Alla ricerca di un possibile punto di equilibrio e bilanciamento tra la riservatezza in fase di indagine e le esigenze di pubblicità (c.d. right to know).
L’attività di comunicazione esterna delle Forze di Polizia concernente la diffusione di notizie di polizia giudiziaria viene spesso ritenuta dagli organi di informazione insufficiente e carente allorché, oltre alla mancata diffusione di immagini, vengano omesse nelle conferenze e nei comunicati stampa le generalità delle persone fermate o arrestate in flagranza di reato, ovvero colpite da ordinanze di custodia cautelare in carcere.
Tale aspetto viene ancor più censurato dai giornalisti in presenza di trattamenti difformi rispetto a casi apparentemente simili, nei quali dette generalità sono direttamente acquisite dagli stessi giornalisti per altri canali ovvero tramite le Forze dell’Ordine.
I mass media argomentano le proprie ragioni invocando il diritto della cittadinanza a conoscere le generalità delle persone colpite da provvedimenti restrittivi della libertà personale e sottolineando che le esigenze di trasparenza, il ‘diritto di controllo sugli atti esecutivi e giudiziari’ nonché il più elementare ‘diritto di cronaca’, non devono regolarmente soccombere al diritto alla riservatezza, vieppiù nelle circostanze in cui, oltre ogni ragionevole dubbio, possano divulgarsi informazioni senza recare danno a eventuali indagini in corso.
La tematica è indubbiamente complessa e richiede un approfondimento anche sulla base dei più accreditati orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, nonché delle pronunce del Garante sulla protezione dei dati personali.
Informazione e privacy – E’ stato giustamente osservato che tra libertà di informazione e la tutela della privacy c’è un costante rapporto dialettico, una continua tensione, che può talvolta sfociare in un vero e proprio conflitto.
Da una parte sta il diritto fondamentale all’informazione, che prima ancora che diritto del giornalista a informare è interesse del cittadino a essere informato. Dall’altra stanno i diritti della personalità posti a presidio della intimità, dell’identità, della dignità: diritti e valori che l’informazione è di per sé in grado di ledere.
“Il diritto di sapere, la libertà di comunicazione, la trasparenza (caratteristiche fondamentali di una società democratica) non possono cancellare il bisogno di intimità, il diritto di sviluppare la personalità, di costruire liberamente la propria sfera privata, di veder comunque rispettata la propria dignità” (così PAISSAN, Libertà d’informazione e protezione dei dati: il caso italiano, intervento alla XXVI Conferenza Internazionale sulla Privacy e sulla protezione dei dati personali, Wroclaw, 14-16 settembre 2004).
Le indagini – Le notizie relative all’attività di indagine compiuta dalla polizia giudiziaria per l’accertamento e la repressione dei reati rivestono grande rilievo sociale. Ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca, gli organi dell’informazione possono perciò divulgare tali notizie. La pubblicazione non deve però compromettere il corretto svolgimento del processo e il diritto delle persone in esso coinvolte al rispetto della propria dignità e della propria riservatezza.
Per evitare che la diffusione di notizie relative alle indagini possa incidere sulla obiettività della decisione del giudice e ledere in modo irrimediabile la reputazione degli indagati (ben prima e indipendentemente dalla condanna), sono specificati e previsti (artt.114, 115 e 329 c.p.p.) i casi in cui le notizie relative agli atti di indagine sono legittimamente pubblicabili e i casi in cui, all’inverso, esiste un obbligo del segreto su tali atti.
La disciplina è stata spesso criticata. Molti lamentano che l’obbligo del segreto non è mai rispettato e che la sua violazione favorisce indebite pubblicazioni di atti, nuocendo anche alle investigazioni. Molti sostengono, poi, che la pubblicazione degli atti è agevolata proprio da coloro ai quali spetterebbe assicurare il rispetto della disciplina processuale” (cfr. D’AMBROSIO, Aspetti dell’attività di Polizia Giudiziaria, in AA.VV., Materiali per il Corso di aggiornamento professionale per la progressione in carriera dei Vice Questori Aggiunti della Polizia di Stato, Roma 2006).
Il principio della massima considerazione in cui tenere “riservatezza e dignità” delle persone è stato espresso con forza in più direttive emanate dai responsabili delle Forze di Polizia.
Il bilanciamento degli interessi – La disciplina sul segreto investigativo deve bilanciare tre diverse esigenze: l’esigenza della segretezza delle indagini e del corretto svolgimento del procedimento; quella della libertà di informazione, del diritto di cronaca e del conseguente «controllo sociale» sul procedimento; quello della riservatezza dei soggetti a qualsiasi titolo coinvolti nel procedimento stesso.
