IN POCHE PAROLE…

La giustizia riparativa con pene sostitutive delle pene detentive c.d. brevi (fino a quattro anni di reclusione) e risoluzione con mediatore  delle questioni derivanti da reato.

D.Lgs 10 ottobre 2022, n. 150

Relazione illustrativa al d.lgs. n.150 del 2022


Il decreto legislativo  n.150 del 2022, oltre a prevedere dedicati interventi sul sistema penale sostanziale e processuale, ha profondamente modificato il sistema sanzionatorio ed altri istituti, conferendo particolare rilievo alla c.d. “giustizia riparativa”.

Le modifiche al regime sanzionatorio

Il sistema sanzionatorio è stato rivisitato attraverso il riassetto del comparto delle pene sostitutive ed il conferimento di un assoluto risalto alla pena pecuniaria, quale tipologia di pena principale (art.17 c.p.), previa riforma del correlato procedimento di esecuzione e di conversione in caso di insolvibilità del condannato.

Il processo di codificazione e ridefinizione del sistema delle sanzioni sostitutive, finora disciplinato esclusivamente dalla legge speciale n.689 del 1981, mira ad assicurare una concreta deflazione processuale e penitenziaria, favorendo l’applicazione del rivisitato impianto sanzionatorio da parte del giudice della cognizione.

A livello strutturale, il dato fondamentale – contenuto nell’inedito art.20-bis c.p. (introdotto dall’art.1 comma 1 lett. a) del d.lgs. n.150 del 2022) – è costituito dalla previsione delle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi (fino a quattro anni di reclusione): semilibertà sostitutiva, detenzione domiciliare sostitutiva, lavoro di pubblica utilità sostitutiva e pena pecuniaria sostitutiva.

In particolare:

– la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva possono essere applicate dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a quattro anni (art.20 bis co.2 c.p.);

– il lavoro di pubblica utilità sostitutivo può essere applicato dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a tre anni (art.20-bis, co.3 c.p.);

– la pena pecuniaria sostitutiva può essere applicata dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a un anno (art.20-bis, co.4 c.p.).

Le nuove ‘pene’ (non più ‘sanzioni’) sostitutive sono ammesse con un limite che è stato esteso da due a quattro anni. In luogo della semidetenzione e della libertà controllata figurano rispettivamente la semilibertà e la detenzione domiciliare sostitutive, mutuate dal novero delle misure alternative alla detenzione e applicate dal giudice di sorveglianza.

L’ampliamento dei limiti di applicabilità alle pene detentive fino a quattro anni di reclusione, unitamente alla ridefinizione della tipologia di sanzioni (detenzione domiciliare e semilibertà, mutuate dal novero delle misure alternative alla detenzione, lavori di pubblica utilità, introdotti in via generalizzata per tutte le tipologie di reati, e pene pecuniarie) mira ad incentivare la scelta di riti alternativi, e, in particolare, del patteggiamento, con applicazione delle pene sostitutive già in sede di cognizione. Ne dovrebbe conseguire l’alleggerimento del carico della magistratura di sorveglianza, e, sul versante penitenziario, la riduzione del sovraffollamento carcerario, evitando l’ingresso in carcere dei condannati, con incentivazione di misure volte alla risocializzazione del condannato”.

La riforma, inoltre, consente che anche il G.I.P., in sede di emissione del decreto penale di condanna, su richiesta dell’indagato o del condannato, possa sostituire la pena detentiva determinata entro il limite di un anno, oltre che con la pena pecuniaria, con il lavoro di pubblica utilità. Al riguardo trovano applicazione i commi 3-bis e il nuovo 3-ter dell’art.459 c.p.p., che prevedono, rispettivamente, i criteri di ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria in sede di emissione del decreto penale di condanna e la possibilità per il condannato, nei cui confronti sia stato emesso decreto penale di condanna a pena pecuniaria sostitutiva, di proporre istanza di sostituzione con i lavori di pubblica utilità.

Per quanto concerne le previsioni contenute nella legge n.689 del 1981 ed in particolare la determinazione dei limiti di pena, l’art.53 ultimo comma stabilisce che si deve tenere conto, ai fini della determinazione dei limiti di pena detentiva, entro i quali possono essere applicate pene sostitutive, degli aumenti determinati ai sensi dell’art. 81 c.p. per concorso formale di reati e continuazione.

L’art.55 disciplina la semilibertà sostitutiva. La pena è così strutturata: obbligo di permanenza di almeno otto ore in istituto di pena e, per il restante tempo, impegno del condannato in attività risocializzanti di studio, lavoro, formazione professionale o attività comunque utili alla rieducazione e al reinserimento sociale, secondo un programma concordato con l’UEPE (v. l’art. 545-bis c.p.p.).

L’art. 56 prevede la detenzione domiciliare sostitutiva, che comporta l’obbligo di permanenza nel luogo di privata dimora o in luogo di cura, comunità o casa famiglia, per non meno di dodici ore al giorno, tenuto conto delle esigenze familiari, di studio, formazione, lavoro e salute, con facoltà per il condannato di allontanarsi dal domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle indispensabili esigenze di vita e di salute.

La detenzione domiciliare può essere rafforzata dalla previsione di procedure di controllo con mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, qualora ritenuti dal giudice necessari per prevenire il pericolo di commissione di altri reati o per tutelare la persona offesa. L’indisponibilità di tali mezzi, tuttavia, non può ritardare l’esecuzione della pena. Sarà necessario verificare, quindi, se i dispositivi siano immediatamente disponibili, laddove la pena sia ritenuta congrua solo con l’applicazione degli stessi. “Le pene in esame potrebbero non avere fortuna nella prassi, non risultando appetibili né in sede di patteggiamento, né all’esito del dibattimento, a seguito della pronuncia di un dispositivo di condanna a pena detentiva superiore ai tre anni ed inferiore o uguale a quattro anni, ovvero al limite previsto per la sostituzione. Si osserva, infatti, che le pene fino a tre anni possono essere sostituite con i lavori di pubblica utilità, mentre rimane tuttora accessibile al condannato ad una pena superiore ai tre anni, ma inferiore ai quattro (sostituibile solo con semilibertà e detenzione domiciliare) la più appetibile misura alternativa dell’affidamento in prova, da richiedere al Tribunale di sorveglianza a seguito del passaggio in giudicato della sentenza”.

