differenza tra un bravo consulente sulla sicurezza alimentare (ma questo vale anche per la sicurezza sul lavoro) ed uno meno bravo, sta nella qualità, nella correttezza e nell’applicabilità delle indicazioni che dà ai propri clienti. Quello che si deve raggiungere in assoluto, è l’obiettivo che la norma si pone, nel modo migliore, più efficiente e meno dispendioso possibile.

Questo è molto importante, poiché le norme sulla sicurezza alimentare sono molte, in alcuni casi complesse, ed è quindi importante aiutare le attività che le devono rispettare, a far raggiungere questi obiettivi nel miglior modo possibile e nel modo più semplice possibile, anche perché quando un obbligo risulta complesso da applicare, molte volte (principalmente nelle realtà più piccole) viene disatteso.

Ovviamente non si parla di grandi aziende con procedure specifiche ben consolidate e con possibilità di investimento enormi, ci si riferisce alle piccole attività alimentari, quelle più presenti sul nostro territorio. Per aiutare davvero queste realtà è necessario che un consulente conosca esattamente ciò che la norma prescrive e quelli che sono gli obiettivi da raggiungere.

A volte, invece, capita che il consulente dia consigli basati piuttosto su linee guida, su buone prassi, sul “sentito dire” ed il che può andare a complicare la condizione dell’attività, senza dare alcun apporto al raggiungimento dell’obiettivo finale.

L’esempio può essere l’andare a far applicare delle norme superate o delle indicazioni passate al proprio cliente, senza che queste siano previste da una norma (che magari fornisce pure delle indicazioni diverse).

Questo capita non solo ai consulenti ma a volte anche ai controllori, che indicano prescrizioni derivanti da pareri personali piuttosto che da effettivi obblighi normativi. Oppure quando il controllore richiede ancora delle situazioni prescritte da dei regolamenti di igiene dove questi sono stati abrogati.

Per fare bene un controllo o una consulenza bisogna partire dal capire qual è la filosofia della legge in vigore, che nel caso specifico è il pacchetto igiene (oltre ad altre norme europee specifiche su temi inerenti al mondo del food safety).

Ad oggi, il metodo HACCP previsto dal Codex Alimentarius e reso obbligatorio in Europa dal REG CE 852/2004 (art 5), prevede che le attività realizzino una procedura (basata appunto sul metodo HACCP) che possa regolare la produzione di un alimento, garantendo che questo sia sicuro per il consumatore.

Le procedure da seguire sono basate sull’autocontrollo e derivano da una valutazione del rischio. Ecco che le norme europee, già con il RE CE 178/2002 (art 6), introducono il tema della valutazione del rischio che sta alla base del “manuale HACCP” di ogni singola attività.

Spesso, invece, controllori e consulenti si dimenticano dell’analisi del rischio e si impuntano con indicazioni anacronistiche, magari come detto dettate da regolamenti di igiene passati o da norme nazionali abrogate, senza considerare quanto quella indicazione possa incidere effettivamente sul raggiungimento dell’obiettivo e senza considerare magari delle alternative che possano comunque far raggiungere l’obiettivo.

Questo articolo vuole quindi andare a sfatare o confermare alcune indicazioni che spesso consulenti (o appunto in alcuni casi controllori) danno all’OSA durante la loro attività, per aiutare tutti a capire cosa davvero la norma prevede e cosa invece è frutto di “antiche credenze” o personali interpretazioni.

Attenzione, ciò che verrà analizzato come non previsto dalla norma, non vuol dire che sia qualcosa di sbagliato (da non fare), nella maggior parte dei casi sono tutte prassi corrette. Semplicemente si vuole specificare che per la norma non sono magari obbligatorie, che se l’OSA vuole fare in modo diverso per arrivare all’obiettivo, può, basta che sia in grado di dimostrare che la strada scelta sia davvero efficace e rispettata (oltre che rispettabile).