Tenendo conto di ciò, il codice stabilisce anzitutto i casi in cui le notizie del procedimento devono rimanere segrete (art.329 c.p.p.) e quelli in cui, venuto meno il segreto, le medesime notizie possono essere pubblicate (art.115 c.p.p.); stabilisce, poi, i limiti che il diritto alla pubblicazione delle notizie deve comunque rispettare per evitare che la privacy di indagati, imputati, persone offese e testimoni venga lesa per finalità eccedenti rispetto alle esigenze delle indagini e del diritto di informazione (art.114 commi 6 e 6-bis c.p.p.).
Sotto quest’ultimo aspetto, le disposizione del codice di procedura penale si integrano con le previsioni del Codice per la protezione dei dati personali e con le relative pronunce del Garante.
In via generale, gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria (a iniziativa o su delega) sono segreti (art. 329 co.1 c.p.p.) fino a quando l’indagato non può averne conoscenza e comunque non oltre la chiusura delle indagini preliminari (artt.405-407 c.p.p.).
Così ad esempio, il verbale di interrogatorio e gli atti cui il difensore ha diritto di assistere (come le perquisizioni, le ispezioni, i sequestri…) non sono più coperti dal segreto dal momento del loro deposito nella segreteria del pubblico ministero (art.366 c.p.p.).
Salve le ipotesi di segretazione, non è coperta da segreto la diffusione della notizia dell’arresto di un indagato poiché l’arresto è conosciuto dall’indagato stesso nel momento in cui è eseguito. All’inverso, invece, e sempre ad esempio, le sommarie informazioni rese alla polizia giudiziaria da persone informate sui fatti (art.351 c.p.p.) sono coperte dal segreto fino al momento in cui il pubblico ministero non esercita l’azione penale o non richiede l’archiviazione depositando il fascicolo delle indagini (artt.405, 408, 416 co.2 c.p.p.).
Fascicolo delle indagini – Solo il deposito del fascicolo delle indagini consente all’imputato di poter acquisire conoscenza dell’atto eliminandone così la segretezza.
La regola generale subisce due eccezioni praticamente contrapposte. Quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero può infatti disporre la segretazione (art.329 co.3 c.p.p.) di atti non più coperti dal segreto oppure, all’inverso, la desecretazione (art.329 co.2 c.p.p.) di atti ancora segreti.
Anche quando gli atti del procedimento non sono coperti dal segreto la loro pubblicazione può avvenire solo rispettando il diritto alla riservatezza dei soggetti coinvolti nelle indagini. Il pubblico ministero e la polizia giudiziaria possono infatti diffondere le immagini e i dati personali relativi a soggetti coinvolti nel procedimento penale solo quando la diffusione è doverosa (ossia necessaria per la prosecuzione dell’attività di indagine) ed è essenziale per la comprensione della notizia riferita (art.25 co.2 d.lgs. 30 giugno 2003, n.196 recante il Codice in materia di protezione dei dati personali).
In tutti gli altri casi, come è stato efficacemente sostenuto, la diffusione delle immagini e dei dati personali “eccede” le finalità di giustizia (ossia non è ‘pertinente’) e può quindi dare luogo a responsabilità (di tipo disciplinare o penale).
Ma non solo. Ferma restando, infatti, la possibilità per il giornalista di invocare l’esercizio del diritto di cronaca, l’ufficiale di polizia giudiziaria potrebbe incorrere in ulteriori profili di responsabilità civile per lesione del diritto di immagine e di riservatezza ove una pronuncia del Garante, favorevole alla persona arrestata che lo adisca, evidenzi l’eccedenza, la non doverosità o la non pertinenza della divulgazione delle generalità dell’arrestato o della persona a vario titolo ristretta nella sua libertà personale.
Si pensi, a mero titolo esemplificativo, all’intervento “maldestro” del personale di polizia che arresta sul luogo del delitto un individuo ivi presente il quale, poi, per un grossolano ed assolutamente evitabile errore sulla persona compiuto dagli operatori di polizia, si riveli essere del tutto estraneo alla vicenda. Se dalla pubblicazione delle generalità dell’individuo al momento dell’arresto deriva un concreto e dimostrato danno di immagine, con conseguente lesione di interessi patrimoniali, non è peregrino ipotizzare l’esito civilistico di accoglimento di un’eventuale richiesta di risarcimento del danno, direttamente rivolta al soggetto che abbia reso “pubbliche” le generalità dell’individuo per il tramite degli “incolpevoli” (in forza del richiamato “diritto di cronaca”) organi di stampa.
Ancor più rigida è la disciplina concernente la diffusione dei nomi delle vittime o dei testimoni del reato, che eccede le finalità di giustizia e, pertanto, è generalmente vietata (art.7 co.4 d.lgs. n.196 del 2003).
Analogo divieto opera per le immagini e i dati che non riguardano soggetti coinvolti nelle indagini ma persone che a questi sono occasionalmente collegate (a causa di precedenti relazioni sentimentali o di rapporti contrattuali di locazione…).