Il successivo art.67, inoltre, vieta l’applicazione delle misure alternative ai condannati con pene sostitutive, salvo quanto previsto dal nuovo comma 3-ter dell’art.47 ord. pen., che prevede che con l’applicazione della semidetenzione o semilibertà sostitutive non vi sarà possibilità di chiedere l’affidamento in prova se non nei casi in cui il condannato “dopo l’espiazione di almeno metà della pena, abbia serbato un comportamento tale per cui l’affidamento in prova appaia più idoneo alla rieducazione del condannato e assicuri comunque la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati”. In ogni caso, ai sensi dell’art. 59, i reati c.d. ostativi alla concessione di misure alternative alla detenzione di cui all’art.4-bis l. ord. pen. precludono altresì la sostituzione della pena.

L’art.56-bis riprende la nozione di lavori di pubblica utilità dall’art.54 co.2 del d.lgs. n.274 del 2000, definendoli come una “prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, le città metropolitane, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato”.

Si tratta di una sanzione sostitutiva generalizzata, non più applicabile soltanto a determinate fattispecie (quali le contravvenzioni della guida in stato di ebbrezza e in stato di alterazione da assunzione di sostanze stupefacenti, 186, co.9-bis del d.lgs. n.285 del 1992 e 187, co.8-bis d.lgs. n.285 del 1992, e i reati in materia di stupefacenti, art.73 co.5-bis del D.P.R. n.309 del 1990), ma per tutti i reati per i quali sia stata irrogata una pena non superiore a tre anni.

Riguardo al luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, si prevede che il lavoro debba essere svolto “di regola” nella regione in cui risiede il condannato.

Quanto alla durata, la prestazione deve consistere in non meno di sei e non più di quindici ore di lavoro settimanale. Tuttavia, se il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità per un tempo superiore, non eccedente le otto ore giornaliere.

Ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di due ore di lavoro.

La prestazione lavorativa non deve pregiudicare le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato.

In caso di risarcimento del danno o di eliminazione delle conseguenze dannose del reato, ove possibili, è prevista la revoca della confisca eventualmente disposta, salvi i casi di confisca obbligatoria.

L’articolo in esame demanda ad un decreto del Ministro della giustizia, d’intesa con la Conferenza unificata, la definizione delle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità.

Nelle more dell’adozione del decreto ministeriale attuativo, entrando le nuove norme immediatamente in vigore, l’art.56-bis prevede che si dovrà fare riferimento, per quanto compatibili, ai decreti del Ministro della giustizia 26 marzo 2001 e 8 giugno 2015 n.88, adottati, rispettivamente, per il lavoro di pubblica utilità quale pena principale irrogabile dal giudice di pace e quale contenuto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato.

L’art.56-ter prevede prescrizioni comuni, da impartire unitamente alle pene sostitutive della semilibertà, della detenzione domiciliare e dei lavori di pubblica utilità, quali:

1) il divieto di detenere e portare a qualsiasi titolo armi, munizioni ed esplosivi, anche se à stata concessa la relativa autorizzazione di polizia;

2) il divieto di frequentare abitualmente, senza giustificato motivo, pregiudicati o persone sottoposte a misure di sicurezza, a misure di prevenzione o comunque persone che espongano concretamente il condannato al rischio di commissione di reati, salvo si tratti di familiari o di altre persone conviventi stabilmente;

3) l’obbligo di permanere nell’ambito territoriale, di regola regionale, stabilito nel provvedimento che applica o dà esecuzione alla pena sostitutiva;

4) il ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell’espatri o di ogni altro documento equipollente;

5) l’obbligo di conservare, di portare con sé e di presentare ad ogni richiesta degli organi di polizia il provvedimento che applica o dà esecuzione alla pena sostitutiva e l’eventuale provvedimento di modifica delle modalità di esecuzione della pena

Al fine di prevenire la commissione di ulteriori reati, il giudice può anche prescrivere il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, con applicazione dell’art.282 bis c.p.p. in quanto compatibile.

L’art.56-quater detta i criteri di ragguaglio della pena pecuniaria sostitutiva, che può essere applicata in caso di pena detentiva fino ad 1 anno (e non più sei mesi), prevedendo che l’ammontare sia determinato dal giudice “individuando il valore giornaliero e moltiplicandolo per i giorni di pena detentiva”.

Tale valore giornaliero non può essere inferiore a 5 euro e superiore a 2.500 euro e corrisponde alla quota di reddito giornaliero che può essere impiegata per il pagamento della pena pecuniaria, tenendo conto delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare. Si applica la possibilità di pagamento rateale prevista dall’art.133-ter c.p. (da 3 a 30 rate mensili comunque non inferiori a 15 euro) salva la possibilità di estinguere la pena, in ogni momento, mediante un unico pagamento. All’evidenza, l’applicazione della pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva presuppone la disponibilità, da parte del giudice, di informazioni circa le predette “condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare”.

L’art.57, in punto di durata delle pene sostitutive, prevede che:

– semilibertà e detenzione domiciliare abbiano la stessa durata della pena detentiva irrogata;

– i lavori di pubblica utilità abbiano durata corrispondente a quella della pena detentiva, secondo i parametri di ragguaglio dell’art. 56-bis (che sono quelli dell’art.54 del d.lgs. n.274/2000: 1 giorno di lavori di pubblica utilità = 2 ore di lavoro, con il limite di 8 ore giornaliere e da un minimo di 6 ad un massimo di 15 ore a settimana).

Quanto alla scelta della pena e alla motivazione sul punto, l’art.58 prevede il potere discrezionale del giudice, che individua la pena sostitutiva più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato, con il minor sacrificio della libertà personale. Il giudice è chiamato a motivare la scelta del tipo e delle modalità applicative della pena sostitutiva. In particolare, quando la misura sostituisce una pena nel limite dei tre anni o di un anno, l’applicazione della semilibertà o della detenzione domiciliare deve essere motivata, indicando le ragioni per cui non sono idonei, nel caso concreto, rispettivamente i lavori di pubblica utilità o la pena pecuniaria.

Nel compiere le valutazioni di cui sopra, il giudice dovrà tenere conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del condannato, secondo quanto prescritto dall’art.133 c.p.. Dovrà, inoltre, tenere conto dell’età, della salute fisica o psichica, della condizione di maternità o (secondo quanto previsto dall’art.47-quinquies co.7, legge n. 354 del 1975) di paternità dello stesso.

L’art.61 prevede che il giudice, nel dispositivo della sentenza o del decreto penale, indichi la specie e la durata sia della pena sostituita, sia della pena sostitutiva ovvero, nel caso della pena sostitutiva pecuniaria, il suo ammontare.

L’art.58 della legge n.689 del 1981 riconosce al giudice un potere discrezionale nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell’art.133 c.p.. In particolare, se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati.

La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato.

Tra le pene sostitutive il giudice sceglie quella più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato con il minor sacrificio della libertà personale, indicando i motivi che giustificano l’applicazione della pena sostitutiva e la scelta del tipo.

