IN BREVE…

L’art. 3 della legge 21 novembre 1967 n.1185 disciplina le circostanze ostative al rilascio del passaporto


In particolare, la lettera d) stabilisce che non possono ottenere tale documento “coloro che debbano espiare una pena restrittiva della libertà personale o soddisfare una multa o ammenda, salvo per questi ultimi il nulla osta dell’autorità che deve curare l’esecuzione della sentenza, sempreché la multa o l’ammenda non siano già state convertite in pena restrittiva della libertà personale, o la loro conversione non importi una pena superiore a mesi 1 di reclusione o 2 di arresto”.

Ne consegue, in primo luogo, che la mera pendenza di un processo penale o l’esistenza di una condanna espiata non impedisce, di regola, il rilascio del passaporto: la pendenza di una indagine può però essere motivo di sospensione del procedimento amministrativo, sospensione che verrà notificata con un avviso ex art.10 bis legge n.241 del 1990 al quale è indispensabile rispondere con raccomandata

Unico motivo ostativo relativo all’ambito penale dunque è quelli di dover espiare una condanna al carcere o pagare una multa / ammenda.

La condanna anche a pena sospesa (sospensione condizionale) determina comunque l’impossibilità di ottenere passaporto o documenti validi per l’espatrio, in quanto sussiste comunque la necessità per lo Stato di rendere effettiva e agevolmente eseguibile la condanna penale (cfr. TAR Lazio, n.8015 del 2014).

Non è ostativa al rilascio del passaporto la sospensione del processo per messa alla prova.

L’art.168 bis c.p. prevede che, in talune circostanze, l’imputato possa chiedere la sospensione del processo con messa alla prova, istituto che

  • “comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato”
  • “comporta altresì l’affidamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali”.

Ai sensi dell’art.464 septies c.p.p., decorso il periodo di sospensione del procedimento, il giudice, se ritiene che la prova abbia avuto esito positivo, dichiara con sentenza l’estinzione del reato mentre, in caso di esito negativo della prova, dispone che il procedimento riprenda il suo corso.

La relazione tra l’istituto della messa alla prova e la previsione dell’art.3 lett.d) della legge n.1185 del 1967 era stata in un primo tempo risolta nei termini dell’ostatività al rilascio del documento di viaggio, ravvisandosi una mera modalità alternativa alla definizione del processo penale in presenza di un trattamento che limita della libertà personale (nota del Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale del 20 agosto 2019, trasmessa alle articolazioni territoriali dal Dipartimento della P.S. con circolare prot.0118802 del 27 agosto 2019)

A questo indirizzo ha fatto seguito un révirement piuttosto netto: il MAECI ritiene che “ogniqualvolta ci si trovi dinanzi all’istituto della messa alla prova in forza del combinato disposto degli artt.186 bis c.p. e 464 bis c.p.p. ovvero ci si trovi nell’itinere del procedimento penale, ove quindi non sia ancora presente una sentenza di condanna passata in giudicato, il summenzionato istituto non rappresenti una causa ostativa al rilascio del passaporto”.

Questa interpretazione, peraltro, segue il conforme parere espresso il 26 gennaio 2024 dal Ministero della Giustizia secondo cui “…. se è vero che nel procedimento di messa alla prova manca una condanna, è anche vero che correlativamente manca un’attribuzione di colpevolezza: nei confronti dell’imputato e su sua richiesta … viene disposto un trattamento alternativo alla pena che sarebbe stata applicata nel caso di un’eventuale condanna”. Ne deriva, anche in linea con la sentenza della Consulta n.91 del 2018, che la misura della messa alla prova è “difficilmente accostabile ad una vera e propria sanzione penale, stante la centralità dell’elemento consensuale”. Qui il trattamento programmatico non è una sanzione penale, eseguibile coattivamente, ma dà luogo a un’attività rimessa alla spontanea osservanza delle prescrizioni da parte dell’imputato il quale liberamente può farla cessare con l’unica conseguenza che il processo sospeso riprende il suo corso.

Diverso, evidentemente, è il discorso che interessa la sentenza di patteggiamento, che è equiparata ai sensi dell’art.445 c.p.p. ad una sentenza di condanna con l’irrogazione della pena prevista per il reato contestato, anche se diminuita fino ad un terzo; l’esito positivo della prova conduce, invece, ad una sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato. Inoltre, la sentenza di patteggiamento costituisce un titolo esecutivo per l’applicazione di una sanzione tipicamente penale, mentre l’ordinanza che dispone la sospensione del processo e ammette l’imputato alla prova non costituisce un titolo per dare esecuzione alle relative prescrizioni.

Sono, invece, ostativi al rilascio del passaporto:

  • l’istituto dell’affidamento in prova al servizio sociale (misura alternativa alla detenzione che rientra sicuramente tra le pene che conseguono a condanna, e quindi nell’ipotesi di cui all’art.3 lett.d della legge n.1185/67, con la conseguente necessità di rigettare l’istanza di rilascio del passaporto);
  • i lavori di pubblica utilità, trattandosi di esecuzione della pena a fronte di condanna già intervenuta: si potrà rilasciare il passaporto soltanto laddove il giudice revochi espressamente in sentenza il ritiro del passaporto, ovvero conceda il nulla osta in tal senso (circ. Min. Int. UAG Uff. IV Polizia Amministrativa e di sicurezza – settore passaporti, prot.0007412 del 6 marzo 2024).