Alcune tipiche prescrizioni

Per analizzare quanto detto si andrà per punti, analizzando alcune tipiche “prescrizioni”:

  • PRODOTTI CHIMICI UTILIZZATI NELLE ATTIVITÀ ALIMENTARI DEVONO ESSERE MARCATI HACCP

Assolutamente NO. L’HACCP non è una certificazione per prodotti chimici, è un metodo di lavoro. Chi inserisce loghi riportanti la sigla HACCP in etichetta, inserisce spontaneamente un simbolo inventato che non ha alcun valore (dietro al quale non c’è alcuna certificazione). Non esistono prodotti validi per l’HACCP e prodotti non validi, ci sono diversi prodotti sgrassatori e diversi prodotti disinfettanti che agiscono più o meno bene nelle svariate situazioni (anche questo si deve valutare in base all’analisi dei rischi). L’importante è che in ogni attività ci sia un prodotto detergente e sgrassatore ed un prodotto disinfettante (presidio medico chirurgico).

  • NEL MAGAZZINO DEGLI ALIMENTI NON POSSONO STARE ALTRI OGGETTI AL DI FUORI DEGLI ALIMENTI
  1. Questa prescrizione viene spesso indicata sia dai controllori che dai consulenti e molte volte mette in difficoltà OSA che gestiscono locali con spazi ristretti. È evidente che il magazzino dove vengono stoccate le materie prime deve essere pulito, ordinato, deve essere protetto dall’accesso di insetti e roditori (come previsto dall’All II Cap IX punto 4) e non deve presentare situazioni di rischio contaminazione, infatti il REG CE 852/2004 sui magazzini dice che (All II Cap IX punto 2): Le materie prime e tutti gli ingredienti immagazzinati in un’impresa alimentare devono essere opportunamente conservati in modo da evitare un deterioramento nocivo e la contaminazione.

Se nel magazzino degli alimenti, in luogo dedicato, separato fisicamente o a livello di spazio sono presenti dei prodotti non alimentari (addirittura i prodotti chimici per le pulizie) nessuno può contestare il fatto. L’importante è che sia gli alimenti che gli altri oggetti siano conservati in modo ordinato, protetto, igienico, senza venire a contatto tra loro.

L’unico vincolo che il REG CE 852/2004 indica specificatamente per i prodotti chimici per le pulizie è (All II Cap 1 punto 10): “I prodotti per la pulizia e la disinfezione non devono essere conservati nelle aree dove vengono manipolati alimenti”. Quindi è vietato tenere i prodotti chimici nei luoghi dove gli alimenti vengono manipolati e trasformati, come ad esempio in una cucina.

Attenzione poi ai MOCA, che oltre ai vari obblighi previsti dal REG CE 1935/2004 (es il ristorante deve avere tutte le dichiarazioni di conformità MOCA dei MOCA usati), il REG CE 852/2004 dice che: “I materiali di confezionamento devono essere immagazzinati in modo tale da non essere esposti a un rischio di contaminazione.” Lo stesso concetto lo si deve seguire per tutti gli altri MOCA, ovvero: bicchieri, piatti, stoviglie, ecc.

  • IL LAVABO DI UNA ATTIVITA’ ALIMENTARE DEVE ESSERE PER FORZA AZIONABILE A PEDALE

Non per forza. Evidentemente il lavabo a pedale è il miglior modo per evitare contaminazioni da contatto con superfici potenzialmente sporche. Sicuramente consigliare di avere il lavabo con il pedale è un’ottima idea, ma non è obbligatorio. Infatti, il REG CE 852/2004 (allegato II cap 1 punto 4) a tal proposito indica: “Deve essere disponibile un sufficiente numero di lavabi, adeguatamente collocati e segnalati per lavarsi le mani. I lavabi devono disporre di acqua corrente fredda e calda, materiale per lavarsi le mani e un sistema igienico di asciugatura. Ove necessario, gli impianti per il lavaggio degli alimenti devono essere separati da quelli per il lavaggio delle mani.”

Come si può leggere in relazione ai lavabi, gli obblighi sono legati al fatto che vi sia acqua calda e fredda, che vi sia un sistema di asciugatura igienico (quindi niente asciugamani ma carta a perdere o similare) e che i lavabi per gli alimenti siano diversi da quelli per il lavaggio mani, ma non vi sono indicazioni sul metodo di apertura. Potrebbero essere presenti anche rubinetti a manopola, basta che sia presente nel manuale HACCP (e che questa sia ben chiara al personale) la specifica procedura che indichi che una volta lavate le mani, il rubinetto vada chiuso con l’ausilio della carta.

In realtà è il Codex Alimentarius che nei GENERAL PRINCIPLES OF FOOD HYGIENE CXC 1-1969 parla di: “lavamani di adeguata concezione igienica, realizzati con rubinetti non azionati manualmente”, però subito dopo la norma dice: “dove ciò non è possibile, dovrebbero essere messe in atto misure appropriate per ridurre al minimo la contaminazione dai rubinetti”.

