In tema di responsabilità da reato degli enti, la confisca del profitto del reato presupposto, in quanto sanzione principale ed autonoma, ha natura obbligatoria, anche nella forma per equivalente, e pertanto, in vista della sua applicazione, deve ritenersi legittima la sottoposizione a sequestro preventivo dei beni della persona giuridica a prescindere da qualsiasi valutazione sulla pericolosità delle cose destinate all’ablazione”.

Cass. pen., Sez.VI, sentenza 2 maggio 2013 n.19051

Il d.lgs. 8 giugno 2001 n.231, attuativo della delega conferita al Governo dall’art.11 della legge 29 settembre 2000 n.300, ha comportato l’introduzione nel nostro ordinamento di una forma di responsabilità amministrativa degli enti e delle persone giuridiche per alcuni specifici reati commessi nell’interesse o a vantaggio di questi da parte di persone fisiche collocate in posizione apicale nella struttura organizzativa o sottoposte all’altrui direzione e vigilanza.

La responsabilità dell’ente si aggiunge (senza sostituirsi) a quella della persona fisica e si configura in termini penalmente rilevanti, con sanzioni pecuniarie ed interdittive rispondenti a finalità di prevenzione generale e speciale, afflittive ed intimidatorie ma anche di riduzione del rischio di prosecuzione dell’attività criminosa e di recidiva.

A queste, si aggiungono le sanzioni complementari della confisca e della pubblicazione della sentenza di condanna.

La confisca, in particolare, tende a garantire una reale efficacia deterrente in termini di costi e benefici per l’impresa, per cui i vertici dell’ente dovrebbero in certo qual modo essere dissuasi dalla commissione di illeciti i cui costi, in caso di scoperta dell’attività criminosa posta in essere, finirebbero col superare di gran lunga i benefici derivanti dalla commissione dell’illecito eventualmente non scoperto.

Nell’ambito della criminalità d’impresa la previsione della confisca, desumibile dal combinato disposto degli artt.9 e 19 del d.lgs. n.231 del 2001, assume – per comune riconoscimento della dottrina – le inequivocabili vesti di “sanzione principale, obbligatoria ed autonoma rispetto alle altre previste a carico dell’ente”.

Il sostrato repressivo e diretto a riequilibrare l’ordine economico violato, implicito nella natura ablatoria del provvedimento, si manifesta chiaramente nell’enunciato dell’art.19 d.lgs. n.231 del 2001, ove si prevede, al primo comma, la confisca obbligatoria (in caso di sentenza di condanna) del prezzo o del profitto del reato, salva la parte che può essere restituita al danneggiato e salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede; ove non sia possibile procedere all’ablazione diretta, il secondo comma dispone che la confisca investa somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato, introducendo così (nel campo della responsabilità da reato degli enti) il modello di ‘confisca per equivalente’ a connotazione repressiva, che si affianca (sostituendolo), al modello generale di confisca desumibile dall’art.240 c.p..

Quest’ultima impone indefettibilmente l’accertamento di un nesso di diretta derivazione causale tra i proventi confiscabili ed il reato presupposto, impedendo pertanto di procedere all’ablazione nel caso in cui i frutti ricavati dal reato siano stati distrutti, nascosti, o ceduti ad acquirenti in buona fede o comunque rimessi nel circuito dell’economia legale, sì da far perdere traccia dell’origine illecita (cfr., per tutti, MAUGERI, La confisca per equivalente – ex art.322 ter – tra obblighi di interpretazione conforme ed esigenze di razionalizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen. 2011, 792)

La confisca per equivalente, invece, è una forma di confisca obbligatoria che si estende anche alle ‘somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari’. Allorquando non sia possibile procedere all’ablazione diretta del prezzo, prodotto o profitto del reato, essa permette di attingere ad altre res appartenenti al reo, il cui unico e virtuale collegamento con il delitto per cui si procede è rappresentato dalla corrispondenza (equivalenza) di valore rispetto ai beni che ne sono immediato frutto.

Il più diretto precedente di confisca c.d. per equivalente e/o di valore è rinvenibile negli artt.322 ter e 640 bis c.p. a seguito dell’entrata in vigore nel nostro ordinamento giuridico della legge 19 settembre 2000 n.300, di ratifica della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri.

In realtà, il modello di confisca per equivalente, seppur con un diverso profilo giuridico, era stato immaginato già a partire dagli anni ’80 del XX secolo, in funzione di neutralizzazione dei vantaggi economici derivanti dall’attività criminosa, ed aveva trovato una prima attuazione nell’art.644 ult.co. c.p. come modificato dall’art.1 della legge 7 marzo 1996 n.108 in materia di usura.

Altri esempi di confisca per equivalente sono offerti – come nel caso della sentenza in esame – dall’art.19 del d.lgs. 6 giugno 2001 n.361, in materia di responsabilità da reato delle persone giuridiche; dall’art.1 del d.lgs. 11 aprile 2002 n.61, di riforma degli illeciti penali ed amministrativi in materia di società e concorsi, con conseguente modifica dell’art.2641 c.c.; dall’art.15 della legge 11 agosto 2003 n.228 per varie ipotesi di pedofilia e di pedopornografia, attraverso la modifica dell’art.600 septies c.p., ulteriormente modificato dall’art.4 della legge n.172 del 2012.