Non è, infine, consentita né la divulgazione delle generalità o della immagine dei minorenni comunque coinvolti in un procedimento penale (come indagati oppure come testimoni o persone offese: art.114 co.6 c.p.p.; art.13 D.P.R. 22 settembre 1988, n.448) né, senza il loro consenso, quella delle persone offese (anche maggiorenni) dai reati contro la libertà sessuale o contro lo sfruttamento sessuale minorile (art.734-bis c.p.).
Se un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria vìola le norme relative all’esercizio delle sue funzioni viene sottoposto al procedimento disciplinare espressamente regolato dagli artt.16-19 att. c.p.p..
Il procedimento disciplinare promosso per una violazione commessa nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria non esclude che, per la stessa violazione, possa essere dato inizio anche a un procedimento penale. Per il medesimo fatto, perciò, può prospettarsi l’ipotesi di due autonomi procedimenti: quello penale e quello disciplinare.
E’ il caso, tra le altre, delle ipotesi criminose collegabili alla violazione dei doveri nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, tra le quali figurano quelle di cui agli art.326 c.p. (violazione dolosa dell’obbligo del segreto e agevolazione colposa).
Più nello specifico, si osserva che la violazione del divieto di pubblicazione degli atti di un procedimento può dar luogo, oltre che a illeciti disciplinari (art.115 att. cp.p.), a fattispecie criminose e, in specie, a quelle di cui agli artt.326 e 684 c.p. (rivelazione di segreti di ufficio e pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale).
Non è in discussione il fatto che il bilanciamento tra i diritti e le libertà di cui sopra resti in sostanza affidato in prima battuta al giornalista il quale, in base a una propria valutazione (che può essere sindacata) acquisisce, seleziona e pubblica i dati utili ad informare la collettività su fatti di rilevanza generale, esprimendosi nella cornice della normativa vigente – in particolare, del Codice deontologico – e assumendosi la responsabilità del proprio operato.
Del pari, rientra nelle prerogative e nella capacità professionali del giornalista acquisire, per il tramite delle innumerevoli “fonti” di cui può disporre, tutti i “particolari” – ancorché ultronei – rispetto al nome e cognome dei soggetti interessati.
Non può costituire un “diritto”, invece, la conoscenza per il tramite delle Forze di Polizia delle generalità delle persone colpite da provvedimenti restrittivi della libertà personale, posto che nessun organo di polizia giudiziaria è tenuto a comunicare queste informazioni ai cronisti.
La posizione del Grarante – In tal senso, l’invito alla cautela rivolto dal Garante ai giornalisti circa la pubblicazione dei nomi delle persone indagate/arrestate pertiene esclusivamente ai dati di cui i medesimi siano venuti in possesso attraverso proprie fonti, non sussistendo obbligo alcuno per l’Autorità Giudiziaria o per le Forze di Polizia a fornire tali notizie.
“Le difficoltà per il giornalista di accedere a determinati documenti in possesso di uffici pubblici deriva non tanto dalla disciplina sulla protezione dei dati personali, quanto dalla normativa sull’accesso ai documenti amministrativi, che laddove il documento non è segreto impone comunque di valutare l’eventuale necessità di tutelare la riservatezza di un terzo, ma prima ancora prescrive (non solo al giornalista) che chi richiede il documento debba dimostrare la necessità di disporne per la tutela di un interesse giuridicamente rilevante e concreto ….. In termini generali, va ribadito che l’esigenza di assicurare la trasparenza dell’attività giudiziaria e il controllo della collettività sul modo in cui viene amministrata la giustizia devono comunque bilanciarsi con alcune garanzie fondamentali riconosciute all’indagato e all’imputato: la presunzione di non colpevolezza fino a condanna definitiva, il diritto di difesa e ad un giusto processo” (cfr. GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, documento del 6 maggio 2004. Cfr. altresì il documento dell’11 giugno 2004 su “Privacy e giornalismo. Alcuni chiarimenti in risposta a quesiti dell’Ordine dei giornalisti”, reperibili sul sito internet www.garanteprivacy.it).
In tale prospettiva, nell’eventualità in cui gli organi di stampa intendessero procedere ai sensi della legge n.241 del 1990 – e avuto riguardo al soggetto legittimato alla tenuta ed alla gestione del dato personale in argomento (ossia le generalità della persona arrestata, fermata o comunque sottoposta a provvedimento restrittivo della libertà personale) a partire dalla stesura degli atti di p.g. e dall’invio all’Autorità Giudiziaria competente, pare legittimo ritenere che la facoltà di concedere l’esercizio del diritto di accesso rientri nelle prerogative di quest’ultimo soggetto, e non dell’ufficio di polizia operante.
