L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza.
Tutti i documenti amministrativi sono, pertanto, accessibili, ad eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6 della legge n.241 del 1990.
Detto articolo disciplina i limiti del diritto di accesso, sia prevedendone l’espresso divieto per i documenti coperti da segreto di Stato, sia individuando specifici ambiti rispetto ai quali l’indicazione delle ulteriori categorie di atti ritenuti non ostensibili viene affidata alla normativa regolamentare.
Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n.196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono.
L’acquisizione di documenti amministrativi da parte di soggetti pubblici si informa al principio di leale cooperazione istituzionale. Il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere (art.22 della legge n.241 del 1990).
I motivi di ordine e sicurezza pubblica – Tra gli ambiti di preclusione all’accesso rilevano i motivi di ordine e sicurezza pubblica, ai sensi dell’art.3 comma 1 lett. b) del D.M. Interno n. 415 del 1994.
La lettera b) del citato art.3 esclude dall’accesso le “relazioni di servizio, informazioni ed altri atti o documenti inerenti ad adempimenti istruttori relative a licenze, concessioni od autorizzazioni comunque denominate o ad altri provvedimenti di competenza di autorità o organi diversi, compresi quelli relativi al contenzioso amministrativo, che contengono notizie relative a situazioni di interesse per l’ordine e la sicurezza pubblica e all’attività di prevenzione e repressione della criminalità, salvo che, per disposizione di legge o di regolamento, ne siano previste particolari forme di pubblicità o debbano essere uniti a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità”.
Da un lato ricorre l’esigenza a conoscere, per il più efficace esercizio del diritto alla difesa, dall’altro sussistono diverse esigenze di prevenzione e repressione della criminalità, compresa la protezione di chi richiede l’ammonimento.
Sui contorni dell’accesso esercitabile nei procedimenti per ammonimento sono intervenute pronunce dei giudici amministrativi, che meritano alcune considerazioni.
Nella vicenda esaminata dal T.A.R. Piemonte con sentenza della sez.II n.320 del 21 febbraio 2014, un uomo era stato avvisato dal Questore Provincia di Torino – Divisione Polizia Anticrimine – Ufficio Minori, Stalking e Persone Scomparse circa l’avvio del procedimento di ammonimento ex art.8 d.l. n.11 del 2009, poi adottato il 5 novembre 2013 ed oggetto di un separato ricorso. Il destinatario ha chiesto di accedere ai relativi atti ai sensi dell’art.10 della legge n.241 del 1990
L’istanza di accesso è stata evasa dalla Questura di Torino che, con nota del 16 ottobre 2013, ha respinto la richiesta basandosi su quanto previsto dal richiamato art.3 comma 1 lett. b) del D.M. Interno n. 415 del 1994
Cosa ne pensa la giurisprudenza – Avverso la suddetta determinazione e per ottenere la declaratoria del diritto di accesso ai documenti in questione, è stato proposto ricorso al Tar di Torino. Il destinatario ha impugnato la decisione eccependo:
- l’insussistenza in concreto di ragioni interesse per l’ordine e la sicurezza pubblica;
- la violazione dell’art. 24, co. 7, della L. n. 241 del 1990 laddove attribuisce rilievo preminente alle esigenze conoscitive degli atti amministrativi quando la loro conoscenza sia funzionale alla difesa e alla tutela degli interessi giuridici degli istanti;
- il carattere recessivo delle esigenze di riservatezza dei terzi rispetto alle necessità difensive del ricorrente che hanno supportato la domanda di accesso.
I giudici amministrativi, pur riconoscendo che il c.d. “stalking” attiene alla materia della pubblica sicurezza e della prevenzione e repressione della criminalità, ha ritenuto censurabile un’interpretazione strettamente letterale del citato art.3 del DM n.415 del 1994, in quanto, in tal modo, “si viene a determinare una sottrazione generalizzata e automatica alle richieste di accesso ai documenti. Nella fattispecie, perciò, la Questura avrebbe dovuto verificare per ogni singolo documento oggetto dell’istanza del ricorrente la sussistenza o meno di quelle esigenze di tutela di determinati interessi che il legislatore, all’art.24, comma 6, lett. c), della legge n.241 del 1990 ha considerato idonee a giustificare il diniego di accesso”.
Pertanto, hanno concluso i giudici, è illegittimo il rigetto di una istanza, tendente ad ottenere copia degli atti di un procedimento amministrativo di ammonimento per stalking, ex art. 8 del D.L. 23 febbraio 2009, n.11, che sia motivato con riferimento al fatto che gli atti non sarebbero accessibili per motivi di ordine e sicurezza pubblica.