In assenza di una disciplina di carattere generale, i tratti comuni ed essenziali della confisca per equivalente per sono stati enucleati dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con sentenza del 25 ottobre 2005 n.41936 (V. in Cass. pen. 2006, 1382 ss.), con riferimento anche a precedenti pronunce di legittimità:

– l’applicazione della misura esime dallo stabilire quel ‘rapporto di pertinenzialità’ tra reato e provvedimento ablatorio dei proventi illeciti, che caratterizza invece la misura ex art.240 c.p. (cfr. Cass. pen., sez.VI, 2 aprile 1979, in Giust. pen. 1980, II, 421, ed in Giur. it. 1981, II, 74);
– costituendo una ‘forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti’, essa viene ad assumere un carattere eminentemente sanzionatorio;
– ai fini dell’applicazione della misura è indispensabile, oltre alla ravvisabilità di uno dei reati per i quali è consentita e alla non appartenenza dei beni ad un terzo estraneo, “che nella sfera giuridico-patrimoniale del responsabile non sia stato rinvenuto, per una qualsivoglia ragione, il prezzo o profitto (di cui sia però certa l’esistenza) del reato”.

Per quanto concerne le nozioni di profitto e prezzo del reato, già palesemente presupposte nella loro valenza tecnica dall’art.322 ter c.p., la giurisprudenza dominante, nello specificare la distinzione anche in rapporto al diverso trattamento che ricorre nell’art.240 c.p., ha chiarito che :
– per ‘profitto’ deve intendersi l’utile ottenuto in seguito alla commissione del reato, ossia il “complesso dei vantaggi economici tratti dall’illecito e a questo strettamente pertinenti, dovendosi escludere, per dare concreto significato operativo a tale nozione, l’utilizzazione di parametri valutativi di tipo aziendalistico” (Cass. pen., sez.Un. 27 marzo 2008, dep. 2 luglio 2008);
– il ‘prezzo’ va identificato in quello pattuito e conseguito da una persona determinata, come corrispettivo dell’esecuzione dell’illecito.

Secondo consolidata giurisprudenza, per ‘provento di reato’ si intende tutto ciò che deriva dalla commissione del reato e quindi le diverse nozioni indicate dall’art.240 co.1 e 2 c.p..

Il limite generale della confisca è rappresentato dall’altruità dell’oggetto che si intende confiscare: così, la confisca obbligatoria delineata nel primo comma non è configurabile qualora i beni che costituiscono prodotto o profitto dei reati di cui agli artt.648 bis e 648 ter c.p. appartengano ‘a persone estranee al reato’.

L’esclusione trova la sua ratio nell’esigenza che “l’ablazione si rapporti non tanto alla mera intrinseca pericolosità del bene, quanto più alla necessità che il reato non renda, così da privare il reo di ogni utilità conseguente alla commissione del reato”.

Di contro, ove non sia possibile procedere alla confisca obbligatoria, il secondo comma dell’art.648 quater c.p. prevede la confisca delle somme di denaro, dei beni o delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità “anche per interposta persona”, poiché tiene conto di qualsivoglia modalità di controllo ovvero di possesso del bene mediante l’intestazione fittizia o simulata del bene stesso ad una persona differente dal colpevole, “cui dunque pare riferibile l’effettiva disponibilità del bene

In tale circostanza, “il giudice ordina la confisca delle somme di denaro, dei beni o delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato” (c.d. confisca per equivalente).

La nozione di disponibilità non richiede necessariamente la titolarità di un diritto reale o obbligatorio su questi beni da parte del soggetto attivo del reato, essendo sufficiente, ma anche necessaria, la presenza di elementi fattuali che indichino come questi abbia una disponibilità di fatto sul bene, agendo su di esso uti dominus e ponendosi, quindi, in una situazione assimilabile, dal punto di vista fattuale, a quella del proprietario.

Su tale concetto di disponibilità fattuale sembra essersi orientata anche la giurisprudenza, consentendo ad esempio il sequestro di beni che, pur appartenendo a terzi, risultavano di fatto nella disponibilità degli indagati essendo stati oggetto di una vera e propria interposizione fittizia.

Altro elemento richiesto per la confisca dell’equivalente è che si proceda in tal senso solo laddove non sia possibile il sequestro del bene diretto provento del reato.

La confisca di valore è normalmente preceduta dal sequestro preventivo ex art.321 c.p.p., che anticipa gli effetti della confisca – inserendosi di regola nella fase delle indagini preliminari – ed assume connotati di sostanziale separatezza – anche temporale – ed autonomia rispetto a quest’ultima.

Il sequestro preventivo ricorre ai sensi del co.1 allorché sussista il pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati. Nel comma successivo, il periculum viene strutturato in relazione alla ‘confiscabilità’ del bene, che non è correlata alla pericolosità sociale dell’agente bensì a quella della res.