Vi sono, peraltro, aperture della giurisprudenza amministrativa affatto pacifiche sulla possibilità di ritenere legittimato all’accesso anche chi intende esercitare il diritto di cronaca.
La diffusione dei nomi di persone condannate e, in generale, dei destinatari di provvedimenti giurisdizionali deve inquadrarsi nell’ambito delle disposizioni processuali vigenti, di regola improntate ad un regime di tendenziale pubblicità.
Potranno essere pubblicati, ad esempio – come già ricordato dal Garante in alcune sue pronunce – l’identità, l’età, la professione, il capo di imputazione e la condanna irrogata ad una persona maggiorenne ove risulti la verità dei fatti, la forma civile dell’esposizione e la rilevanza pubblica della notizia (rilevanza, che può essere tale anche solo nel contesto locale di riferimento della testata giornalistica).
Qui il Garante sottolinea la necessità di salvaguardare altre persone non direttamente implicate e fa notare che, ad esempio, nella fase iniziale dell’indagine giudiziaria, le generalità di chi vi si trova coinvolto e il giudizio sull’entità dell’addebito possono creare problemi “non tanto per la riservatezza della notizia, quanto per l’enfasi del messaggio erroneo dato al lettore riguardo al grado di responsabilità già accertata” (cfr. GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, documento dell’11 giugno 2004 su “Privacy e giornalismo. Alcuni chiarimenti in risposta a quesiti dell’Ordine dei giornalisti”, cit., nonché BRIGANTI, Privacy e giornalismo. Il documento del Garante per la protezione dei dati personali dell’11 giugno 2004, in www.jusreporter.it).
In confronto ai casi riguardanti gli indagati e gli imputati, i dati dei condannati possono essere diffusi più liberamente in ragione della minore incertezza sulla posizione processuale dell’interessato, essendo già intervenuto su di essa un primo giudizio da parte dell’Autorità giudiziaria.
Tuttavia, anche l’applicazione di tale principio va valutata caso per caso, dovendo prendere in considerazione, fra l’altro, il tipo di soggetti coinvolti (ad esempio, persone con handicap o disturbi psichici, o ancora, ragazzi molto giovani), il tipo di reato accertato e la particolare tenuità dello stesso, l’eventualità che si tratti di condanne scontate da diversi anni o assistite da particolari benefici (ad esempio, quello della non menzione nel casellario), in ragione dell’esigenza di promuovere il reinserimento sociale del condannato.
Anche in questa ipotesi, si osserva che per i fini di un’eventuale autorizzazione all’accesso il dato rientra (vieppiù) nell’esclusiva disponibilità dell’Autorità Giudiziaria competente e non delle Forze di Polizia, ancorché queste ultime abbiano materialmente proceduto all’attività d’indagine.
Tale assunto pare confermato dal rilievo del Garante secondo cui i nomi degli indagati e degli arrestati, al pari di altre informazioni, possono essere soggetti al regime di segretezza-pubblicità eventualmente operante in base alle disposizioni dell’ordinamento processuale penale (cfr. BRIGANTI, Privacy e giornalismo, cit., p.20).
Potrà verificarsi anche il caso in cui “la diffusione dei nomi delle persone indagate o sottoposte a giudizio, pure astrattamente possibile, dovrà essere evitata al fine di tutelare la riservatezza e il diritto alla protezione dei dati relativi ad altri soggetti coinvolti nell’indagine giudiziaria” (cfr. GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, documento dell’11 giugno 2004 su “Privacy e giornalismo”, cit. in BRIGANTI, Privacy e giornalismo, cit., p.21), con una valutazione che ancora una volta sembrerebbe rientrare nell’alveo del prudente apprezzamento dell’A.G. competente.
E’ legittimo ritenere, a questo punto, che molti dubbi potrebbero essere superati se la competente Procura della Repubblica e la polizia giudiziaria concordassero preventivamente le notizie che possono essere comunicate alla stampa, sulla base di un indirizzo uniforme e condiviso da tutti i sostituti procuratori operanti nel circondario.
Questa direttiva dovrebbe altresì prevedere – se del caso – un’autorizzazione per le Forze di Polizia a fornire ai giornalisti i dati (di cui all’oggetto) che rientrano nella disponibilità di trattamento dell’Autorità Giudiziaria (melius: della Procura della Repubblica) competente sin dall’avvenuta assunzione della direzione delle indagini da parte del pubblico ministero e quindi dall’avvenuta trasmissione degli atti all’ufficio di procura.
In carenza dei citati presupposti, l’ufficiale o l’agente di polizia giudiziaria che divulga le generalità in argomento può andare incontro a responsabilità penali, disciplinari e – sulla base di possibili pronunce del Garante favorevoli al ricorrente – anche civili, per il successivo giudizio risarcitorio eventualmente instaurato da quest’ultimo.