Il TAR Lazio ha respinto il ricorso con il quale un cittadino si era opposto al diniego di rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale, non avendo lo stesso dimostrato fatti specifici che facciano ritenere che sia verosimilmente esposto ad un concreto e specifico rischio per la propria incolumità personale.

L’istante, munito di licenza per l’esercizio del tiro a volo e delle relative autorizzazioni al trasporto del munizionamento necessario, aveva dichiarato la necessità di andare armato in quanto agonista a livello nazionale di tiro dinamico sportivo e da difesa e arbitro di tiro da difesa, chiamato a spostarsi frequentemente recando con sé le armi e le munizioni per l’esercizio del proprio sport.

Tar Lazio sez.1 ter sentenza n.2352  21 febbraio 2019

Per la valutazione della questione occorre innanzitutto premettere che, ai sensi dell’art.42 t.u.l.p.s., “il Questore ha facoltà di dare licenza per porto d’armi lunghe da fuoco e il Prefetto ha facoltà di concedere, in caso di dimostrato bisogno, licenza di portare rivoltelle o pistole di qualunque misura o bastoni animati la cui lama non abbia una lunghezza inferiore a centimetri 65. La licenza, la cui durata non sia diversamente stabilita dalla legge, ha validità annuale”.

La norma, evidentemente, subordina il rilascio, da parte del Prefetto, della licenza di porto d’armi all’esistenza di un “dimostrato bisogno” in determinate circostanze (si pensi, a mero titolo esemplificativo, al frequente trasporto di danaro, al pericolo di sequestro, al possesso e trasporto di preziosi, allo svolgimento di professioni ‘a rischio’), sul presupposto che detta licenza ha carattere eccezionale, costituendo principio generale dell’ordinamento quello per cui la tutela dell’incolumità personale e dei beni contro i delitti è riservata istituzionalmente alle Forze di polizia, mentre l’autotutela può essere consentita soltanto nei casi di estrema necessità, ove ogni altra via sia preclusa (cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 3 giugno 2016 n.935).

Il parere sul “dimostrato bisogno”, formulato dagli uffici di polizia, deve tener conto sia delle motivazioni addotte dall’interessato, il quale sarà tenuto a documentare esaurientemente il dichiarato bisogno di andare armato, che delle oggettive condizioni di pericolo parametrate al contesto territoriale e ad eventuali minacce o episodi di violenza in cui l’interessato possa incorso, e che devono trovare puntuale rispondenza presso gli atti d’ufficio.

La professione esercitata o il reddito o il volume di affari dichiarato costituiscono dati non necessariamente ed esclusivamente costitutivi di un dimostrato bisogno, occorrendo la dimostrazione di un vero e proprio bisogno di andare armati.

Analoga insussistenza dei presupposti sembra potersi evincere dalle istanze motivate con l’esercizio dell’attività di autista o accompagnatore, in quanto costituiscono evidenti riferimenti ad una vigilanza privata sulle persone. Lo stesso dicasi per la casistica dei dipendenti di imprese addetti ad operazioni bancarie di depositi prelevamenti o di coloro che sono costretti a viaggiare anche di notte con ingenti somme di denaro se tali situazioni non vengono esaurientemente comprovate da specifici accertamenti d’ufficio e si limitano invece alla sola dichiarazione del datore di lavoro, che non può costituire estrinsecazione del “dimostrato bisogno” di cui all’art.42 T.U.L.P.S..

Ne consegue che il provvedimento con il quale il Prefetto ritiene insufficienti le condizioni per il rilascio è sindacabile in sede giurisdizionale solo sotto i profili della manifesta illogicità e del palese travisamento dei fatti, anche considerato che il dimostrato bisogno del porto d’armi deve integrare una eccezionale necessità di autodifesa, non altrimenti surrogabile con altri rimedi, in quanto costituisce una deroga al divieto sancito dall’art.699 del codice penale e dall’art.4, comma 1, della L. n. 110 del 1975 (così, da ultimo, T.A.R. Toscana, Sez. II, 4 aprile 2017, n. 509; in tal senso, cfr. T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, sez. I, 30 giugno 2016 n. 222; Cons. Stato, sez. III, 2 luglio 2014 n. 3341).

Nel caso di specie, il provvedimento del Questore di diniego del porto d’armi per difesa personale è stato ritenuto, alla luce dei sopra richiamati principi, esente da qualsivoglia censura, “in quanto il ricorrente, all’infuori dell’attività esercitata del tiro a volo, rispetto alla quale risulta essere già titolare delle relative autorizzazioni, non allega alcun fatto specifico atto a giustificare il rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale”.

 

 


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