Nella sentenza in commento, la Suprema Corte esclude la responsabilità penale in caso di impiego in buona fede di immigrati privi di regolare permesso di soggiorno, ove sia ravvisabile un errore colposo da parte del datore di lavoro.

Cass. pen., sentenza n.25607 dell’11 giugno 2013

La vicenda risale alla condanna di un datore di lavoro alla pena di mesi tre di arresto ed euro 5.000 di ammenda per avere, quale titolare di impresa individuale esercente attività edile, occupato alle proprie dipendenze – ancorché in buona fede – un cittadino extracomunitario sprovvisto di permesso di soggiorno.

L’art.5 comma 1-ter del decreto legge 23 maggio 2008 n. 92, convertito con modificazioni in legge 24 luglio 2008 n. 125, ha modificato l’art.22, comma 12, del testo unico in materia di immigrazione (d.gs. n. 286 del 1998), concernente l’occupazione di lavoratori stranieri privi di regolare permesso di soggiorno.

La modifica prevede che il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno ovvero il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, sia punito con la reclusione e con la multa.

In base a tale modifica – oltre che un inasprimento della pena detentiva – si è determinata la trasformazione del reato, da contravvenzione a delitto, con un effetto ricaduta sulla valutazione dell’elemento soggettivo, posto che, in base alla disciplina del codice penale, coloro che commettono i delitti sono punibili, salvo diversa previsione, se la condotta è posta in essere con dolo, mentre per le contravvenzioni è sufficiente, di norma, la colpa (art. 42 c.p.).

Alla luce del testo vigente, la suddetta condotta è sanzionata con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda di cinquemila euro per ogni lavoratore impiegato, purché il soggetto attivo sia consapevole della condizione irregolare dello straniero, non essendo espressamente prevista la punibilità anche in caso di colpa.

L’intervento normativo del 2008 ha pertanto reso penalmente irrilevante la responsabilità colposa, risolvendosi, per tale ipotesi, in un’abolizione parziale della fattispecie previgente (cfr. Cass., sez. 1, 30 novembre 2010, n. 9882, rv.249867).

Da ciò discende che la fattispecie penale può ritenersi integrata solo a condizione che sia provata la consapevolezza della condizione irregolare dello straniero, laddove l’errore, ancorché colposo, sul possesso di regolare permesso di soggiorno da parte dello straniero impiegato, cadendo su elemento normativo integrante la fattispecie, comporta per il datore di lavoro l’esclusione della responsabilità penale.

La Suprema Corte osserva, inoltre, che ai sensi dell’art. 2 co. 2 c.p., “anche le condotte pregresse di impiego di stranieri privi del permesso di soggiorno valevole a fini lavorativi, possono essere tuttora punite solamente se dolose”, e comunque con applicazione del trattamento sanzionatorio previgente, più favorevole (cfr. Cass. pen., sez.I, 30 novembre 2010, n. 9882; Cass. pen., sentenza n. 21362 del 21 maggio 2013).

Va osservato, per inciso, che “datore di lavoro” è non soltanto l’imprenditore o colui che gestisce professionalmente un’attività di lavoro organizzata, ma anche il semplice cittadino che assume alle proprie dipendenze una o più persone per svolgere attività lavorativa subordinata di qualsiasi natura, a tempo determinato o indeterminato, come nel caso di collaboratrici domestiche o badanti (Cass. pen., sez. I, sentenza n. 25665 del 12 giugno 2003).

Per quanto attiene al controllo delle condizioni dello straniero, il termine “occupa” sembrerebbe riferirsi non solo al momento dell’assunzione ma anche al protrarsi nel tempo del rapporto di lavoro. Pertanto, non sarebbe sufficiente che all’atto dell’assunzione il lavoratore sia munito di permesso di soggiorno, ma occorrerebbe la persistenza della sua validità per tutta la durata del rapporto di lavoro.

Il datore di lavoro dovrebbe verificare la regolarità dello straniero non solo al momento dell’assunzione ma anche nel prosieguo dell’attività lavorativa; è invece onere dell’accusa provare la sussistenza dell’elemento psicologico richiesto nella nuova formulazione dell’art.22 del d.lgs. n. 286 del 1998, ossia della consapevolezza – da parte del datore di lavoro – della condizione irregolare (originaria o sopravvenuta) dello straniero.

Non può non osservarsi, al riguardo, che la finalità di un più efficace contrasto allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina, sottesa alle modifiche normative introdotte nel 2008 al testo unico in materia di immigrazione, si traduce in misure connotate da un differenziato impatto in termini di efficacia, con sanzioni più afflittive ma anche maggiori oneri probatori in rapporto all’elemento soggettivo del reato.

Da un lato, per il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina vengono previsti inasprimenti sanzionatori e rilevanti modifiche normative: si pensi all’introduzione nel co. 3 dell’art. 12 T.U. di una norma analoga a quella già contemplata in relazione ai delitti di criminalità organizzata secondo cui, qualora sussistano gravi indizi di colpevolezza, è applicata la custodia cautelare in carcere nei confronti del responsabile, salvo che il giudice non rilevi esigenze di natura cautelare.

Dall’altro, al maggior rigore sanzionatorio si accompagna la necessità di un dolo specifico (il fine di trarre un ingiusto profitto) nei casi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di cessione di alloggi a stranieri irregolari.

Nel caso del più diffuso dei comportamenti di agevolazione della permanenza realizzati per finalità di lucro, ossia quello del datore di lavoro che sfrutta il clandestino sottopagandolo e non versando i contributi dovuti, la trasformazione da contravvenzione in delitto e quindi il maggior rigore normativo determina anche la necessità di dare prova della sussistenza del dolo, ancorché generico, in capo al datore di lavoro: un compito arduo, ove manchi la prova documentaria dell’aver messo “in atto un comportamento illegale essendone assolutamente consapevoli” (Cass. pen., sentenza n. 21362 del 21 maggio 2013).


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