La legittima difesa non è invocabile da parte di colui che accetti una sfida o si ponga volontariamente in una situazione di pericolo dalla quale è prevedibile o ragionevole attendersi che derivi la necessità di difendersi dall’altrui aggressione.
Cass. pen., sez.I, sentenza 10 luglio 2013 n.29481
La legittima difesa viene di regola esclusa in caso di rissa (per tutte, cfr. Cass. 22 novembre 1982, n.11092), posto che i partecipanti sono spinti da un reciproco intento aggressivo e quindi non si trovano nella medesima condizione di chi non possa tempestivamente invocare il soccorso dell’Autorità, per la semplice ragione che concorrono essi stessi a creare un pericolo che sarebbe stato in loro potere non originare, non rivolgendo o non accogliendo l’invito a battersi.
Coloro che partecipano ad una rissa rinunciano alla protezione giuridica e non rivestono alcuna funzione di garanzia nei riguardi dell’ordine giuridico violato.
Ricorrono, invece, le condizioni di applicabilità della scriminante nel caso di chi, partecipando ad una rissa senza armi o strumenti contundenti, si veda poi minacciato da un coltello e sia costretto per difendersi a farne uso anch’egli (così Cass. 18 ottobre 1982, n.9513).
Nel caso in trattazione, emergono con tutta evidenza i contorni di una reciproca aggressione tra componenti di opposte fazioni (rocambolesco inseguimento, speronamento e impatto tra veicoli, rissa armata con danneggiamento di un veicolo e reazione armata dei suoi occupanti all’indirizzo degli altri contendenti, ritrovamento su entrambe le auto di armi proprie e improprie, accoltellamento, esplosione di colpi d’arma da fuoco ad altezza d’uomo, ferimento).
L’omicidio che ne scaturisce va collocato nel contesto di una catena continua di azioni e reazioni violente tra i due opposti schieramenti in cui ad animare gli imputati “non era tanto l’ira per i soprusi iniziali, ma piuttosto la volontà di vendetta, punizione e annientamento dell’antagonista con adozione di strumenti micidiali. Questo atteggiamento di fredda organizzazione preventiva non poteva essere confuso con quello stato di sommovimento emotivo che, di fronte al fatto ingiusto altrui, fa ritenere l’agente meritevole di un’attenuazione di pena”.
I giudici di legittimità sottolineano in particolare la carenza dei presupposti scriminanti per l’azione omicidiaria, avendo gli imputati inseguito la vittima armata e “scelto il rischio” di ritrovarsela davanti, pur potendo allontanarsi sì da divenire bersaglio impossibile da raggiungere.
Viene pertanto esclusa non solo una delle condizioni della legittima difesa, ossia il pericolo attuale per l’incolumità dei soggetti agenti, ma l’operatività della scriminante tout court per mancanza del presupposto della costrizione ad agire in ragione della necessità di difendersi da un pericolo attuale, avendo gli imputati contribuito scientemente a dare causa all’insorgenza del rischio e accettandone le conseguenze (sulla stessa scia, tra le altre, cfr. Cass. pen., sez.I, n.12740 del 20 dicembre 2011; Cass. pen., sez.I, n.2654 del 9 novembre 2011; Cass. pen., sez.I, n.2911 del 7 dicembre 2007; Cass. pen., sez.I, n.15025 del 14 febbraio 2006; Cass. pen., sez.I, n.10406 del 18 gennaio 2005).