Il Ministero delle politiche agricole (Mipaaft) ha elaborato le regole di attuazione dalla legge 2 dicembre 2016 , n. 242, sulla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa della varietà Cannabis sativa, in vigore dal 14 gennaio 2017.
<La commercializzazione delle infiorescenze della canapa tessile a basso tenore di THC: profili giuridici ed operativi>
La Legge – Com’è noto, la legge n.242 del 2016 riguarda la disciplina della coltivazione e della trasformazione della canapa; l’incentivazione dell’impiego e del consumo finale di semilavorati provenienti da filiere locali; lo sviluppo di filiere territoriali integrate che valorizzino i risultati della ricerca e perseguano l’integrazione locale e la reale sostenibilità economica e ambientale; la produzione di alimenti, cosmetici, materie prime biodegradabili e semilavorati innovativi per le industrie di diversi settori; la realizzazione di opere di bioingegneria, bonifica dei terreni, attività didattiche e di ricerca.
La coltivazione della canapa è consentita se la pianta ha un tasso di Thc inferiore allo 0,2% mentre, come previsto da regolamento europeo, è necessaria l’autorizzazione nel caso in cui la percentuale sia superiore. Qualora questa risulti superiore allo 0,2% ma entro il limite dello 0,6% l’agricoltore non ha alcuna responsabilità a differenza del produttore che ha attestato una percentuale inferiore allo 0,2%. Se però la soglia dello 0,6% viene oltrepassata, l’autorità giudiziaria può disporre il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa, ma anche in questo caso “è esclusa la responsabilità dell’agricoltore”.
E’ importante che la misurazione della percentuale di tetraidrocannabinolo (Thc) avvenga secondo precise procedure previste da norme europee e nazionali.
La circolare – Nella circolare 22 maggio 2018, n. 5059, il Mipaaft stabilisce le regole di coltivazione nell’ambito del florovivaismo della canapa, individuando i settori produttivi dove può essere impiegata e che vanno dall’alimentazione alla cosmesi, dall’industria e artigianato al settore energetico e alle attività didattiche e di ricerca industriale:
• la riproduzione di piante di canapa è consentita esclusivamente da seme certificato;
• non è permessa la riproduzione per via agamica di materiale destinato alla produzione per poi essere venduto;
• il vivaista deve conservare il cartellino della semente certificata e la relativa documentazione di acquisto per un periodo non inferiore a 12 mesi;
• la vendita delle piante a scopo ornamentale è consentita senza autorizzazione;
• le importazioni a fini commerciali di piante di canapa da altri paesi non rientrano nell’ambito di applicazione della legge e, in ogni caso, devono rispettare la normativa dell’Unione europea e nazionale vigente in materia.
Con specifico riguardo alle infiorescenze della canapa, la circolare precisa che rientrano nell’ambito delle coltivazioni destinate al florovivaismo, purché derivino da una delle 62 varietà ad oggi ammesse ed iscritte nel Catalogo comune delle specie di piante agricole, il cui contenuto di thc non superi i livelli stabiliti dalla normativa.
La giurisprudenza- E’ opportuno chiarire, come precisato dalla giurisprudenza di merito, che:
• l’area di applicazione della legge n.242 del 2016 è estranea alla cessione pura e semplice dei derivati della canapa per fini voluttuari;
• l’esimente prevista dal comma 5 dell’art.4 della legge n.242 del 2016 “si rivolge esclusivamente all’agricoltore che abbia rispettato le prescrizioni di cui alla legge medesima, riservando solo allo stesso un’area di irresponsabilità qualora il contenuto complessivo di THC della coltivazione risulti superiore allo 0,2% ma entro il limite dello 0,6%;
• le infiorescenze poste in vendita devono ritenersi idonee all’azione stupefacente;
• nessun rilievo, in punto di fatto, hanno le istruzioni collocate sulle confezioni in vendita, dal momento che si tratta di sostanze stupefacenti poste in essere liberamente, senza vincolo alcuno, certamente destinate quindi ad un uso altrettanto libero o ricreativo.