Quando applica la semilibertà o la detenzione domiciliare, il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonei nel caso concreto il lavoro di pubblica utilità o la pena pecuniaria.

In ogni caso, nella scelta tra la semilibertà, la detenzione domiciliare o il lavoro di pubblica utilità, il giudice tiene conto di condizioni legate all’età, alla salute fisica o psichica, alla maternità, o alla paternità nei casi di cui all’art.47-quinquies co.7, della legge 26 luglio 1975, n.354, fermo quanto previsto dall’art.69 co.3 e 4 c.p.. Il giudice tiene altresì conto delle condizioni di disturbo da uso di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche ovvero da gioco d’azzardo, certificate dai servizi pubblici o privati autorizzati, nonché delle condizioni di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, certificate dai servizi.

Ai sensi dell’art.59, vi è divieto di applicazione di una pena sostitutiva per chi:

a) ha commesso il reato per cui si procede entro tre anni dalla revoca della pena sostitutiva, effettuata per i motivi contemplati dall’articolo 66 della L. n. 689/81 (cfr. § 11) o ha commesso un delitto non colposo durante l’esecuzione delle medesime pene sostitutive. In tali casi è fatta comunque salva la possibilità di applicare una pena sostitutiva di specie più grave di quella revocata;

b) non abbia proceduto al pagamento di una pena pecuniaria, anche sostitutiva, nei precedenti cinque anni. In tal caso sono comunque salvi i casi di conversione per insolvibilità del condannato disciplinati dagli articoli 71 e 103 della legge n.689 del 1981;

c) sia sottoposto a misura di sicurezza personale, salvi i casi di parziale incapacità di intendere e di volere;

d) sia imputato di uno dei reati per i quali non è consentita l’applicazione dei benefici penitenziari (art.4-bis della legge n.354 del 1975), salvo il riconoscimento della circostanza di cui all’art. 323-bisp.

Quanto alla verifica della sussistenza delle situazioni ostative di cui alle lettere a), si osserva che l’art.82, in materia di modifiche in tema di provvedimenti iscrivibili nel certificato del casellario giudiziale, non prevede l’iscrizione dei provvedimenti di revoca delle sanzioni sostitutive, ma solo dei provvedimenti di conversione della pena pecuniaria in caso di inadempimento. Tuttavia, se la conversione non vi è ancora stata, nonostante l’inadempimento, nemmeno i provvedimenti di conversione saranno conoscibili dal giudice della cognizione, se non su segnalazione della parte interessata

Alla pena sostitutiva non è applicabile la sospensione condizionale della pena (art.61-bis), ma può essere concessa la non menzione ex art.175 c.p., come modificato dall’art.1 lett.n) del decreto legislativo delegato.

L’art.545-bis c.p.p. disciplina la fase applicativa delle pene sostitutive, prevedendo la possibilità, per il giudice della cognizione, di sostituire la pena irrogata a seguito della lettura del dispositivo di condanna, secondo le seguenti modalità e scansioni processuali.

1) Subito dopo la lettura del dispositivo della sentenza che applica una pena detentiva non superiore a quattro anni, il giudice, se ricorrono le condizioni – in astratto – per sostituire la pena detentiva breve con una pena sostitutiva di cui all’art.53 della legge n.689 del 1981 (entità della pena, non concessione della sospensione condizionale, assenza delle cause ostative di cui all’art.59), ne dà avviso alle parti. Rispetto alle pene sostitutive diverse da quella pecuniaria, l’imputato (o il suo difensore munito di procura speciale) deve acconsentire alla sostituzione con una pena diversa da quella pecuniaria. Quanto, invece, alla pena pecuniaria, sembrerebbe sufficiente la sussistenza delle sole condizioni materiali per l’adempimento (“se l’imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, acconsente alla sostituzione della pena detentiva con una pena diversa dalla pena pecuniaria, ovvero se può aver luogo la sostituzione con detta pena”).

2)  In mancanza degli elementi necessari per decidere immediatamente, il giudice, avvisate le parti e raccolto il consenso dell’imputato, dispone la sospensione del processo e la fissazione di un’apposita udienza non oltre sessanta giorni, con avviso alle parti e all’UEPE competente (per gli stessi motivi può essere sospeso il processo in sede di patteggiamento ai sensi dell’art.448, nuovo comma 1-bis c.p.p. e di procedimento per decreto penale di condanna ex art.459, nuovo comma 1-ter c.p.p.). Durante il periodo di sospensione, dovranno quindi pervenire al giudice dall’ufficio dell’esecuzione penale esterna (o dalla polizia giudiziaria) tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale, economica e patrimoniale dell’imputato, oltre al “programma di trattamento della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità con la relativa disponibilità dell’ente”.

3) All’udienza fissata per la decisione sulla sostituzione della pena detentiva, il giudice – lo stesso che ha disposto la condanna – deciderà se e come sostituire la pena detentiva, avendo acquisito dall’UEPE (o dalla polizia giudiziaria) gli elementi utili per individuare il trattamento sanzionatorio più adeguato:

– se il giudice ritiene di poter sostituire: integra il dispositivo “indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le prescrizioni corrispondenti”;

– se il giudice ritiene di non poter sostituire, conferma il dispositivo.

Si rileva, allo stato e in attesa di un adeguamento delle strutture territoriali dell’ufficio dell’esecuzione penale esterna, la ristrettezza delle tempistiche per ottenere le informazioni necessarie dall’UEPE che di regola necessita di un periodo ben più lungo di 60 giorni per l’elaborazione di un programma di trattamento nell’ambito del rito speciale della messa alla prova. Ciò potrebbe concretamente determinare un aumento delle richieste dell’A.G. per informazioni alla polizia giudiziaria allo scopo di accertare profili inerenti la posizione del destinatario della misura da sostituire (condizioni di vita, personali, familiari, sociali, economiche e patrimoniali).

La disciplina dell’esecuzione delle pene sostitutive e la modificabilità delle stesse in sede esecutiva è contenuta negli artt.62-64 e nell’art. 71.

In particolare, l’art.62 prevede che l’esecuzione della semilibertà e della detenzione domiciliare sia curata dal magistrato di sorveglianza del luogo di domicilio del condannato, a seguito della trasmissione della sentenza a cura del Pubblico Ministero.

Il magistrato di sorveglianza procede a norma dell’art.678, co.1-bis c.p.p., e, previa verifica dell’attualità delle prescrizioni ed entro il quarantacinquesimo giorno dalla ricezione della sentenza, provvede con ordinanza con cui conferma e, ove necessario, modifica le modalità di esecuzione e le prescrizioni della pena.