La menzionata sentenza del TA.R. Piemonte fa riferimento al diniego di accesso agli atti in un procedimento già concluso con l’emissione dell’ammonimento. (Tar Piemonte sez.I 21-2-2014 n.320)
In termini diversi – per una vicenda con istruttoria per ammonimento ancora in corso, connotata da avvio di procedimento – si è pronunciato il Consiglio di Stato, sez.III, con sentenza n.5377 del 14 settembre 2018, pubblicata il 13 settembre 2018, statuendo – contrariamente a quanto sostenuto dal TAR in primo grado – la legittimità del diniego all’accesso nei confronti del destinatario di un ammonimento cui era stato notificato l’avvio del procedimento, allorché motivato dalla necessità di tutelare, essendo ancora in corso l’istruttoria, l’identità delle fonti di informazione ai sensi dell’art.24 co.6 della legge n.241 del 1990, dandosi comunque atto dei nominativi dei richiedenti l’ammonimento ed evidenziandosi che nel provvedimento di avvio del procedimento volto all’emissione dell’ammonimento erano state, comunque, evidenziate le condotte ritenute rilevanti ai fini dell’adozione della misura de quo. (Cons. Stato sez.III 14-9-2018 n.5377)
Il Consiglio di Stato, dopo aver evidenziato che la garanzia partecipativa è stata salvaguardata dalla comunicazione di avvio, nella quale si sono indicate le condotte contestate, afferma che l’interesse del privato a difendere i propri interessi giuridici non può ritenersi prevalente sulle esigenze di tutela di interessi pubblici tipizzati dal legislatore dall’art.24 della legge n.241 del 1990, come, nel caso in esame. la prevenzione delle criminalità e la conduzione delle indagini. “Il diritto di accesso ai documenti amministrativi si estrinseca con moduli di contenuto non predeterminato, ma di ampiezza variabile, compatibile con la contestuale esigenza di tutela degli interessi pubblici (con i quali deve contemperarsi)”.
Risulta così ragionevole un’esclusione dell’accesso, nel caso di procedimento per ammonimento, in quanto il soggetto che riceve l’avvio di procedimento, di fatto con ciò già salvaguardato nella sua garanzia partecipativa, “… in base al quadro normativo vigente (cioè ai sensi degli artt.22 e 24 della legge n.241 del 1990, DPR n.352 del 1992, art.8 co.5 lett.c e dell’art.3 D.M. n.415 del 1994) non ha, comunque, titolo, in questa fase procedimentale ad accedere alle categorie di documenti, che in qualche misura siano attinenti ad attività investigative ancora in corso ed alla ‘identità delle fonti’, tra le quali, oltre alle dichiarazioni dei soggetti denuncianti, ci possono essere anche altri dati provenienti da una prima raccolta di informazioni da terzi. Né, per le osservazioni sopra esposte, il diniego di accesso impugnato, facendo riferimento in via astratta all’interesse alla tutela della identità delle fonti, di cui al comma 6 dell’art.24 della legge n.241 del 1990, va ritenuto in contrasto con le disposizioni del successivo comma 7, secondo il quale “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici”.
La pronuncia si caratterizza, inoltre, per la chiara ed estesa esegesi al divieto di accesso agli atti del Ministero dell’Interno di cui all’art.24 co.6 lett.c) della legge n.241 del 1990 e art.3 DM Interno n.415 del 1994, affermando che il privato non ha diritto all’accesso a tutti quegli atti relativi alle azioni dell’Amministrazione necessarie alla prevenzione della criminalità, con particolare riferimento alle fonti di informazione e alle attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini; al contempo, viene evidenziato che il diritto del privato ad accedere ai “documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici” non può diventare una sorta di grimaldello da usarsi al fine di rendere inoperanti, aggirandoli, i divieti all’accesso contenuti nelle norme vigenti.
“In presenza di tale quadro normativo, vanno sottratti all’accesso non solo i documenti aventi mera natura organizzatoria interna (…) ma anche tutti gli atti istruttori, che contengano elementi utili all’adozione di provvedimenti amministrativi in materia di sicurezza pubblica o prevenzione”.
