L’art.43 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931 n.773, prevede che non può essere concessa la licenza di portare armi:

a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;

b) a chi ha riportato condanna o pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza  all’autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico;

c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.

La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi.

La licenza di porto d’armi soggiace, inoltre, alle limitazioni generali previste per le autorizzazioni di polizia.

“Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia devono essere negate:

1) a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;

2) a chi è sottoposto all’ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.

Le autorizzazioni di polizia possono essere negare a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all’autorità e a chi non può provare la sua buona condotta.

Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego dell’autorizzazione” (art.11 TULPS).

Il diniego e la revoca possono altresì sopraggiungere per fatti e circostanze diversi da quelli descritti direttamente dalla legge, ma apprezzabili dall’autorità nella tutela dell’interesse pubblico (abuso o pericolo di abuso dell’autorizzazione).

Discrezionale è anche la revoca prevista dall’art.10 TULPS (abuso dell’autorizzazione), mentre è obbligatoria ed opera di diritto la decadenza dei provvedimenti in oggetto che concerne colui al quale sia stata applicata in via definitiva una misura di prevenzione e che deve ritenersi essere un caso di revoca c.d. sanzionatoria.

La rialbilitazione – Alquanto controversi risultano essere, invece, gli effetti della riabilitazione sui provvedimenti concernenti il rilascio della licenza di porto d’armi, soprattutto per quanto riguarda il margine di discrezionalità da riconoscere alla Pubblica Amministrazione in ordine al rifiuto o alla revoca delle licenze di competenza, quando il richiedente risulta aver commesso reati ostativi ai sensi dell’art.43 Tulps, per i quali sia tuttavia intervenuta la riabilitazione.

Com’è noto, la riabilitazione svolge la funzione di reintegrare il condannato, che abbia già scontato la pena principale, nella posizione giuridica goduta fino alla pronuncia della sentenza di condanna. Ai sensi dell’art.178 c.p. la “riabilita­zione estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti”.

Con l’estinzione delle pene accessorie e degli effetti penali, il riabilitato riacquista la capacità giuridica perduta a seguito della condanna e viene rimesso in condizioni di svolgere la sua normale attività nella società.

I presupposti per la concessione della riabilitazione, in presenza dei quali sussiste un vero e proprio diritto del condannato, sono:

1) il decorso almeno tre anni dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita o si è in altro modo estinta (il termine è di almeno sette anni per i recidivi qualificati ex art.99 cpv., e di dieci per i delinquenti abituali, professionali o per tendenza);

2) il condannato deve aver dato prove effettive e costanti di buona condotta durante il periodo di tempo indicato;

3) non essere stati sottoposti a misure di sicurezza, tranne che si tratti di espulsione dello straniero dallo Stato o di confisca, ovvero che il  provvedimento sia stato revocato;

4) l’aver adempiuto alle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che si dimostri l’impossibilità di adempierle.

Nel caso di concessione del beneficio il decorso del nuovo termine triennale per la riabilitazione viene fatto coincidere con quello da cui decorre il termine quinquennale di sospensione della pena. Invece, nel caso di concessione del beneficio “speciale” di cui all’art.163 co.4 c.p., la riabilitazione è concessa allo scadere dell’anno di sospensione della pena, purché sussistano le altre condizioni previste (le prove effettive e costanti di buona condotta e la non sottoposizione a misura di sicurezza).

La sentenza di riabilitazione è revocata di diritto se il riabilitato commette entro sette anni un delitto non colposo, per il quale sia inflitta la pena della reclusione per un tempo non inferiore a due anni od un’altra pena più grave (art.180). Come conseguenza della revoca, rivivono le pene accessorie e gli altri effetti penali della condanna.

L’orientamento “rigoristico”  – Il 16 luglio 2014 il Consiglio di Stato, sez.I, ad. n.03257/2014 ha affermato, con riferimento ai motivi ostativi al rilascio o revoca della licenza di porto d’armi ex art.43 Tulps, che a fronte della sussistenza dei reati indicati dal co.1 del predetto art.43 non residua alcuna discrezionalità in ordine al rifiuto o alla revoca delle licenze di competenza.

Detto indirizzo, ripreso con circolare del Ministero dell’Interno n.557/LEG/225.00 del 28 novembre 2014 e basato su un’interpretazione letterale dell’art.43 TULPS, esclude in termini inequivoci la discrezionalità in capo all’Amministrazione ed esclude altresì l’efficacia rispetto ai reati ivi indicati dall’effetto dell’istituto della riabilitazione, prevista dall’art.178 c.p., considerando i reati in argomento particolarmente allarmanti, tali da non dare sufficienti garanzie sulla circostanza del non abuso di armi. Il parere reso dal Supremo Consesso evidenzia che il testo dell’art.43 TULPS, per la sua struttura rigida, vincola l’Amministrazione in termini stretti a “determinare un effetto giuridico già interamente predeterminato“, in cui il potere si limita a tradurre la fattispecie astratta in concreto provvedimento.