Su queste basi, il Tribunale di Macerata, con sentenza del 20 giugno 2018, ha convalidato il sequestro di circa 13 kg. di infiorescenze con principio attivo oscillante tra 0,2% e 0,6% e perciò idonee a provocare effetto drogante e sul piano amministrativo l’Autorità di P.S. – Questore ha operato la chiusura degli esercizi di vendita ex art.100 TULPS. (sul punto, circolare del Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione Centrale per gli Affari Generali 31 luglio 2017, n.23520).
Il menzionato indirizzo giurisprudenziale, confortato dal parere del Consiglio Superiore di Sanità permette di osservare correttamente che, di fatto, la legge n.242 del 2016 si occupa solo della coltivazione della canapa e della filiera agroindustriale della stessa e non prevede la vendita delle infiorescenze per consumo personale attraverso il fumo o altra analoga modalità di assunzione.
Nel Parere sulla commercializzazione dei prodotti contenenti THC del Ministero della Salute – Consiglio Superiore di Sanità datato 10 aprile 2018. si legge, tra l’altro, che “tra le finalità della coltivazione della canapa industriale, previste al comma 2 della legge 242/2016, non è inclusa la produzione delle infiorescenze né la vendita al pubblico (…) pertanto la vendita dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa, in cui è indicata in etichetta la presenza di cannabis o cannabis light o cannabis leggera (…) comunque ne sia il contenuto percentuale di Delta 9-THC, pone certamente motivo di preoccupazione”.
Il D.P.R. n. 309 del 1990 continua a prevedere il divieto di vendita di prodotti destinati al consumo, o anche passibili di consumo, contenenti il principio attivo della cannabis, cioè il THC, qualunque ne sia la graduazione.
La cessione o la semplice presenza all’interno degli esercizi commerciali di prodotti (infiorescenze, concentrati, essenze e resine) o piante con concentrazioni aderenti alla nozione di sostanze stupefacente integra gli estremi della detenzione e vendita di tali prodotti alla luce delle disposizioni contenute nel richiamato testo unico delle leggi in materia di sostanze stupefacenti. Ciò comporta la denuncia a piede libero del titolare del negozio per il reato di cui all’art.73 D.P.R. n.309 del 1990, il sequestro dei citati prodotti ex artt.354 o 321 c.p.p. e la segnalazione al Prefetto dei consumatori per effetto dell’art.75 D.P.R. n.309 del 1990. Il cliente consumatore pone in essere un illecito che determina conseguenze sul piano amministrativo, con effetti sulla titolarità di documenti quali la patente, il passaporto ed il porto d’armi.
Benché il Ministero delle politiche agricole, con la richiamata circolare del 2016, abbia precisato, tra l’altro, la liceità della vendita a scopo ornamentale da parte del vivaista delle piante da canapa destinate al florovivaismo (purché ottenute da seme certificato) e delle relative infiorescenze, la legge non prevede, fatta eccezione per le finalità di trasformazione in prodotti alimentari, la possibilità di utilizzare direttamente la pianta e, soprattutto, le infiorescenze per la somministrazione mediante combustione dei principi attivi in essa contenuti. In effetti, la nuova disciplina sembra valorizzare la pianta per il suo contenuto in fibre, per le sue caratteristiche botaniche e per l’adattabilità ad impieghi innovativi e non certo per lo sfruttamento del principio attivo ad azione stupefacente presente nelle sue infiorescenze.
Non a caso, qualora se ne presenti residualmente la possibilità di utilizzo per uso umano, cioè all’interno di alimenti e di prodotti cosmetici, lo stesso legislatore ha ritenuto di fissare strettissimi limiti a tale impiego, demandando al Ministro della Salute il compito di adottare un provvedimento che individui – in termini di mera contaminazione (microgrammi per chilo corporeo) – i livelli massimi di residui di THC nei prodotti che entrano direttamente in contatto con l’organismo.
“Una conferma indiretta a tale assunto potrebbe essere individuata negli avvisi tendenti ad escludere l’uso personale delle infiorescenze presenti su confezioni e nei negozi e la loro diversa destinazione a fumose finalità di ricerca & sviluppo o uso tecnico. Ove l’uso umano delle infiorescenze contenenti THC nel richiamato limite percentuale rientrasse pienamente tra le attività promosse dalla legge n.242 del 2016, non sussisterebbe alcuna necessità di celare l’impiego delle miscele vegetali quale alternativa legale alla canapa stupefacente, richiamando in fase di vendita una o alcune delle diverse finalità espressamente sancite dall’art.2 della legge n.242 del 2016”.