“Tale interpretazione – prosegue il Consiglio di Stato – sarebbe confortata dalla sentenza della Corte costituzionale n.210 del 1995, che respinse l’eccezione di illegittimità costituzionale della legge n.1423/1956, art.2, sollevata con riferimento al principio di parità di trattamento nella parte in cui, in materia di adozione della misura di prevenzione del foglio di via obbligatorio, il suddetto art.2 dispone che la partecipazione dell’interessato al procedimento sia circoscritta alla sola comunicazione dell’avvio del procedimento (escludendo, quindi, in capo al medesimo il diritto all’accesso agli atti del relativo procedimento), in corrispondenza ai divieti di accesso agli atti imposti dalla normativa vigente in materia di pubblica sicurezza e di prevenzione della criminalità (tra cui la legge n.241/1990, art.24 e art.8 DM Interno n.415/1994, art.3)”.
Dalla lettura combinata delle due sentenze che precedono si ricava che, ove garantita la partecipazione al procedimento mediante la comunicazione di avvio, può legittimamente opporsi il diniego all’accesso infraprocedimentale (art.10 legge n.241 del 1990) per tutelare in fase istruttoria l’identità dei testimoni, non avendo in tale fase il richiedente “titolo ad accedere alle categorie di documenti che in qualche misura siano attinenti ad attività investigative ancora in corso e alla identità delle fonti”; di contro, in caso di diretta comminatoria del provvedimento, non può opporsi un generico diniego all’accesso che sia motivato con riferimento al fatto che gli atti non sarebbero accessibili per motivi di ordine e sicurezza pubblica. dovendosi invece attentamente ponderare (con articolata motivazione) la sussistenza o meno di quelle esigenze di tutela di determinati interessi che il legislatore, all’art.24, comma 6, lett c), della legge n.241 del 1990 ha considerato idonee a giustificare il diniego di accesso.
Istanze di accesso e titolarità della richiesta – Altra questione è quella concernente la sussistenza di eventuali motivi ostativi al rilascio ad un ordine professionale di copia di un provvedimento di ammonimento emesso dal Questore ai sensi dell’art.8 d.l. n.11 del 2009 (convertito dalla legge 23 aprile 2009 n.38), sulla base dell’esigenza di conoscere le ragioni del provvedimento de quo, onde poter valutare sotto il profilo disciplinare la condotta del proprio iscritto.
Preliminarmente giova rappresentare che la normativa di riferimento non detta una disciplina specifica sul punto, limitandosi a prevedere che copia del processo verbale di ammonimento venga rilasciata alla vittima istante e al soggetto ammonito.
Cosa ne pensa la giurisprudenza – Di contro, l’attuale orientamento giurisprudenziale porta a ritenere che il ricorso al diritto di accesso non presuppone necessariamente la titolarità di una posizione di diritto soggettivo o di interesse legittimo, riconoscendosi tale titolarità anche a coloro che risultano portatori di interessi pubblici o diffusi.
In proposito, il TAR Puglia, Lecce sez.II, con sentenza n.1687 del 7 luglio 2010, ha chiarito come “le disposizioni normative in tema di diritto di accesso, dettate dagli artt.22 e seguenti della legge 7 agosto 1990 n.241 e ss.mm., siano invocabili anche dagli Ordini professionali (nonostante la loro natura di Enti pubblici) che vanno, dunque, considerati alla stregua di ‘soggetti interessati’ ai sensi dell’art.22 primo comma lettera b), allorquando – come nel caso di specie – agiscano quali enti esponenziali a tutela di interessi di categoria dei propri aderenti, soggetti privati (…) Si è, quindi, in presenza di un soggetto istante, titolare di un interesse conoscitivo diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata alla documentazione alla quale è stato chiesto l’accesso”. (Tar Puglia, Lecce, sez.II 7-7-2010 n.1687)
Preso atto della riconosciuta legittimazione attiva degli Ordini professionali, l’Ufficio cui è indirizzata la relativa richiesta è tenuto a darne comunicazione “a tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza” – secondo quanto previsto dall’art.22 co.1 lett.c) della legge n.241 del 1990 e dall’art.3 del DPR n.184 del 2006 – i quali possono presentare una motivata opposizione alla predetta istanza nel termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, decorso il quale la P.A. provvede sulla richiesta, fermo restando il rispetto dei limiti fissati dall’art.24 della richiamata legge e dalle disposizioni di cui al D.M. n.415 del 1994, per quanto concerne l’individuazione dei documenti sottratti al diritto di accesso (cfr.TAR Puglia, Bari, sez.III 6-2-2018 n.151 ).
Relativamente alle generalità della vittima, non va ignorata la possibilità di procedere, ove si ritenga di accogliere la richiesta di accesso, con gli “omissis”.