Il testo dell’articolo de quo “non lascia alcuna alternativa al diniego – o alla revoca – della licenza di porto d’armi in ipotesi di condanna per i reati ivi indicati, né vi sono altre disposizioni – in particolare quelle sugli effetti della riabilitazione – che consentono deroghe“. La riabilitazione, infatti, estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti, mentre il divieto al rilascio della licenza di porto d’armi previsto non è un effetto penale della condanna, la quale piuttosto funge da elemento preclusivo in base ad una presunzione assoluta di inaffidabilità all’uso delle armi, come si evince sia dal raffronto tra primo e secondo comma dell’art.43 Tulps, sia dalla tipologia dei delitti presi in considerazione.

La possibile deroga, che è presa in considerazione nell’art.11 TULPS, non è ripetuta nell’art.43 TULPS, che ha natura speciale, disciplinando con maggior rigore la licenza di porto d’armi, attesa la pericolosità del mezzo.

L’orientamento “evolutivo” – A distanza di soli sei mesi, tuttavia, lo stesso Consiglio di Stato, ha optato per un approccio più “elastico”. Infatti, con la sentenza 29 gennaio 2015 (depositata il 4 marzo 2015, n.1072), la terza Sezione il Supremo Consesso ha accolto il ricorso di un cittadino, al quale era stata respinta l’istanza per il rilascio della licenza di porto di fucile per uso caccia, siccome condannato per i reati elencati nell’art.43 TULPS, pur essendo ‘datati’ e per i quali era stata concessa la riabilitazione. Qui il Consiglio di Stato ha specificato che l’effetto preclusivo, vincolante ed automatico, proprio delle condanne di cui all’art.43 TULPS, viene parzialmente meno una volta intervenuta la riabilitazione, e, più precisamente, viene meno l’automatismo.

In sostanza, con questo secondo indirizzo, è stata proposta una lettura “evolutiva” della disposizione in parola, soprattutto laddove si tratti di condanne molto risalenti, successivamente alle quali l’interessato non sia più incorso in episodi tali da far dubitare della sua affidabilità. Secondo tale ultima disposizione, nel rinnovo/rinnovo della licenza anche per le ipotesi di cui al primo comma dell’art.43 Tulps, l’Amministrazione mantiene un potere di valutazione discrezionale nel rilasciare dette licenze anche in presenza di condanne per i reati di cui al menzionato art.43 co.1 TULPS: “l’effetto preclusivo, vincolante ed automatico, proprio di quelle condanne penali, viene parzialmente meno una volta intervenuta la riabilitazione, ovvero l’estinzione ex art.445 c.p.p.; più precisamente, viene meno l’automatismo. La condanna, per quanto remota e superata dalla riabilitazione, non perde la sua rilevanza in senso assoluto, ma perde l’automatismo preclusivo”.

Una volta disconosciuto l’automatismo preclusivo e vincolante delle condanne ostative di cui all’art.43 TULPS, è stata ribadita la sussistenza di un potere discrezionale capo all’Autorità di P.S., qualora per tali condanne sia intervenuta successiva riabilitazione. In altri termini, alla luce di questo indirizzo, risulta annullabile per illegittimità il provvedimento di diniego del Questore, ove ci si limiti ad affermare che “le condanne sarebbero sic et simpliciter ostative al rilascio della licenza, senza che sia compiuta alcuna valutazione dei fatti oggetto delle condanne, risalenti a venticinque anni prima e quindi facendo sostanziale, immotivata ed erronea applicazione dell’automatismo preclusivo senza dubbio escluso dalla intervenuta riabilitazione”. Da ciò si evince altresì che l’autorità amministrativa, in presenza di condanne per i reati di cui all’art.43 TULPS, è comunque obbligata a verificare se fatti ‘datati’, per i quali è intervenuta la riabilitazione, “costituiscano oggi per la loro gravità o per altre circostanze, elementi ostativi al rilascio del titolo per difetto della buona condotta”. Con tale ritorno ad un approccio interpretativo “elastico” il Consiglio di Stato ha inteso ricollegarsi alla sentenza della Consulta n.311 del 1996 , nonché a vari pronunciamenti del medesimo Consesso (Cons. Stato, sez. III, sentenza 12 giugno 2014 n.3021; 22 ottobre 2014 n.5199, 10 luglio 2013 n.3719; 22 ottobre 2013, n.5129), ed in particolare all’importante pronunciamento espresso dalla quarta Sezione (sentenza 20 gennaio 2015, n.964, dep. 26 febbraio 2015) nel quale sono ribaditi i principi che la Pubblica Amministrazione deve osservare nell’esercizio della sua potestà discrezionale, ogniqualvolta venga emesso un provvedimento negativo nei confronti del cittadino:

– principio di proporzionalità, che impone di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato (senso di equità e di giustizia che deve sempre caratterizzare la soluzione del caso concreto);

– principio di ragionevolezza, per il quale l’Amministrazione, nell’esercizio del proprio dovere, non può applicare meccanicamente le norme, ma deve necessariamente eseguirle in coerenza con i parametri della logicità, proporzionalità, adeguatezza, al fine di evitare decisioni arbitrarie e irrazionali.

Il ‘ritorno’ all’approccio preclusivo – A fronte degli opposti orientamenti, forniti dalla giurisprudenza amministrativa, taluni uffici di polizia hanno in parte ovviato alla problematica invitando gli interessati – laddove possibile – a richiedere all’A.G. competente anche l’estinzione del reato ai sensi dell’art.167 c.p..

Più di recente. si è registrato un ulteriore révirement interpretativo da parte del Consiglio di Stato, che alla luce delle disposizioni legislative di cui agli artt.11 e 43 TULPS ha precisato che in presenza di condanne per reati preclusivi la riabilitazione consente di rilasciare al riabilitato le autorizzazioni di polizia in generale, mentre non consente di rilasciargli la licenza di porto d’armi. In altre parole, gli effetti della riabilitazione si esauriscono nell’àmbito dell’applicazione della legge penale ma, salvo diverse, specifiche disposizioni di legge, essa non ha rilievo su altre conseguenze giuridiche delle condanne.

Tale nuovo indirizzo è stato espresso con il parere n.01620/2016 datato 11 luglio 2016 (numero affare 00275/2016), reso dalla prima Sezione del Consiglio di Stato nell’adunanza del 6 luglio 2016.(Parere Consiglio di Stato 11 lug 2016)

E’ stato precisato, in particolare, che “la tesi secondo cui la riabilitazione toglie l’effetto preclusivo al rilascio del porto d’armi, stabilito dall’art.43 per determinate condanne, si fonda sulla lettura dell’art.178 del codice penale, secondo cui «La riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti», e contiene un fraintendimento circa la nozione di «effetti penali della condanna». Effetti penali della condanna sono gli effetti di una condanna sulla successiva applicazione della legge penale, sostanziale o processuale: ostacolo a una nuova concessione della sospensione condizionale, della non menzione e delle sanzioni sostitutive, aumento di pena per la recidiva, aumento di pena per l’ubriachezza, punibilità per i c.d. reati di sospetto (articoli 707 e 708 del codice penale: l’essere stati condannati per certi reati costituisce elemento costitutivo di quei due reati), possibilità di dichiarare il condannato delinquente abituale o professionale, possibilità o obbligo di emettere mandato di cattura, procedibilità d’ufficio per reati altrimenti procedibili a querela, e così via.

Il divieto di concedere (o l’obbligo di revocare) il porto d’armi, come l’esclusione da concorsi, da impieghi o da gare o la perdita del diritto elettorale per chi ha riportato certe condanne, sono bensì effetti della condanna, ma non effetti penali della condanna; e la riabilitazione di per sé, salvo cioè diverse disposizioni della normativa che regge la materia, come appunto l’art.11 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, non elimina tali effetti. In definitiva quindi, secondo le chiare disposizioni legislative dei citati articoli 11 e 43, in presenza di condanne per reati preclusivi la riabilitazione consente di rilasciare al riabilitato le autorizzazioni di polizia in generale, mentre non consente di rilasciargli la licenza di porto d’armi. In altre parole, gli effetti della riabilitazione si esauriscono nell’àmbito dell’applicazione della legge penale ma, salvo diverse, specifiche disposizioni di legge, essa non ha rilievo su altre conseguenze giuridiche delle condanne“.

Il quadro normativo di riferimento risulta corroborato dalla previsione dell’art.66 del Regolamento di esecuzione del testo unico, emanato con regio decreto 6 maggio 1940 n.635, il quale dispone che “qualora vi sia motivo di ritenere che il richiedente la licenza sia stato colpito da condanna che non figuri nel certificato ai sensi dell’art.608 (ora art.689, primo comma n.4) del codice di procedura penale, e che produca l’incapacità ad ottenere la licenza, l’autorità di pubblica sicurezza competente richiede il certificato di tutte le iscrizioni esistenti al nome dell’interessato, a termini dell’art.606 (ora art.688, primo comma) dello stesso codice“.