Ne consegue che l’esimente prevista per il coltivatore non è estensibile al venditore delle infiorescenze.
In merito, il GIP del Tribunale di Macerata, con la richiamata sentenza del 20 giugno 2018, osserva: “per quanto riguarda poi (in tema di controlli e sanzioni) il comma quinto dell’art.4 della legge, significativamente esso si rivolge esclusivamente all’agricoltore che abbia rispettato le prescrizioni della legge medesima, riservando solo allo stesso un’area di irresponsabilità qualora il contenuto complessivo di THC della coltivazione risulti superiore allo 0,2% ,a entro il limite dello 0,6%. Il comma settimo dell’art.4 cit. prevede che il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa impiantate nel rispetto delle disposizioni stabilite dalla legge possono essere disposti dall’autorità giudiziaria solo qualora, a seguito di accertamento effettuato secondo il metodo di cui al comma tre, risulti che il contenuto di THC nella coltivazione è superiore dello 0,6%. Ma esso si riferisce palesemente non alla cessione di sostanza stupefacente per fini voluttuari, bensì alla responsabilità dell’agricoltore che viene espressamente esclusa”. Di qui la logica conclusione secondo cui la legge n.242 del 2016 non possa avere efficacia esimente rispetto alle condotte di detenzione e cessione di marijuana.
Un sospetto di illegittimità costituzionale era ben giustificato, e alle diverse ordinanze di rimessione rispose la Corte Costituzionale con una sentenza fondamentale, la n.360 del 1995, che ha ritenuto legittimo il sistema normativo dichiarando infondata la questione di legittimità costituzionale con riferimento al perdurante illiceità della coltivazione anche in assenza di coltivazione finalizzata allo spaccio. Con la sentenza n. 360 del 1995 il Giudice delle leggi ha anche chiarito che la diversità di condotte rispetto a quelle previste dall’art.75 del D.P.R. n.309 del 1990 non ha carattere di irragionevolezza mancando nella coltivazione l’immediatezza con l’uso personale che giustifica il minor rigore da parte del legislatore. Ha poi rilevato la maggior pericolosità di questa condotta in relazione all’impossibilità di determinare a priori il quantitativo ricavabile e la potenzialità, anche per il fatto arricchire l’offerta sul mercato e di creare potenzialmente altre occasioni per lo spaccio di droga.
Resta, tuttavia, uno scenario estremamente variegato per quel che concerne la coltivazione, che per finalità varia caso per caso, potendo interessare quantità minime o rilevanti.
I rivenditori, i grossisti o i titolari dei negozi che pongono in vendita le infiorescenze delle predette piante per finalità di consumo personale (uso voluttuario o ricreazionale) hanno il potere e il dovere di misurare le concentrazioni di principio attivo di THC. Peraltro, stando al tenore dell’art.4 co.5 della legge n.242 del 2016, anche l’esimente specificamente prevista l’agricoltore verrebbe meno qualora il medesimo avesse determinato con un proprio contributo causale una produzione di canapa con un tenore superiore allo 0,2%.
Le piante e, soprattutto, le infiorescenze nonché i prodotti da queste ottenuti (oli, resine, estratti), a seconda della concentrazione di THC, possono rientrare nella nozione di sostanze stupefacenti anche se il tenore di THC oscilla nell’intervallo stabilito dalla legge n.242 del 2016 tra 0,2% e 0,6%. Per la cannabis, tale soglia viene individuata attorno ai 5 mg di THC che, in termini percentuali, equivalgono allo 0,5%: a tale concentrazione, 1g. di infiorescenza contiene circa 5mg. di principio attivo.