L’art.63 descrive il procedimento di esecuzione della pena degli lavori di pubblica utilità, in cui sono coinvolti, per la consegna del provvedimento all’imputato, l’ingiunzione al rispetto delle prescrizioni e la verifica del rispetto delle stesse, “l’ufficio di pubblica sicurezza o, in mancanza di questo, il Comando dell’Arma dei Carabinieri competenti in relazione al comune in cui il condannato risiede, nonché l’ufficio di esecuzione penale esterna”.

L’UEPE è tenuto a relazionare periodicamente il giudice che ha applicato la pena sostitutiva e, all’esito dei lavori, quest’ultimo dovrà dichiarare eseguita la pena, estinto ogni altro effetto penale (ad eccezione delle pene accessorie perpetue) e revocare la confisca ex art. 56-bis.

L’art. 64 disciplina le modalità di modifica – per comprovate ragioni – delle prescrizioni, prevedendo espressamente la competenza del magistrato di sorveglianza in relazione alle pene sostitutive della semilibertà e della detenzione domiciliare, del giudice che ha applicato la pena sostitutiva, invece, in relazione ai lavori di pubblica utilità.

Gli artt.71, 102 e 103 disciplinano l’esecuzione della pena pecuniaria sostitutiva, rinviando all’art.660 c.p.p., che a sua volta demanda alle leggi e ai regolamenti l’esecuzione delle pene pecuniarie

La legge n.689 del 1981, infine, così come novellata, prevede la revoca delle sanzioni sostitutive (art.66), disposta dal giudice che ha applicato i lavori di pubblica utilità o dal magistrato di sorveglianza, in caso di mancata esecuzione della pena sostitutiva, ovvero di violazione grave o reiterata degli obblighi e delle prescrizioni ad essa inerenti, con conversione della parte residua nella pena sostituita o in pena sostitutiva più grave.

Il mancato pagamento della pena pecuniaria determina la conversione della stessa in semilibertà o semidetenzione sostitutiva, salvo l’inadempimento sia dovuto alle condizioni economiche e patrimoniali del condannato, con conseguente conversione – in questo caso – della pena pecuniaria in lavori di pubblica utilità o di detenzione domiciliare sostituiva (art.71).

L’art.72, inoltre, prevede la responsabilità penale, ai sensi dell’art.385 c.p., del condannato alla semilibertà e alla detenzione domiciliare, che si allontani dall’istituto di pena o dal domicilio per più di 12 ore senza giustificato motivo. Analogamente, la mancata presentazione presso il luogo di svolgimento dei lavori di pubblica utilità ovvero il suo abbandono integra il reato di cui all’art. 56 D. Lgs. 274/2000, punito con la reclusione fino ad un anno.

Gli artt. 68 e 69 disciplinano la possibilità di sospensione delle pene e, per i condannati alla semilibertà e alla semidetenzione, di conseguire licenze.

In caso di esecuzione di una pluralità di pene sostitutive concorrenti si applicano i criteri di cui all’art.70.

In via transitoria, le norme previste dal Capo III della legge n.689 del 1981 (come modificate dall’art.71 del d.lgs. n.150 del 2022), se più favorevoli all’agente, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello alla data di entrata in vigore del decreto (ora al 30 dicembre 2022).

L’ambito applicativo delle pene sostitutive delle pene detentive brevi – esteso, come visto, a quattro anni di pena detentiva applicabile – si interseca non già con quello della sospensione condizionale della pena, quanto con l’istituto processuale della sospensione dell’ordine di esecuzione ai sensi dell’art.656 co.5 c.p.p., con tendenziale prevalenza in sede applicativa delle nuove pene sostitutive.

Quanto al giudizio di legittimità, il condannato a pena detentiva non superiore a quattro anni, all’esito di un procedimento pendente innanzi la Corte di cassazione all’entrata in vigore del decreto, può presentare istanza di applicazione di una delle pene sostitutive di cui al Capo III della legge n.689 del 1981 al giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art.666 c.p.p. entro trenta giorni dalla irrevocabilità della sentenza. Nel giudizio di esecuzione si applicano, in quanto compatibili, le norme del Capo III della legge n. 689 del 1981 e del codice di procedura penale relative alle pene sostitutive. In caso di annullamento con rinvio provvede il giudice del rinvio (art.95 co.1 d.lgs. n.150 del 2022).

Come spiega la Relazione illustrativa, l’applicabilità delle nuove pene sostitutive nei giudizi di impugnazione può apparire distonica, ma tuttavia è imposta dal rispetto del principio di retroattività della lex mitior. Una diversa scelta si esporrebbe al rischio di una dichiarazione di illegittimità costituzionale – e, comunque, promette possibili effetti deflattivi (ad esempio, nel contesto del c.d. patteggiamento in appello).

In secondo luogo, la disciplina transitoria, in attuazione dell’art.1, comma 17, lett.a), della legge n.134 del 2021, si fa carico degli effetti conseguenti all’abolizione delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata di cui agli artt.53, 55 e 56 della legge n.689 del 1981, nel testo previgente fino all’entrata in vigore del decreto [ovvero fino al 29 dicembre 2022]. In assenza di questa previsione transitoria, fermo il limite del giudicato (art.2 co.4 c.p.), l’abolizione delle predette sanzioni sostitutive avrebbe comportato la cessazione dell’esecuzione di quanti vi fossero stati sottoposti al momento dell’entrata in vigore della riforma [30 dicembre 2022].

Questo esito sarebbe stato tuttavia irragionevole poiché – come spiega la Relazione illustrativa – «tali pene sostitutive vengono abolite per introdurne di nuove, al loro posto. Non è venuto in alcun modo meno il disvalore penale del fatto per il quale è in esecuzione la pena […] né la valutazione sulla meritevolezza e il bisogno di punire il fatto, con una pena sostitutiva della pena detentiva. La ragione dell’abolizione è da rinvenirsi solo nel rinnovamento della tipologia delle pene sostitutive. Si è perciò ritenuto di introdurre una deroga al principio di retroattività della lex mitior – abolitrice delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata – stabilendo che alle medesime sanzioni sostitutive, già disposte al momento dell’entrata in vigore del decreto, continuino ad applicarsi le norme previgenti.

Si è peraltro previsto che, tuttavia, i condannati alla semidetenzione possono chiedere al magistrato di sorveglianza la conversione nella pena sostitutiva della semilibertà, che presenta contenuti analoghi (e più favorevoli, quanto, ad esempio, al numero minimo di giorni da trascorrere in istituto: art.95 co.2 d.lgs. n.150 del 2022).