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Con la sentenza in esame viene confermato che la confisca per equivalente di cui all’art.19 del d.lgs. 6 giugno 2001 n.361, in materia di responsabilità da reato delle persone giuridiche, ha natura di sanzione principale, autonoma ed obbligatoria e deve essere applicata, con funzioni di deterrenza ed afflittività sorrette da istanze di prevenzione generale e speciale (in tal senso cfr. altresì Cass. pen., sez. Un., 27 marzo 2008, n.26654), quando sia oggettivamente impossibile reperire nella sfera giuridico-patrimoniale dell’autore del reato i relativi proventi, in quanto consumati, confusi o trasformati.

Il ricorso da parte del legislatore alla locuzione “può” nell’art.19 co.2 d.lgs. n.231 del 2001 va correlato non già all’intenzione di configurare la suddetta confisca di valore come meramente facoltativa, bensì alla volontà di vincolare il dovere del giudice di procedervi alla previa verifica dell’impossibilità di provvedere alla confisca diretta del profitto del reato e dell’effettiva corrispondenza del valore dei beni oggetto di ablazione al valore di quest’ultimo.

Per poter disporre la confisca per equivalente – proseguono i giudici della Suprema Corte – devono ricorrere i seguenti presupposti:
a) l’impossibilità di procedere alla confisca diretta del prezzo o del profitto:
b) l’equivalenza di valore tra i beni confiscati e il prezzo o il profitto derivante dal reato.

Da questo punto di vista non c’è alcuna differenza con la confisca per equivalente regolamentata nel codice penale (art.322 ter, 640 quater, 644 c.p.). Si tratta comunque di una forma di confisca che limite nel vantaggio tratto dal reato e prescinde dalla pericolosità derivante dalla res, in quanto non è commisurata né alla colpevolezza dell’autore del reato, né alla gravità della condotta, avendo come obiettivo quello di impedire al colpevole di garantirsi le utilità ottenute attraverso la sua condotta criminosa.

Scopo di questo istituto è quello di superare le angustie della confisca ‘tradizionale’, rispetto alla quale si pone in un rapporto di alternatività-sussidiarietà, per la sua attitudine a costituire un rimedio alle difficoltà di apprensione dei beni coinvolti nella vicenda criminale, cioè a supplire agli ostacoli connessi alla individuazione del bene in cui si incorpora il profitto e di consentire la confisca anche nel caso in cui l’apprensione del prezzo o del profitto derivante dal reato non sia più possibile in conseguenza dell’avvenuta cessione a terzi oppure a causa di forme di occultamento o, semplicemente, perché i beni sono stati consumati.

In questi casi la confisca per equivalente consente di aggredire ugualmente il profitto illecito perché si riferisce al valore illecitamente acquisito. E’ evidente, quindi, come il nesso eziologico tra i beni oggetto di confisca e il fatto-reato dimostri una tendenza ad allentarsi fino a scomparire, in quanto il provvedimento ablatorio colpisce i beni indipendentemente dal loro collegamento, diretto o mediato, con il reato. Allora la provenienza dei beni da reato non rappresenta più oggetto di prova, dal momento che scompare ogni relazione di tipo causale.

In sostanza, caratteristica comune della confisca per equivalente, nelle varie ipotesi previste, è che può essere adottata solo se, per una qualsivoglia ragione, i proventi dell’attività illecita, di cui pure sia certa l’esistenza, non siano rinvenuti nella sfera giuridico-patrimoniale dell’autore del reato, perché consumati, confusi o trasformati, in tali casi intervenendo l’ablazione su beni svincolati dal collegamento fisico con il reato stesso.

E’ solo in questo senso che può essere intesa la facoltatività della confisca per equivalente, cioè con riferimento alla presenza dei presupposti che legittimano una diversa modalità di apprensione del prezzo e del profitto del reato oggetto di ablazione, prescindendo dal nesso di pertinenzialità con il reato stesso: ma una volta accertata la sussistenza dei presupposti – tra cui, come si è detto, anche l’equivalenza di valore tra beni confiscati e prezzo o profitto del reato – pure questa forma di confisca ha natura obbligatoria.

La ‘regola’ dell’obbligatorietà assume connotati inequivoci sul versante delle fattispecie di reato caratterizzate da maggiore gravità, come nel caso del delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso (art.416 bis co.7 c.p.: “nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego”), dei reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (artt.322 ter e 335 bis c.p.), dei reati societari (si pensi alla disciplina delle fattispecie di cui al titolo XI, libro V del codice civile e segnatamente all’art.2641 c.c.) e dei reati finanziari (qui il riferimento è alle previsioni ricomprese nel capo II, titolo I-bis del d.lgs. n.58 del 1998, recante il testo unico in materia di intermediazione finanziaria, ed in particolare all’art.187 del predetto decreto legislativo: “in caso di condanna per uno dei reati previsti dal presente capo è disposta la confisca del prodotto o del profitto conseguito dal reato e dei beni utilizzati per commetterlo. Qualora non sia possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente. Per quanto non stabilito nei commi 1 e 2 si applicano le disposizioni dell’articolo 240 del codice penale”).


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