La libera circolazione dei cittadini tra paesi dell’Unione europea non impedisce al Questore di ritirare il passaporto a chi debba espiare una pena. Lo precisa il Consiglio di Stato nella sentenza 14 luglio 2015 n.3532, relativa ad un esponente politico di rilievo. Stessa sorte era capitata (sentenza n.3348/2012), ad un noto fotografo, ma questa volta vi è stato un approfondimento sulla Direttiva 29 aprile 2004 n.38.

La norma comunitaria prevede che i cittadini dell’Unione abbiano il diritto di lasciare il territorio dello Stato per recarsi in altro Stato membro, e che gli Stati ammettano nel loro territorio i cittadini dell’unione, come se non esistessero confini tra i singoli Stati. La libertà di circolazione si manifesta attraverso il rilascio del passaporto o della carta d’identità, che vanno chiesti al giudice dell’esecuzione penale (art.676 c.p.p. ) se la condanna è ad una pena solo pecuniaria (Cassazione penale n. 1610/2015).

Se invece la condanna non è pecuniaria, ma è espiata (alternativamente alla reclusione) con una misura di tipo rieducativo, scattano comunque i limiti all’espatrio posti dalla legge n.1185 del 1967. L’operato del Questore non è soggetto al principio di proporzionalità, e quindi non è in rapporto con il comportamento del condannato. Se esiste una pena da espiare, viene meno il diritto di libera circolazione tra paesi Ue perché, sottolinea il Consiglio di Stato nella sentenza 3532/2015: se il condannato ottenesse il passaporto e lo utilizzasse, durante l’espiazione della misura alternativa, per espatriare in un paese Schengen, rischierebbe un mandato di cattura internazionale finalizzato ad eseguire la pena.

Tutto ciò, del resto, coincide con gli orientamenti espressi dalla stessa Corte dei diritti dell’uomo (n.41199/06 del 26 aprile 2011), relativamente ad una vicenda in cui un cittadino svizzero aveva chiesto, dalla Thailandia, il rinnovo del passaporto. Le autorità elvetiche, prendendo atto di un procedimento penale nel paese alpino cui il cittadino intendeva sottrarsi, avevano negato il rinnovo del passaporto, costringendo il richiedente ad una vita da immigrato “sans papier” nel paese asiatico. La Corte di Strasburgo ha condiviso l’operato della Svizzera, sottolineando la prevalenza dell’interesse delle autorità nazionali a perseguire penalmente i propri cittadini. Il passaporto quindi va negato, se è in corso l’espiazione di una pena.

Ai sensi della menzionata sentenza del Consiglio di Stato n.3348 del 2012 il divieto di rilascio del passaporto non costituisce una sanzione penale.

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Per quanto attiene all’ambito civilistico, l’art.3 bis introdotto con d.l. n.69/2023 (recante “disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi derivanti da attività dell’Unione europea e da procedure di infrazione pendenti nei confronti dell’Italia”) nella legge 21 novembre 1967 n.1185, disciplina la materia dell’espatrio per genitori di figli minori e stabilisce che, in luogo dell’assenso dell’altro genitore “il giudice, nel rispetto del principio di proporzionalità e avuto riguardo alla normativa unionale e internazionale sulla cooperazione giudiziaria in tema di responsabilità genitoriale, obbligazioni alimentari e sottrazione internazionale di minori, può inibire il rilascio del passaporto al genitore avente prole minore, quando vi è concreto e attuale pericolo che a causa del trasferimento all’estero questo possa sottrarsi all’adempimento dei suoi obblighi verso i figli”. Quando tra le parti risulta pendente uno dei procedimenti di cui all’art.473-bis del codice di procedura civile, relativamente ai provvedimenti provvisori che in via d’urgenza dettano la regolamentazione della responsabilità genitoriale e dei diritti dei genitori e dei figli durante lo svolgimento del processo di cognizione, la domanda va proposta al giudice procedente. Se il minore è residente all’estero, la domanda si propone al tribunale del luogo di ultima residenza in Italia o al tribunale nel cui circondario si trova il suo comune di iscrizione AIRE.

Il giudice stabilisce la durata dell’inibitoria, che non può superare due anni.

Il provvedimento sarà trasmesso al Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza e all’Autorità di P.S. competente al rilascio del passaporto in base alla residenza, individuata ai sensi dell’art.5 della legge n.1185 del 1967.

A differenza delle altre ipotesi rimesse ad una valutazione discrezionale (il passaporto può essere rifiutato, per esempio, a coloro che devono espiare una pena detentiva o sono sottoposti a misura di sicurezza, ovvero essere sospeso per destinazione verso paesi in guerra), in presenza di inibizione disposta dal giudice il passaporto non deve essere rilasciato.


Pronunciamenti del MAECI e del Min. Giust. sulla questione inerente i rapporti tra messa alla prova e rilascio del passaporto


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