In terzo luogo, si consente l’immediata applicazione della nuova pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, senza attendere l’adozione del decreto attuativo di cui all’art. 56-bis della legge n.689 del 1981.

L’art.95, comma 3 prevede espressamente che sino all’entrata in vigore del suddetto decreto ministeriale, si applicano, in quanto compatibili, i decreti del ministro della giustizia del 26 marzo 2001 (recante le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità come pena principale irrogabile dal giudice di pace) e del 8 giugno 2015 n.88 (recante le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità quale contenuto obbligatorio della  sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato).

L’art. 95 prevede che, in quanto più favorevoli, le nuove norme trovino applicazione nei procedimenti pendenti in primo grado e in grado di appello nel momento di entrata in vigore, quindi il 30 dicembre 2022.

Per i procedimenti pendenti in Cassazione è fissato un termine di 30 giorni dall’irrevocabilità della sentenza per la proposizione al giudice dell’esecuzione, da parte del condannato a pena non superiore a 4 anni, di istanza di applicazione di una pena sostitutiva.

Ai condannati alle abrogate sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata è prevista l’applicazione della normativa previgente, salvo possibilità per i condannati alla semidetenzione di chiedere al magistrato di sorveglianza l’applicazione della semilibertà, di contenuto analogo.

Infine, per quanto riguarda i lavori di pubblica utilità, le modalità attuative sono demandate ad un decreto attuativo del Ministero (art.56-bis della legge n.689 del 1991). Nelle more si dovrà fare riferimento, per quanto compatibili, ai decreti del Ministro della giustizia 26 marzo 2001 e 8 giugno 2015 n.88, adottati, rispettivamente, per il lavoro di pubblica utilità quale pena principale irrogabile dal giudice di pace e quale contenuto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato.

L’art.97 del d.lgs. n.150 del 2022 provvede alla disciplina transitoria delle modifiche apportate in materia di esecuzione e conversione della pena pecuniaria non eseguita. Si stabilisce anzitutto che le disposizioni in materia di conversione delle pene pecuniarie, previste dall’art.71 del d.lgs. n.150 e dal Capo V della legge n.689 del 1981, come a sua volta modificato dal d.lgs. n.150, si applicano, salvo che risultino in concreto più favorevoli al condannato, ai reati commessi dopo la sua entrata in vigore (art.97, comma 1, d.lgs. n.150 del 2022).

Questa prima disposizione ribadisce un principio generale: riguarda, infatti, modifiche di norme aventi natura sostanziale, perché relative al trattamento sanzionatorio penale, soggette pertanto al divieto di applicazione retroattiva (art.25, co.2 Cost.) se e in quanto peggiorative. È questo generalmente il caso, atteso che nel nuovo sistema delineato dalla riforma si prevede, da un lato, la conversione anche in caso di mancato pagamento colpevole, e non solo per insolvibilità, e che, dall’altro lato, le pene da conversione sono generalmente più afflittive della libertà controllata e del lavoro sostitutivo. Di qui la scelta di rendere normalmente applicabili le nuove disposizioni in relazione ai fatti commessi solo a decorrere dal 30 dicembre 2022; “scelta che è altresì funzionale – si chiarisce nella Relazione illustrativa – alle esigenze organizzative dell’autorità giudiziaria e, in particolare, della magistratura di sorveglianza, che vedrà aumentare il proprio carico di lavoro”.

In secondo luogo, si precisa, espressamente, che ai reati commessi prima dell’entrata in vigore del decreto continuano ad applicarsi le disposizioni in materia di conversione ed esecuzione delle pene pecuniarie previste Capo V della legge n.689 del 1981, dall’art.660 c.p.p. e da ogni altra disposizione di legge, vigenti prima dell’entrata in vigore del decreto (art.97 co.2 del d.lgs. n.150).

L’abolizione della libertà controllata e del lavoro sostitutivo – il cui posto è preso da nuove pene da conversione – avrebbe infatti potuto far sorgere il dubbio sulla sorte dell’esecuzione delle pene stesse. L’ultrattività della disciplina abrogata o sostituita – chiariscono i compilatori – “è coerente con la scelta di escludere l’applicazione retroattiva dello ius novum e non viola il principio di retroattività della legge più favorevole: la riforma è infatti ispirata espressamente a obiettivi di maggiore effettività della pena pecuniaria, ragion per cui sarebbe irragionevole caducare tutte le pene da conversione in esecuzione o interrompere i procedimenti volti alla conversione delle pene pecuniarie non pagate, ovvero al loro recupero mediante l’iscrizione a ruolo. È infatti parimenti prevista l’ultrattività delle disposizioni del testo unico delle spese di giustizia abrogate o modificate dal presente decreto”.

Infine, la norma transitoria stabilisce che le disposizioni del testo unico in materia di giustizia di cui al D.P.R. 30 maggio 2002 n.115, abrogate o modificate dal d.lgs. n.150 del 2022 (v. art.98), continuano ad applicarsi ultrattivamente in relazione alle pene pecuniarie irrogate per reati commessi prima della sua entrata in vigore. Analoga previsione di ultrattività riguarda l’art.1 co.367, della legge 24 dicembre 2007 n.244, che regola l’operato di Equitalia Giustizia in materia di gestione del credito derivante dalle pene pecuniarie (art.97 co.3 del d.lgs. n.150 del 2022).

Dall’insieme di queste norme di diritto transitorio, si evince, pertanto, che la riforma dell’esecuzione e della conversione delle pene pecuniarie entrerà in vigore gradualmente, dando tempo sia all’autorità giudiziaria, sia alle competenti amministrazioni, di organizzarsi al riguardo.

Modifiche in materia di reati alimentari

L’art.70 del d.lgs. n.150 del 2022 estende all’intero comparto delle contravvenzioni in materia di igiene, produzione e vendita di alimenti e bevande di cui alla legge 30 aprile 1962, n.283 la procedura (e la correlata causa) estintiva per adempimento di prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza (v. nuovi artt. 12-ter ss. aggiunti alla legge n. 283 del 1962).

La riforma interessa le contravvenzioni igienico-sanitarie previste all’art.5 della legge n.283 del 1962, che puniscono le condotte di impiego, vendita, somministrazione o introduzione di sostanze alimentari contaminate, in stato di degrado o di cattiva conservazione o, comunque, non conformi alle disposizioni di legge.

La sfera di applicabilità della procedura e della connessa causa estintiva è qui delimitata con riguardo alle “contravvenzioni che hanno cagionato un danno o un pericolo suscettibile di elisione mediante condotte ripristinatorie o risarcitorie” (art.12-ter co.1, legge n.283 del 1962).

