IN POCHE PAROLE…

La misura del divieto di possesso o uso del cellulare non può essere disposta dal Questore, ma solo con atto motivato dell’Autorità giudiziaria.

Corte Costituzionale, sentenza 12 gennaio 2023 n.2  Pres. Silvana Sciarra, Red. Nicolò Zanon


Il Questore non può autonomamente disporre la misura di prevenzione dell’avviso orale aggravato dalla previsione del divieto di possedere o utilizzare telefoni cellulari.

Tale misura  può essere disposta solo per atto motivato dell’Autorità Giudiziaria, come prevede l’art. 15  della Costituzione.


A margine

La Consulta, con sentenza n.2/2023, depositata il 12 gennaio 2023, ha stabilito che la misura del divieto di possesso o uso del cellulare può essere disposta solo per atto motivato dell’Autorità Giudiziaria.

Pertanto, nei confronti di persone già condannate per delitti non colposi, e abitualmente dedite, per la loro condotta, alla commissione di reati, il Questore non può autonomamente disporre la misura di prevenzione dell’avviso orale aggravato dalla previsione del divieto di possedere o utilizzare telefoni cellulari.

Trattandosi di un provvedimento che incide sulla libertà di comunicazione, l’Autorità di P.S. può farne proposta, ma la decisione spetta all’Autorità giudiziaria, come prevede l’art.15 della Costituzione.

È quindi costituzionalmente illegittima la disposizione del codice delle leggi antimafia nella parte in cui, secondo l’interpretazione della Corte di cassazione, include i telefoni cellulari nella nozione di “apparato di comunicazione radiotrasmittente” di cui il Questore può vietare – con l’avviso orale “rafforzato” – il possesso o l’utilizzo.

Le questioni di legittimità costituzionale erano state sollevate, al riguardo, con argomenti e profili sostanzialmente coincidenti, dalla Corte di cassazione e dal Tribunale di Sassari, relativamente ad una misura di prevenzione personale che nella sua forma ordinaria (c.d. avviso orale semplice) comporta unicamente l’invito rivolto ai soggetti di cui all’art.1 del d.lgs. n.159 del 2011 a tenere una condotta conforme alla legge (art.3, commi 1 e 2 del d.lgs. n.159 del 2011), mentre nella sua forma “aggravata” (art.3 co.4 del d.lgs. n.159 del 2011) attribuisce al Questore, tra l’altro, il potere di inibire alla persona attinta da avviso orale il possesso o l’uso apparecchi ricetrasmittenti.

Di fatto, la norma consente al Questore di imporre alle persone che risultino definitivamente condannate per delitti non colposi il divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte:

  • qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, radar e visori notturni, indumenti e accessori per la protezione balistica individuale;
  • mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia,
  • armi a modesta capacità offensiva, riproduzioni di armi di qualsiasi tipo, compresi i giocattoli riproducenti armi,
  • altre armi o strumenti, in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei ad arrecare offesa alle persone,
  • prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo, nonché sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare lo sprigionarsi delle fiamme,
  • programmi informatici e altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi.

Primo presupposto è costituito innanzitutto dalla riconducibilità della persona a una delle categorie di pericolosità previste dall’art.1 del decreto legislativo n.159 del 2011 e dall’emissione dell’avviso orale.

Secondo presupposto è rappresentato dalla condanna definitiva per delitti non colposi, valorizzandosi l’accertata responsabilità per delitti dolosi (escludendo contravvenzioni e delitti colposi) per la maggiore offensività che può derivarne e che può fare desumere una pericolosità tale da richiedere l’applicazione di una misura di prevenzione. L’univoco tenore della disposizione non fa dubitare che sia sufficiente anche una sola condanna.

Occorrono, dunque, gli elementi per la comminatoria di un avviso orale e una condanna per delitti non colposi.

I precedenti penali più risalenti, invece, possono rilevare in caso di ripresa dell’attività delinquenziale.

La condanna non deve essere necessariamente definitiva, tale essendo quella comminata con sentenza definitiva (irrevocabile) e passata in giudicato quando i gradi di giudizio sono terminati, ovvero non è stata impugnata dal soccombente, cioè da chi ne ha interesse o ancora quando sono esauriti tutti i mezzi di impugnazione o quando sono scaduti i termini per impugnare.

La trasgressione dei divieti contenuti nell’avviso orale “rafforzato” è presidiata dalla previsione di una sanzione penale. L’art.76 co.2 del d.lgs. n.159 del 2011 stabilisce che chiunque violi il divieto di cui all’art.3, commi 4 e 5, “è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 1.549 a euro 5.164”.