Riassumendo si può dire quindi che un rubinetto a pedale è comunque una situazione ottimale, ma anche altri sistemi sono autorizzati, basta che sia presente una procedura che ne regoli l’utilizzo corretto.

  • IL PESCE PER ESSERE SERVITO CRUDO VA PRIMA ABBATTUTO

Non sempre. Infatti, il REG CE 853/2004 con tutte le sue modifiche nel tempo (ovvero il REG UE 1276/2011) prevede che gli operatori del settore alimentare non sono obbligati a praticare i trattamenti di abbattimento, al prodotto ittico, quando:

“a) sottoposti, o destinati ad essere sottoposti, ad un trattamento termico che uccide il parassita vivo prima del consumo. Nel caso di parassiti diversi dai trematodi il prodotto è riscaldato ad una temperatura al centro del prodotto superiore o uguale a 60 °C per almeno un minuto;

  1. b) che sono stati conservati come prodotti della pesca congelati per un periodo di tempo sufficiente ad uccidere i parassiti vivi (es -18°C per 96 ore);
  2. c) derivanti da cattura in zone di pesca non di allevamento, a condizione che:
  3. esistano dati epidemiologici indicanti che le zone di pesca d’origine non presentano rischi sanitari con riguardo alla presenza di parassiti; e
  4. le autorità competenti lo autorizzino;
  5. d) derivati da piscicoltura, da colture di embrioni e nutriti esclusivamente secondo una dieta priva di parassiti vivi che rappresentano un rischio sanitario, e purché uno dei seguenti requisiti sia soddisfatto:
  6. sono stati allevati esclusivamente in un ambiente privo di parassiti vivi; oppure
  7. l’operatore del settore alimentare verifica mediante procedure approvate dall’autorità competente che i prodotti della pesca non rappresentano un rischio sanitario con riguardo alla presenza di parassiti vivi.

Soprattutto sui punti c) e d) spesso non si presta attenzione. Se ad esempio un allevamento di pesci da indicazione di essere libero da parassiti, quel pesce per essere consumato crudo, può non essere abbattuto.

Ovviamente abbattere il pesce a -20°C per 24 ore o a -35°C per 15 ore serve a bonificarlo da eventuali parassiti presenti o uova di parassiti, ma non elimina i batteri, quindi mangiare pesce crudo, dal punto di vista del rischio biologico, può sempre rappresentare un rischio. Il rispetto di tutte le procedure sin dalla pesca fino alla tavola, può ridurre il rischio.

Sul tema specifico si rimanda al precedente articolo.

  • IL BIDONE DEI RIFIUTI DEVE ESSERE CHIUDIBILE A PEDALE

Non necessariamente. Sicuramente il bidone chiuso a pedale in acciaio è il metodo migliore per la conservazione dei rifiuti, poiché evita che i rifiuti vengano a contatto con gli alimenti, evita che gli odori possano spostarsi nel locale preparazione ed evita che l’operatore possa toccare con le mani il bidone per aprirlo.

Il capitolo VI dell’Allegato II del REG CE 852/2004 dice che i rifiuti vanno rimossi il prima possibile evitando accumuli. Questi devono essere rimossi in modo igienico senza che siano fonte diretta o indiretta di contaminazione degli alimenti nel rispetto delle norme comunitarie e locali in materia di smaltimento dei rifiuti.

Nei confronti dei bidoni si dice che (All II Cap VI punto 2): I rifiuti alimentari, i sottoprodotti non commestibili e gli altri scarti devono essere depositati in contenitori chiudibili, a meno che gli operatori alimentari non dimostrino all’autorità competente che altri tipi di contenitori o sistemi di evacuazione utilizzati sono adatti allo scopo. I contenitori devono essere costruiti in modo adeguato, mantenuti in buone condizioni igieniche, essere facilmente pulibili e, se necessario, disinfettabili.

Quindi se è vero che probabilmente il bidone chiuso con pedale sia il sistema migliore, possono essere previsti dei sistemi diversi, l’importante che si valuti il rischio e si dimostri che il metodo implementato non sia un pericolo per gli alimenti e l’ambiente di lavoro, non sia un rischio di contaminazione per l’operatore (queste comunque risolvibili con procedure di lavaggio mani), non attiri insetti, roditori ed animali e che si possa intervenire con adeguati sistemi di pulizia e sanificazione sia nei confronti dei bidoni usati che nei confronti degli ambienti in cui questi si trovano.