Per consentire l’estinzione della contravvenzione ed eliderne le conseguenze dannose o pericolose, l’organo accertatore, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all’art.55 c.p.p., impartisce al contravventore un’apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario e comunque non superiore a sei mesi.

In presenza di specifiche e documentate circostanze non imputabili al contravventore, che determinino un ritardo nella regolarizzazione, il termine può essere prorogato per una sola volta, a richiesta del contravventore, per un periodo non superiore a ulteriori sei mesi, con provvedimento motivato che è comunicato immediatamente al pubblico ministero. Copia della prescrizione è notificata o comunicata anche al rappresentante legale dell’ente nell’ambito o al servizio del quale opera il contravventore.

Con la prescrizione l’organo accertatore può imporre, anche con riferimento al contesto produttivo, organizzativo, commerciale o comunque di lavoro, specifiche misure atte a far cessare situazioni di pericolo ovvero la prosecuzione di attività potenzialmente pericolose per la sicurezza, l’igiene alimentare e la salute pubblica.

Resta in ogni caso fermo l’obbligo dell’organo accertatore di riferire al pubblico ministero la notizia di reato relativa alla contravvenzione e di trasmettere il verbale con cui sono state impartite le prescrizioni. Il pubblico ministero, quando lo ritiene necessario, può disporre con decreto che l’organo che ha impartito le prescrizioni apporti modifiche alle stesse.

Entro i trenta giorni utili per provvedere al pagamento, il contravventore che per le proprie condizioni economiche sia impossibilitato ad adempiere, può chiedere l’ammissione alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Di tale impossibilità ne deve essere data dimostrazione mediante l’esibizione della dichiarazione sostitutiva di pagamento sottoscritta dal contravventore.

La durate ed il termine per lo svolgimento del lavoro sono stabiliti dal pubblico ministero.

Il contravventore può interrompere in qualsiasi momento la prestazione dei lavori pagando una somma di denaro pari ad un sesto del massimo dell’ammenda prevista per la contravvenzione, deducendo la somma corrispondente al lavoro materialmente già prestato.

La contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alle prescrizioni impartite o provvede al pagamento della somma di denaro nel termine stabilito. In caso di adempimento tardivo, invece, il reato non si estingue ma la pena è diminuita e la somma da versare sarà ridotta a un quarto del massimo dell’ammenda.

La giustizia riparativa

Il titolo IV, dedicato alla disciplina organica della giustizia riparativa (artt.42-67), promuove il riconoscimento della vittima del reato, la responsabilizzazione della persona indicata come autore dell’offesa e la ricostituzione dei legami con la comunità, tramite la risoluzione mediata delle questioni derivanti dal reato.

Si tratta di un programma ad accesso gratuito che consente alla persona indicata come autore dell’offesa (art.42 lett.c), alla vittima del reato (art.42 lett.b), agli altri soggetti appartenenti alla comunità (familiari della vittima del reato e della persona indicata come autore dell’offesa, persone di supporto segnalate dalla vittima del reato e dalla persona indicata come autore dell’offesa, enti ed associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato, rappresentanti o delegati di Stato, Regioni, enti locali o di altri enti pubblici, autorità di pubblica sicurezza, servizi sociali) e in definitiva chiunque altro vi abbia interesse (art.45), di partecipare in modo consensuale, attivo e volontario alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale adeguatamente formato denominato mediatore.

La giustizia riparativa (art.43 co.1) in materia penale si conforma ai seguenti principi:

a) la partecipazione attiva e volontaria della persona indicata come autore dell’offesa e della vittima del reato e degli altri eventuali partecipanti alla gestione degli effetti pregiudizievoli causati dall’offesa;

b) l’equa considerazione dell’interesse della vittima del reato e della persona indicata come autore dell’offesa;

c) il coinvolgimento della comunità nei programmi di giustizia riparativa;

d) il consenso alla partecipazione ai programmi di giustizia riparativa;

e) la riservatezza sulle dichiarazioni e sulle attività svolte nel corso dei programmi di giustizia riparativa;

f) la ragionevolezza e proporzionalità degli eventuali esiti riparativi consensualmente raggiunti;

g) l’indipendenza dei mediatori e la loro equiprossimità rispetto ai partecipanti ai programmi di giustizia riparativa;

h) la garanzia del tempo necessario allo svolgimento di ciascun programma

Il programma (art.43 co.2) mira a raggiungere un esito riparativo, ossia un accordo per la riparazione dell’offesa, idoneo a rappresentare l’avvenuto riconoscimento reciproco (tra vittima ed autore del reato).

Il programma (art.42, lett.g) è a cura del Centro per la giustizia riparativa, una struttura pubblica istituita presso gli enti locali che si occupa della organizzazione, gestione, erogazione e svolgimento dei programmi di giustizia riparativa. All’interno di ciascun distretto di Corte d’Appello è istituita la Conferenza locale per la giustizia riparativa (cui partecipano i rappresentanti del Ministero della Giustizia, dei Comuni Province e Città metropolitane presenti nel distretto). La Conferenza, sentiti il Presidente della Corte d’Appello, il Procuratore generale presso la Corte d’Appello, il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati, sentiti anche i membri esperti della Conferenza nazionale per la giustizia riparativa, individua, mediante protocollo d’intesa, uno o più enti locali cui affidare l’istituzione e la gestione dei Centri per la giustizia riparativa. Entro 6 mesi dall’entrata in vigore del d.lgs. n.150 del 2022 la Conferenza locale provvede alla ricognizione dei servizi di giustizia riparativa erogata da soggetti pubblici o privati specializzati convenzionati con Ministero della giustizia (art.92).

La giustizia riparativa è accessibile in ogni stato e grado del procedimento penale su iniziativa dell’autorità giudiziaria (tuttavia vittima e imputato possono rifiutarsi di iniziare il programma), dell’imputato o della vittima del reato. Non sussistono preclusioni in relazione alla fattispecie o alla gravità del reato.

L’accesso al programma  può avvenire anche prima della proposizione della querela e fino alla fase esecutiva della pena e della misura di sicurezza, dopo l’esecuzione delle stesse e all’esito di una sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere, per difetto della condizione di procedibilità, anche ai sensi dell’art.344 bis c.p.p. o per intervenuta causa estintiva del reato (art.44).

Ai sensi dell’art.129-bis c.p.p., il giudice può disporre l’invio dell’imputato e della vittima del reato al Centro per la giustizia riparativa di riferimento per intraprendere un programma di giustizia riparativa con ordinanza (nel corso delle indagini preliminari provvede il pubblico ministero con decreto motivato):

  •  d’ufficio;
  •  su richiesta dell’imputato (espressa personalmente o a mezzo di procuratore speciale);
  •  su richiesta della vittima (espressa personalmente o a mezzo di procuratore speciale);

in ogni caso prima dell’invio deve sentire le parti e i difensori.