Peraltro, infiorescenze con concentrazioni anche inferiori allo 0,5% possono comunque dare luogo a prodotti idonei a provocare lo stato psicoattivo, grazie all’estrazione del principio attivo con strumenti meccanici e processi di laboratorio non particolarmente articolati e alla sua concentrazione in liquidi o prodotti resinosi (tipo hashish) a più alto tenore di THC. Secondo una consolidata giurisprudenza di legittimità, i livelli minimi di principio attivo (nel caso di specie, di THC), compatibili con la natura di sostanza stupefacente, sono quelli idonei a mettere in pericolo la salute dell’assuntore (ossia il bene giuridico tutelato dalla legge) e verosimilmente idonei a determinare nello stesso, anche in termini modestissimi, lo stato psicoattivo.
Per la Suprema Corte, in particolare, “l’offensività della condotta (…) non può essere esclusa ogniqualvolta i quantitativi prodotti risultino inferiori alla ‘dose media singola’, determinata dalle tabelle ministeriali, ma soltanto quando risultino privi della concreta attitudine ad esercitare, anche in misura minima, gli effetti psicotropi evocati dall’art.14 del d.P.R. n. 309 del 1990”; Cass. pen., sez.III n.23082 del 9 maggio 2013: “è configurabile il reato relativamente alla coltivazione n.43 piantine di cannabis – che all’atto dell’accertamento avevano un contenuto di sostanza ricavabile inferiore sia al valore di una dose singola che alla dose soglia”; Cass. pen., sez.IV, n.44136 del 27 ottobre 2015: “l’offensività in concreto della condotta può essere esclusa soltanto quando la sostanza ricavabile risulti priva della concreta attitudine ad esercitare, anche in misura minima, l’effetto psicotropo” (Cfr. Cass. pen., SS.UU., sentenza n.28 del 2008; Cass. pen., sez.IV, sentenza n.21814 del 2010; Cass. pen., sez.III, sentenza n.40620 del 2013; Cass. pen., sez.IV, sentenza n.43184 del 20 settembre 2013).
Anche sotto il profilo della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, “l’offensività della condotta consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, attese la formulazione delle norme e la ratio della disciplina, anche comunitaria, in materia, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente”. (Così Cass. pen., sez.VI, n.3037 dep. 22 gennaio 2016, Cass. pen., sez.VI, n.49476 del 4 dicembre 2015 e, in senso conforme, Cass. pen., sez.VI, n.22459 del 15 marzo 2013; Cass. pen., sez.VI, n.6753 del 9 gennaio 2014; Cass. pen., sez.III, n.21110 del 16 maggio 2013)
Di contro, altre pronunce della Suprema Corte evidenziano che la condotta di coltivazione deve ritenersi inoffensiva quando dimostri “tale levità da essere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcuna ulteriore diffusione della sostanza. Ovvero, a fronte della realizzazione della condotta tipica, che è la coltivazione di una pianta conforme al ‘tipo botanico’ e che abbia, se matura, raggiunto la soglia di capacità drogante minima, il giudice potrà e dovrà valutare se la condotta stessa sia del tutto inidonea alla realizzazione della offensivista in concreto. L’ambito di tale inoffensività è, ragionevolmente, quello del conclamato uso esclusivamente personale e della minima entità della coltivazione tale da escludere la possibile diffusione della sostanza producibile e/o l’ampliamento della coltivazione” (Cass. pen., sez.IV, n.2548 dep. 21 gennaio 2016 e Cass. pen., sez.VI, n.5254 del 10 novembre 2015, dep. 9 febbraio 2016, che ha escluso il reato per la coltivazione di due piante di canapa indiana e la detenzione di 20 foglie della medesima pianta, in presenza di una produzione che, pur raggiungendo la soglia drogante, era “assolutamente minima”; Cass. pen., sentenza n.22110 del 2 maggio 2013, che ha escluso l’idoneità offensiva della condotta di coltivazione domestica di tre piantine di marijuana poste in distinti vasetti e dotate di potere drogante; Cass. pen., sez.IV n.25674 del 17 febbraio 2011 che ha ritenuto inoffensiva ex art.49 c.p. la condotta di coltivazione domestica di una piantina di canapa indiana con principio attivo pari a mg.16).
Di qui le conseguenze sanzionatorie ex artt.73 e 75 D.P.R. n.309 del 1990.