“Poiché nel certificato di casellario richiesto dall’interessato – prodotto con la domanda di licenza di porto d’armi – non vengono riportate le condanne in relazione alle quali è stata dichiarata la riabilitazione, è evidente che la riabilitazione non elimina il divieto di rilascio della licenza, e che il legislatore non ha mai neppur concepito – né la cittadinanza comprenderebbe – che si possa rilasciare una licenza di porto d’armi a una persona che, riabilitata o meno, è stata condannata per delitti come l’omicidio, le lesioni, il furto, la rapina, l’estorsione, il sequestro di persona a scopo di rapina o d’estorsione”.

In conclusione, il Consiglio di Stato afferma che “a chi è stato condannato per i reati previsti come preclusivi dal citato articolo 43 non può essere rilasciata, e dev’essere revocata se sia stata rilasciata, la licenza di porto d’armi senza che possa aver rilievo la conseguita riabilitazione“.

Il Supremo Consesso ha altresì fornito specifiche risposte ai seguenti ulteriori quesiti:

1) quale sia la sorte delle licenze di porto d’arma rilasciate in adesione all’interpretazione “evolutiva” della disposizione di legge e che andrebbero revocati in adesione al parere del Consiglio di Stato del 16 luglio 2014 – In merito, il Consiglio di Stato ritiene che “la sorte delle licenze di porto d’armi rilasciate in adesione all’interpretazione ‘evolutiva’ dell’art.43 dipende dai singoli casi. Se c’è un giudicato, o un decreto presidenziale su ricorso straordinario, che ha obbligato l’Amministrazione a rilasciare senz’altro la licenza, la licenza non può essere revocata; e lo stesso deve dirsi se, come sembra, ci sono stati giudicati che hanno obbligato l’Amministrazione a valutare discrezionalmente la domanda di porto d’armi presentata da persona condannata per reati ostativi, e l’Amministrazione ha rilasciato la licenza motivando sull’affidabilità del richiedente: in ambo i casi il porto d’armi è stato rilasciato in esecuzione di un giudicato. Diverso è il caso di licenze rilasciate a persone che si trovano nelle condizioni preclusive previste dall’art. 43, alle quali sia stata rilasciata la licenza senza che avessero impugnato un precedente diniego: in tal caso ben può l’Amministrazione, tornando sull’interpretazione dell’art. 43, che non ammette deroghe, revocare la licenza; con l’avvertenza però che, quando la licenza sia stata rilasciata motivando sull’attuale affidabilità del richiedente, la revoca non è esente dal rischio d’annullamento”;

2) se alle persone beneficiate di reiterati rinnovi del titolo di polizia debbano comunque essere applicate le disposizioni ostative previste dal co.1 dell’art.43 TULPS o se debba essere valutata la situazione personale e la loro condotta successiva al compimento del reato – Il Consiglio di Stato ritiene che “alle persone che siano state beneficiarie di reiterati rinnovi del titolo di polizia debbono essere applicate, con il diniego o con la revoca, le disposizioni dell’art. 43 del regio decreto 17 giugno 1931 n.773, senza considerare la loro situazione personale e la loro condotta successiva al compimento del reato; d’altra parte in casi del genere, tenendo presenti le considerazioni esposte a proposito dell’art. 66 del regolamento del 1940, è ben verisimile che l’Amministrazione di pubblica sicurezza non abbia conosciuto per tempo le condanne ostative proprio a causa dell’intervenuta riabilitazione”;

3) se la condanna con effetto preclusivo al rilascio della licenza di porto d’arma sia quella “espressa con sentenza passata in giudicato” o se debba intendersi riferita anche a quella conseguente al patteggiamento ex art.445 c.p.p., nonché nei casi in cui la pena è stata condizionalmente sospesa – Il Consiglio di Stato precisa che l’applicazione della pena su richiesta, c.d. patteggiamento o pena patteggiata, introdotta dal codice di procedura penale del 1988, è pur sempre una condanna (art. 445, comma -bis introdotto dalla legge 12 giugno 2003 n. 134: «Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna»), e i suoi effetti vantaggiosi per il condannato, ulteriori alla riduzione della pena, si esauriscono nell’àmbito degli effetti penali (vedasi l’art. 445, comma 2), dei quali si è già detto. Essa pertanto non influisce sulle disposizioni dell’articolo 43 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Men che meno rileva, ai fini che interessano, la sospensione condizionale della pena.

Leggi la Circ. Min. Int 2 agosto 2016.

 


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