Questi sono solo alcuni esempi, i più frequenti, che vengono indicati o contestati agli OSA, che sono stati utilizzati per far capir e in realtà qual è la filosofia della norma europea in materia di sicurezza alimentare. Differentemente dal vecchio sistema dei regolamenti di igiene ora tutto è basato sull’analisi del rischio, ed è importante che in certe situazioni il consulente aiuti l’OSA a trovare certe soluzioni e che il controllore capisca se la scelta attuata sia davvero efficace per raggiungere l’obiettivo.

Se si dimostra che non vi sono rischi per l’alimento o l’operatore e se si dimostra che sono implementate procedure per raggiungere in modo efficiente ed efficace gli obiettivi posti dalla norma, nulla è a prescindere vietato.

  • È OBBLIGATORIO SEGNARE GIORNALMENTE LE TEMPERATURE DI STOCCAGGIO DEI FRIGORIFERI

No. L’allegato II della norma indica che “devono essere disponibili appropriati impianti o attrezzature per mantenere e controllare adeguate condizioni di temperatura dei cibi”. Questo vuol dire che devono essere sempre presenti termometri o altri strumenti per monitorare di continuo le temperature, fondamentali per la corretta conservazione degli alimenti. Questo non vuol dire che sia per forza necessario annotare tali temperature giornalmente, la procedura HACCP potrebbe (soprattutto nelle piccole attività semplificate) prevedere un controllo continuo visivo (banalmente ogni volta che si apre il frigo o ci si passa davanti) ed una annotazione delle sole non conformità.

Viceversa, ancor meglio, è avere dei sistemi informatici ed elettronici di controllo in continuo, dove è un sistema che monitora le temperature e va ad avvisare l’osa ogni volta che vi è un problema.

  • LA DIVISA DI LAVORO DEVE ESSERE DI COLORE CHIARO

Non per forza. Non c’è un riferimento normativo che indichi l’obbligo di avere una divisa di colore chiaro. L’allegato II capitolo VIII del REG CE 852/2004 dice che “Ogni persona che lavora in locali per il trattamento di alimenti deve mantenere uno standard elevato di pulizia personale ed indossare indumenti adeguati, puliti e, ove necessario, protettivi”. Questo vuol dire che le divise devono risultare sempre pulite, in ordine e non devono essere fonte di contaminazione.

Queste sono solo alcuni argomenti che spesso sono protagonisti di consulenze o prescrizioni, quando in realtà vengono trascurati altri argomenti che meriterebbero molta più attenzione.

Ad esempio i MOCA. Già il CAP X del REG CE 852/2004 dice che “I materiali di cui sono composti il confezionamento e l’imballaggio non devono costituire una fonte di contaminazione”. Non solo, il capitolo V è dedicato proprio a tutti i materiali ed attrezzature che vengono a contatto con gli alimenti. Ad esempio al punto 1 lettera b) del Cap V si dice che i MOCA devono: “essere costruiti in materiale tale de rendere minimi, se mantenuti in buono stato e sottoposti a regolare manutenzione, i rischi di contaminazione.”  A dar man forte a quanto detto c’è anche il REG CE 1935/2004 e tutte le altre norme nazionali e soprattutto europee in tema di food contact materials (MOCA).

Spesso nei ristoranti si utilizzano pentole non più adeguate, con fondi deteriorati che possono essere causa di contaminazione, oppure si utilizzano contenitori non certificati MOCA oppure contenitori certificati ma in modo sbagliato (basti pensare all’utilizzo errato delle pellicole alimentari dove quasi mai si rispettano le limitazioni indicate, vedi precedente articolo).

Altri temi su cui prestare maggiore attenzione sono sicuramente gli allergeni (che ancora non vengono gestiti al meglio nonostante siano ormai presenti da anni diverse norme Europee ed Italiane), l’etichettatura, le corrette modalità di informazione al consumatore e alcuni contaminanti di cui si è legiferato da poco (es acrilammide). Di questi e di altri argomenti, parleremo però in nuovi futuri articoli.

Dott. Matteo Fadenti

www.sicurgarda.com


Stampa articolo