La vittima deve essere sentita solo se il Giudice lo ritiene necessario.

Il giudice dispone il rinvio in presenza di due requisiti:

a) che lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede;

b) non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti.

Al termine dello svolgimento del programma il giudice acquisisce la relazione trasmessa dal mediatore, che contiene la descrizione delle attività svolte e l’esito riparativo raggiunto. Il mediatore comunica all’autorità giudiziaria procedente la mancata effettuazione del programma, l’interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo.

Nel caso di reato perseguibile a querela soggetta a remissione e in seguito all’emissione dell’avviso di cui all’art.415-bis c.p.p. il giudice può disporre l’invio, in esito alla valutazione di cui sopra, su richiesta dell’imputato, sospendendo il procedimento per massimo 180 giorni.

Il mediatore, anche su richiesta dell’autorità giudiziaria procedente, invia comunicazioni sullo stato e sui tempi del programma (art.55).

In merito alla competenza all’invio al Centro per la giustizia riparativa l’art.45 ter prevede che a seguito dell’emissione del decreto di citazione diretta a giudizio i provvedimenti concernenti l’invio sono adottati dal G.I.P. finché il decreto, unitamente al fascicolo, non è trasmesso al Giudice, ai sensi dell’art.553 c.p.p. Dopo la pronuncia della sentenza, è competente il giudice che ha emesso la sentenza, finché non vi è la trasmissione del fascicolo del dibattimento ai sensi dell’art.590 c.p.p. Durante la pendenza del giudizio davanti alla Corte di Cassazione, è competente il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.

L’esito ripartivo può essere:

  • simbolico (può comprendere dichiarazioni o scuse formali, impegni comportamentali anche pubblici o rivolti alla comunità, accordi relativi alla frequentazione di persone o luoghi;
  • materiale (può comprendere il risarcimento del danno, le restituzioni, l’adoperarsi per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato o evitare che lo stesso sia portato a conseguenze ulteriori).

L’esito ripartivo si intende positivamente raggiunto se l’accordo è idoneo alla riparazione dell’offesa, a ricostruire la relazione tra i partecipanti o a rappresentare l’avvenuto riconoscimento reciproco.

Nel caso di reati procedibili a querela la partecipazione del querelante a un programma concluso con un esito riparativo e con il rispetto degli eventuali impegni comportamentali assunti da parte dell’imputato determina la remissione tacita della querela

L’autorità giudiziaria, per le determinazioni di competenza, valuta lo svolgimento del programma e, anche ai fini di cui all’art.133 c.p., l’eventuale esito riparativo:

1) come circostanza attenuante della pena ex art.62 co.1 n.6 c.p.: l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni o l’essersi, prima del giudizio e fuori del caso preveduto dall’ultimo capoverso dell’art.56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato o l’avere partecipato a un programma di giustizia riparativa con la vittima del reato, concluso con un esito riparativo. Qualora l’esito riparativo comporti l’assunzione da parte dell’imputato di impegni comportamentali, la circostanza è valutata solo quando gli impegni sono stati rispettati;

2) ai fini della sospensione condizionale della pena ex art.163 ult.co. c.p: qualora la pena inflitta non sia superiore ad un anno e sia stato riparato interamente il danno, prima che sia stata pronunciata la sentenza di primo grado, mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni, nonché qualora il colpevole, entro lo stesso termine e fuori del caso previsto nel quarto comma dell’art.56, si sia adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato da lui eliminabili, il giudice può ordinare che l’esecuzione della pena, determinata nel caso di pena pecuniaria ragguagliandola a norma dell’art.135, rimanga sospesa per il termine di un anno nonché  qualora il colpevole, entro lo stesso termine, abbia partecipato a un programma di giustizia riparativa concluso con un esito riparativo;

3) come remissione tacita della querela ex art.152 c.p. dopo il comma 2 si inserisce l’ipotesi in cui il querelante ha partecipato a un programma di giustizia riparativa concluso con un esito riparativo; nondimeno, quando l’esito riparativo comporta l’assunzione da parte dell’imputato di impegni comportamentali, la querela si intende rimessa solo quando gli impegni sono stati rispettati.

In ogni caso, la mancata effettuazione del programma, l’interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo non producono effetti sfavorevoli nei confronti della persona indicata come autore dell’offesa (art.58).

In merito alla remissione tacita di querela la relazione ministeriale chiarisce che il nostro ordinamento non specifica gli atti o i comportamenti dai quali ricavare una volontà di remissione tacita, posto che l’art.152 co.2 terzo periodo c.p. attribuisce valore di remissione al compimento da parte del querelante di fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela, a differenza di quanto previsto nell’art.340 c.p.p.., il quale, con riferimento alle ipotesi di remissione espressa, distingue il caso di dichiarazione ricevuta dall’autorità giudiziaria procedente da quello di dichiarazione ricevuta da un ufficiale di polizia giudiziaria e contempla sia una forma di remissione processuale che una forma di remissione extraprocessuale.

La remissione processuale è solo quella ricevuta dall’autorità giudiziaria procedente a seguito di una esternazione di una formale dichiarazione da parte del querelante che interviene nel processo, direttamente o a mezzo di procuratore speciale; le manifestazioni formali di una volontà di rimettere la querela possono pervenire nelle forme più varie all’autorità giudiziaria procedente, la quale potrà valutare se la condotta o l’atto ricollegabile al querelante possa valere come remissione extraprocessuale espressa o tacita.

Secondo le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione (sentenza del 21 luglio 2016, n.31668), integra remissione tacita di querela la mancata comparizione all’udienza dibattimentale del querelante, previamente ed espressamente avvertito dal giudice di pace che l’eventuale assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela.

Nella fattispecie, la condotta costituita dal non essere il querelante comparso in udienza a seguito dell’avvertimento che ciò sarebbe stato considerato volontà implicita di rimessione della querela, può ben essere inquadrata, secondo i giudici di legittimità, nel concetto di fatto di natura extraprocessuale incompatibile con la volontà di persistere nella querela, a norma dell’art.152 co.2, terzo periodo c.p..

In considerazione della previsione di un inderogabile dovere del giudice di pace di favorire la conciliazione tra le parti, nei casi di reati perseguibili a querela, può essere riconosciuta al giudice stesso la scelta delle modalità più opportune per raggiungere tale obiettivo, se del caso rendendo avvertite le parti della valutazione che potrebbe essere attribuita a una loro condotta passiva interpretabile alla stregua di una volontà tacita del querelante di rimessione e mancanza di volontà di ricusa del querelato.