Una ricognizione del significato dell’espressione “qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente”, contenuto nell’art. 3, comma 4, del d.lgs. n.159 del 2011 permette di intendervi intendersi ricompresi i telefoni cellulari (Cass. pen., sez.V, sentenza n.38514 del 1 settembre 2009), ma l’imposizione di tale divieto comporta una compiuta motivazione in ordine alle ragioni poste a suo fondamento, avuta in considerazione la personalità dell’avvisato e la necessità di descrivere i pericoli derivanti dal possibile uso da parte di questi dell’apparato in questione (Cass. pen., sez. I, sentenza n.28796 del 3 luglio 2014).

Il loro inserimento tra i possibili oggetti di un avviso orale del Questore risale alla legge n.128 del 2001. L’elenco originario, trasfuso in seguito nel d.lgs. n.159 del 2011 (dopo esser stato ulteriormente integrato ad opera dell’art. 3 della legge n. 94 del 2009), poneva gli apparati ricordati accanto a “radar e visori notturni, indumenti e accessori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia, nonché programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi”.

Si tratta, all’evidenza, di un catalogo di strumenti di uso non comune, quasi di natura eccezionale, il cui impiego parrebbe indicativo della volontà di compiere specifiche attività delittuose offensive o difensive (per sottrarsi ai controlli delle forze dell’ordine), anche mediante l’uso o l’esibizione della forza.

Proprio in relazione a questi dispositivi la sentenza sottolinea, in primo luogo, che “un’interpretazione più coerente con tale contesto normativo e con la ratio legis avrebbe potuto allora suggerire che gli specifici apparati di comunicazione radiotrasmittente oggetto di divieto del questore possono essere soltanto quelli, anch’essi di uso non comune, univocamente e abitualmente destinati ad un determinato scopo criminoso, e tali anche da evidenziare una specifica volontà di usare la tecnologia per danneggiare le indagini di polizia o sfuggire ai relativi controlli.

I lavori preparatori della legge n. 128 del 2001 (seduta del 24 gennaio 2001 della Camera dei deputati), per parte loro, mostrano la presenza di un emendamento al testo legislativo, non approvato, che al divieto relativo, in generale, agli apparati di comunicazione radiotrasmittente affiancava proprio la previsione di un distinto e specifico divieto relativo agli apparati di telefonia mobile, sul presupposto, quindi, che questi ultimi non fossero ricompresi tra i primi. La circostanza non è irrilevante e tuttavia resta ambiguo il significato della mancata approvazione dell’emendamento, non emergendo con chiarezza se ciò suoni conferma della voluntas legis di escludere i telefoni mobili dal novero degli apparati radiotrasmittenti, oppure se sia stata ritenuta superflua la menzione esplicita dei telefoni cellulari, accanto ad una definizione già di per sé generica e onnicomprensiva («qualsiasi» apparato di comunicazione radiotrasmittente)”.

“Sotto un ulteriore profilo – osservano ancora i giudici della Consulta -potrebbe essere oggetto di dubbi il significato di senso comune trasmesso dalla locuzione ‘apparati di comunicazione radiotrasmittente’, sia nel 2001, all’epoca dell’approvazione della disposizione censurata, sia, a maggior ragione, nell’epoca attuale. Non sembra impossibile sostenere, infatti, che, già nel 2001 (quando i telefoni cellulari non costituivano più una rarità), la locuzione “apparato di comunicazione radiotrasmittente” esibisse – ed esibisca ancor più oggi, considerata l’universale diffusione dei telefoni mobili – un significato di senso comune evocatore di apparati ben diversi dai telefoni cellulari (come i walkie-talkie e simili).

Fatto sta che, superando del tutto i dubbi e le possibili diverse letture della disposizione, la giurisprudenza di legittimità – a partire da Corte di cassazione, sez. fer., sentenza 1 settembre – 1 ottobre 2009, n. 38514, seguita da almeno altre sei pronunce (Cass. pen., sez.I,, sentenze 24 febbraio-2 aprile 2021, n. 127793, 22 settembre-14 ottobre 2020, n. 28551, 26 febbraio-17 giugno 2019, n.26628, 11 settembre 2018-7 gennaio 2019, n. 314 e 3 dicembre 2013-3 luglio 2014, n.28796; sez.VII, ordinanza 18 ottobre 2018-7 gennaio 2019, n. 294) e con un’indiretta conferma da parte delle Sezioni unite civili, sentenza 2 maggio 2014, n.9560, sia pur nella diversa materia delle tasse su concessioni governative – ha stabilito con nettezza che il telefono cellulare rientra a pieno titolo nella nozione di apparato di comunicazione radiotrasmittente. Questa interpretazione è basata, da un lato, su un criterio testuale, che eliminerebbe ogni incertezza sull’intenzione del legislatore derivante dall’analisi dei lavori preparatori, ed è, dall’altro, aderente al significato strettamente tecnico dell’espressione ‘apparato di comunicazione radiotrasmittente’, escludendo il rilievo di un eventuale significato di senso comune non coincidente, in ipotesi, con quello tecnico: per apparato di comunicazione radiotrasmittente si deve intendere qualsiasi apparecchio in grado di inviare onde radio e di trasmetterle, o ad un altro apparato analogo, o ad un impianto in grado di riceverle.