“Peraltro, tenuto conto che – sotto un profilo botanico – non esiste una caratterizzazione della canapa tessile che possa consentire di discriminare ictu oculi i prodotti (piante, infiorescenze, oli e resine) con THC inferiore alla soglia dello 0,5% da quelli con concentrazione superiore allo 0,5%, né, tantomeno, dai derivati della cannabis provenienti dal mercato clandestino (ad alto tenore di THC), le Forze di Polizia sulla base dell’esito positivo del narcotest speditivo, possono determinarsi al sequestro del reperto, alla verifica strumentale del contenuto di THC, attraverso esami analitici di secondo livello, nonché all’ulteriore adempimento degli obblighi di comunicazione nei riguardi dell’autorità giudiziaria o di quella prefettizia”, qualora in presenza di:
• infiorescenze contenute in confezioni anonime o prive di indicazioni commerciali o sul prodotto ovvero ancora in mancanza di titoli di acquisto che possano ricondurre al dettagliante e verificare la provenienza dei prodotti;
• infiorescenze contenute in confezioni commerciali dissigillate, all’interno delle quali potrebbero essere state occultate miscele ad alto tenore di THC al posto di quelle depotenziate;
• infiorescenze vendute in forma sfusa, tale da non consentire di stabilire con obiettività identificazione botanica del materiale e l’appartenenza della varietà oggetto della cessione tra quelle indicate dalla legge comunitaria;
• olio e altri estratti oleosi ottenuti dalle infiorescenze della canapa tessile, per i quali non è possibile determinare con immediatezza il tenore del THC contenuto nel prodotto;
• piante di cannabis coltivate in vaso o in terra, per le quali non risulti con certezza la provenienza da coltivazioni ottenute da sementi delle citate varietà ammesse dalla normativa comunitaria.
Va altresì osservato che le iscrizioni poste sulle confezioni, sui siti e nei negozi non escludono la responsabilità del venditore e dell’acquirente. Invero, il contesto di presunta legalità, nel quale avviene la vendita e l’acquisto delle infiorescenze da parte rispettivamente del titolare e del consumatore, non può portare all’automatica esclusione di una qualunque forme di consapevolezza psichica della commissione dell’illecito.
Se si considerano la strumentale esclusione delle infiorescenze dalla definizione di medicinali o prodotti alimentari o da combustione, il divieto di vendita ai minori di 18 anni, l’indicazione di non ingestione o di utilizzo per ‘combustione’ e la loro diversa qualificazione in prodotti “per ricerca & sviluppo o uso tecnico o da collezione” (aspetti sovente e strumentalmente evidenziati agli utenti sia dalle etichette applicate sulle confezioni in vendita che dagli stessi esercenti dei negozi con avvisi talvolta esposti nei punti vendita o sui siti on line), diventa difficile sostenere la carenza in capo ai negozianti del requisito soggettivo dell’illecito, ossia la consapevolezza di commettere un illecito penale o amministrativo, anche al di là dell’obiettivo reale di destinarle al consumo umano. Analoga valutazione sembra ricorrere per coloro che vengono colti nell’atto di consumare, a qualsiasi titolo, i prodotti in questione con le descritte modalità di somministrazione.
Conclusioni – L’esclusione dalla disciplina sugli stupefacenti, enunciata dall’art.1 comma 2 della L. n.242 del 2016 e dall’art.26 del D.P.R. n.309 del 1990, deve intendersi necessariamente limitata all’utilizzo della canapa secondo gli impieghi previsti dalla nuova legge di settore “quale coltura in grado di contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità, nonché come coltura da impiegare quale possibile sostituto di colture eccedentarie e come coltura da rotazione” (art.1, comma 2 L. n.242 del 2016).
Ove si evidenzi, invece, la cessione delle infiorescenze separate della pianta in ragione della sola presenza del THC, la valutazione dovrebbe avvenire sulla base delle norme del testo unico in materia di stupefacenti e rientrare nel perimetro sanzionatorio della normativa antidroga, dovendo prevalere – in assenza delle esigenze presidiare dalla legge n.242 del 2016 – le preminenti ragioni della tutela della salute e dell’ordine pubblico messe in pericolo dalla somministrazione e circolazione del principio attivo.
dott. Carlo Pasquariello