In linea con gli ultimi approdi giurisprudenziali, l’art.1 co.15 lett. d), della legge delega, in materia di condizioni di procedibilità, tra i principi e criteri che il legislatore delegato deve rispettare, indica anche quello di “prevedere quale remissione tacita della querela l’ingiustificata mancata comparizione del querelante all’udienza alla quale sia stato citato in qualità di testimone”.

I doveri informativi del giudice (e del P.M.) durante il procedimento

L’Autorità Giudiziaria, in ogni stato e grado del procedimento nonché nella fase esecutiva della pena detentiva o della misura di sicurezza deve informare la vittima e l’autore del reato in merito alla facoltà di accedere ai servizi di giustizia riparativa e ai servizi disponibili. L’informazione deve essere effettiva, completa e obiettiva.

L’informazione è altresì fornita agli interessati dagli istituti e servizi, anche minorili, del Ministero della giustizia, dai servizi sociali del territorio, dai servizi di assistenza alle vittime, dall’autorità di pubblica sicurezza, nonché da altri operatori che a qualsiasi titolo sono in contatto con i medesimi soggetti.

I soggetti partecipanti di cui all’art.45 hanno diritto di ricevere dai mediatori una informazione effettiva, completa e obiettiva sui programmi di giustizia riparativa disponibili, sulle modalità di accesso e di svolgimento, sui potenziali esiti e sugli eventuali accordi tra i partecipanti. Vengono inoltre informati in merito alle garanzie e ai doveri previsti dal decreto.

Le informazioni sono fornite all’esercente la responsabilità genitoriale, al tutore, all’amministratore di sostegno, al curatore speciale esercente querela ex art.121 c.p., nonché ai difensori della vittima del reato e della persona indicata come autore dell’offesa, ove nominati.

Le informazioni vengono fornite ai destinatari in una lingua comprensibile e in modo adeguato all’età e alle capacità degli stessi (art.47).

Sulla polizia giudiziaria grava l’obbligo di avvertire:

  • la persona offesa, della facoltà di accedere ai programmi di giustizia ripartiva
  • il querelante, che la partecipazione a un programma di giustizia riparativa, concluso con un esito riparativo, comporta la remissione tacita di querela
  • l’arrestato, che ha la facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa

L’individuazione dei Centri per la giustizia riparativa – responsabili della predisposizione, organizzazione ed esecuzione del programma sarà a cura della Conferenza locale per la Giustizia riparativa istituita presso ciascun distretto di corte d’appello entro 6 mesi dall’entrata in vigore della riforma.

I Centri si avvalgono di mediatori esperti:

  •  dell’ente locale di riferimento
  •  o mediante stipula di contratti d’appalto
  •  o convenzione con enti del terzo settore.

La sospensione con messa alla prova

L’ambito operativo della sospensione con messa alla prova dell’imputato è stato esteso, da un lato, consentendo l’accesso alla messa alla prova anche con riferimento ad ulteriori specifici reati, diversi da quelli contemplati all’art.550 co.2 c.p.p., puniti con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni, che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori da parte dell’autore compatibili con l’istituto, e, dall’altro, prevedendo che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato possa essere proposta anche dal pubblico ministero.

L’aspetto di novità si collega non tanto ad un indiscriminato innalzamento del tetto massimo di pena per accedere alla messa alla prova (fino a sei anni), ma all’individuazione di ulteriori e specifici reati, puniti con pena massima non superiore a sei anni, che si prestino particolarmente alla risocializzazione.

L’estensione viene operata in modo nominativo, e quindi selettivo, attraverso il richiamo ai reati individuati dal legislatore della riforma come passibili di citazione diretta (si veda la nuova formulazione dell’art. 550 c.p.p.). Solo per questi sarà possibile accedere alla messa alla prova.

Altra novità è costituita dalla proposta di messa alla prova formulata dal PM.

Sono previsti due casi:

a) istanza formulata in udienza (art.464-bis1 c.p.p.): l’imputato può chiedere termine (non superiore a venti giorni) per presentare la richiesta di messa alla prova. I termini di presentazione sono invariati per l’udienza preliminare, per il giudizio direttissimo, per il giudizio immediato, nel procedimento per decreto penale di condanna. Nella citazione diretta il termine decadenziale è fissato alla conclusione dell’udienza predibattimentale. Sono previste specifiche modalità di formalizzare la volontà dell’imputato (con dichiarazioni ricevute dal notaio, da persona autorizzata o dal difensore). È inoltre prevista la possibilità di disporre percorsi di giustizia ripartiva;

b) istanza formulata nel corso delle indagini preliminari (art.464-ter1p.p.): la proposta è contenuta nell’avviso ex art.415-bisc.p.p. indicando la durata ed i contenuti essenziali del programma (il Pubblico Ministero può avvalersi di UEPE per determinare la proposta). L’indagato può aderire nel termine di 20 giorni. Se così si determina, gli atti vengono trasmessi al GIP, con la formulazione dell’imputazione, il quale provvede richiedendo l’elaborazione del progetto, sempre che la proposta sia ammissibile, conforme ai requisiti procedurali e non si debba pronunciare sentenza ex art.129 c.p.p.. Viene dato avviso alla parte offesa a cura del PM. Si tratta di una procedura strutturata come cartolare (la parte offesa può infatti depositare memorie una volta ricevuto l’avviso) ferma restando la possibilità per il giudice di fissare udienza camerale, se ritenuto opportuno, anche nel caso in cui sia necessario verificare la volontarietà dell’imputato. Il giudice provvede con ordinanza, eventualmente in seguito all’udienza.

Ai sensi dell’art.90 del d.lgs. n.150 del 2022, le disposizioni degli articoli 1 e 32 del medesimo decreto che estendono la disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova a ulteriori reati si applicano anche ai procedimenti pendenti nel giudizio di primo grado e in grado di appello alla data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo.

Se sono già decorsi i termini di cui all’art.464-bis, comma 2, c.p.p., l’imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, può formulare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, a pena di decadenza, entro la prima udienza successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto. Quando nei quarantacinque giorni successivi alla data di entrata in vigore del presente decreto non è fissata udienza, la richiesta è depositata in cancelleria, a pena di decadenza, entro il predetto termine.

Nel caso in cui sia stata disposta la sospensione del procedimento con messa alla prova in forza dei commi precedenti, non si applica l’articolo 75, comma 3, c.p.p.

Tuttavia, detta specifica disciplina deve essere raccordata con quanto disposto dall’art.6 del D.L. n.162 del 31 ottobre 2022, che ha differito al 30 dicembre 2022 l’entrata in vigore della norma.

 


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