Da questo punto di vista, “il telefono cellulare è un apparecchio radiotrasmittente o radioricevente per la comunicazione in radiotelefonia, collegato alla rete telefonica di terra tramite centrali di smistamento denominate stazioni radio base” (Cass.pen. n.38514 del 2009).

Sulla base di queste premesse, viene evidenziato che le limitazioni relative all’uso di un determinato mezzo non necessariamente si convertono in restrizioni al diritto fondamentale che l’impiego di quel mezzo consenta di soddisfare; tuttavia, 3siste un limite, “superato il quale la disciplina che incide sul mezzo – in ragione del particolare rilievo che questo riveste a livello relazionale e sociale – finisce per penetrare all’interno del nucleo essenziale del diritto, determinando evidenti ricadute restrittive sulla libertà tutelata dalla Costituzione”.

E’ quanto si ravvisa “in forza di ciò che l’art.3, comma 4, cod. antimafia consente di fare al questore, oltretutto in una materia, quella delle misure di prevenzione, di particolare delicatezza, perché finalizzata a consentire forme di controllo, per il futuro, sulla pericolosità sociale di un determinato soggetto, ma non deputate alla punizione per ciò che questi ha compiuto nel passato” (cfr. Corte cost., sentenza n.180 del 2022).

Le esigenze di prevenzione ben possono giustificare incisive misure restrittive, quali quelle che il questore può assumere sulla base dell’art.3 co.4 del d.lgs. n.159 del 2011, ma non possono che assoggettarsi all’evocato imperativo costituzionale.

“È difficile pensare che il divieto di possesso e uso di un telefono mobile – considerata l’universale diffusione attuale di questo strumento, in ogni ambito della vita lavorativa, familiare e personale – non si traduca in un limite alla libertà di comunicare, “spazio vitale che circonda la persona” (cfr. Corte cost., sentenze n.81 del 1993 e n.366 del 1991), in quanto attinente alla sua dimensione sociale e relazionale. Da questo punto di vista, il telefono cellulare ha assunto un ruolo non paragonabile a quello degli altri strumenti evocati dai rimettenti. Rivelerebbe, inoltre, un senso d’irrealtà l’obiezione per cui la libertà di comunicare, privata del telefono mobile, ben potrebbe ancora oggi essere soddisfatta attraverso mezzi diversi, come gli apparati di telefonia fissa.

Se si considera l’universale diffusione attuale di questo strumento, in ogni ambito della vita lavorativa, familiare e personale, va riconosciuto che il medesimo “finisce per penetrare all’interno del nucleo essenziale del diritto, determinando evidenti ricadute restrittive sulla libertà tutelata dalla Costituzione”. Per questa ragione, come appunto richiede l’art.15 Cost., la decisione non può che spettare all’autorità giudiziaria, con le procedure, le modalità e i tempi che compete al legislatore prevedere, nel rispetto della riserva di legge prevista dalla Costituzione.

L’art.3, comma 4, del d.lgs. n.159 del 2011 è, pertanto, costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art.15 Cost., nella parte in cui include i telefoni cellulari tra gli apparati di comunicazione radiotrasmittente di cui il questore può vietare, in tutto o in parte, il possesso o l’utilizzo.

Ne consegue, sul piano operativo, la necessità di verificare per i destinatari di avvisi orali aggravati che siano oggetto di controllo sul territorio, la tipologia delle prescrizioni eventualmente violate, significando che qualora si tratti di possesso o uso di telefono cellulare l’intervenuta declaratoria di incostituzionalità impedisce di ritenere configurato un illecito penalmente rilevante.

Resta invariata la vincolatività delle altre prescrizioni eventualmente comminate dall’Autorità Provinciale di P.S. ai sensi del richiamato art.3 co.4 del d.lgs. n.159 del 2011, per gli altri strumenti di uso non comune, ritenuti idonei ad agevolare il compimento specifiche attività delittuose, la violazione delle quali comporta la denuncia ai sensi dell’art.76 co.2 del d.lgs. n.159 del 2011.


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