Su questo tema si registrano due diversi orientamenti, uno della Cassazione e l’altro di una parte della giustizia amministrativa.
Orientamento della Suprema Corte – Sulla base di un orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità “la prostituzione, in sé, non legittima l’emissione del foglio di via obbligatorio: chi svolge tale attività non rientra tra le persone pericolose per la sicurezza pubblica. L’esercizio del meretricio, infatti, non è reato e non può essere posto a fondamento della misura di prevenzione”.
Ne consegue, per i giudici di merito, la disapplicazione del provvedimento questorile motivato solo con l’esercizio della prostituzione da parte dell’imputata, che viene assolta dal reato contestatole in caso di inosservanza della misura di prevenzione.
Di recente la Corte di Cassazione, con sentenza del 20 febbraio 2019 n.17616, depositata il 26 aprile 2019, ha ribadito questo orientamento dichiarando “illegittimo il decreto di allontanamento (foglio di via obbligatorio, con il divieto di far rientro nel territorio) adottato a causa dell’attività di prostituzione”. Il giudice penale è chiamato a disapplicarlo nel caso in cui si controverta del reato di cui all’art.76 co.3 del d.lgs. n.159 del 2011, scaturente dalla violazione delle prescrizioni contenute nel foglio di via obbligatorio, perché l’esercizio della prostituzione non è un pericolo per la salute pubblica e, non costituendo di per sé reato, non può costituire presupposto per l’emissione di un provvedimento di allontanamento basato sulle ipotesi di cui al n.1 (traffici delittuosi) o al n.2 (vivere con provento di attività delittuose) dell’art.1 del d.lgs. n.159 del 2011.
Viene altresì esclusa dalla Suprema Corte la riconducibilità del soggetto alla categoria di cui all’art.1 co.1 n.3 del d.lgs. n.159 del 2011, non ravvisandosi alcuna offesa o messa in pericolo dei beni indicati in detta norma (l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, sicurezza o tranquillità pubblica) in condotte in sé non costituenti reato: “ritenere diversamente finirebbe invero, in modo del tutto inammissibile, per ripristinare surrettiziamente, a questi fini, la categoria già soppressa dalla legge n.327 del 1988”.
“Né può ritenersi condotta di reato quella consistente in fatti di ‘adescamento’, stante la depenalizzazione operata con l’art.81 della legge n.689 del 1981 della fattispecie originariamente prevista dall’art.5 co.1 della legge n.75 del 1958”.
Ancor più consolidato e risalente è l’assunto secondo cui “l’esercizio della prostituzione a fini di lucro personale – ancorché immorale – costituisce un’attività lecita, sicché essa non può essere qualificata come attività pericolosa per la sicurezza pubblica o per la pubblica moralità, se non allorquando sia esercitata con le particolari modalità innanzi indicate, quali l’adescamento, l’ostentazione scandalosa, le molestie ai passanti, gli atti osceni in luogo pubblico e via dicendo” (Cass. pen., sez.III, n.35776 del 2004).
Orientamento della giurisprudenza amministrativa – In considerazione di quanto sopra, anche i giudici amministrativi ritengono che l’allontanamento con foglio di via obbligatorio non sia – almeno di regola – lo strumento deputato per intervenire sul fenomeno della prostituzione e che, pertanto, il provvedimento basato su una siffatta motivazione debba dare conto delle concrete modalità di esercizio del meretricio, dell’eventuale continuità di tale condotta e di ogni altro elemento utile in ordine alle condizioni di vita dell’interessata, onde desumerne l’apprezzabile possibilità che la stessa sia incline alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
La motivazione del provvedimento dovrà, quindi, contenere il riferimento ai necessari indici di pericolosità che consentano di affermare che la persona nei cui confronti viene emesso abbia posto in essere attività o comportamenti socialmente pericolosi, potenzialmente rivolti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica, e che, dunque, la medesima debba ritenersi, ai sensi della legge n.1423 del 1956 (ora d.lgs. n.159 del 2011), un soggetto pericoloso per la sicurezza pubblica (Tar Bolzano, 23 dicembre 2008, n.414; Tar Perugia 4 settembre 2006 n.434; Tar Napoli 17 maggio 2006 n.452).
D’altro canto, ai fini della prognosi di pericolosità richiesta dalla legge, è stato affermato che l’accertamento dell’esercizio della prostituzione in luoghi pubblici con abbigliamento discinto o che comunque urta con la morale e l’educazione dei minorenni (es. presenza di scuole nelle vicinanze), con offerta incondizionata a chiunque e senza alcuna cautela faccia dedurre, in via logica e senza bisogno di alcuno specifico accertamento, la commissione di reati contro la moralità pubblica e il buon costume ed anche l’eventuale coinvolgimento di minorenni. E’ sufficiente che dalla motivazione sia possibile risalire all’individuazione dei comportamenti attribuibili direttamente all’interessata e qualificabili come pericolosi per la sicurezza pubblica (cfr. Cass. pen., sentenza n 41738 del 16 settembre 2014, Ud. dep. 7 ottobre 2014 Rv. 260515 e anche sez.I, sentenza n.4426 del 5 dicembre 2013).
Sulla base di un diverso orientamento seguito da alcuni TAR, invece, a giustificare il foglio di via sarebbe sufficiente l’accertamento dell’esercizio della prostituzione in luoghi pubblici, con offerta incondizionata a chiunque e senza alcuna cautela, perché poi da questo accertamento sarebbe legittimo dedurre in via logica, senza bisogno di alcun accertamento specifico, la commissione di reati contro la moralità pubblica e il buon costume – il riferimento implicito è al delitto di atti osceni (art.527 c.p.) essendo notorio l’uso delle prostitute di appartarsi con clienti occasionali – anche minorenni – nei fondi contigui al luogo di esercizio (TAR Puglia, Bari, sez.II, 3 aprile 2007 n.949; TAR Emilia Romagna, Bologna, sez.I, 3 agosto 2007 n.1795).
Per altro verso, si ritiene che il giudizio prognostico che legittima la comminazione dell’ordine di rimpatrio con foglio di via obbligatorio debba essere compiuto in relazione a specifici comportamenti attribuibili direttamente all’interessata dai quali si possa indurre la commissione di reati atti a mettere in pericolo l’integrità di minorenni o la pubblica moralità e sicurezza, non essendo invece sufficiente a tal fine la generica descrizione di una situazione locale di allarme causato dalla presenza di prostitute o transessuali (TAR Piemonte, 16 gennaio 2007 n.14; TAR Puglia, Bari, 1 marzo 2007 n.583).
E’ invece insufficiente motivare il provvedimento nei confronti di una prostituta sulla base del mero riferimento al disturbo della quiete pubblica, in zona ad intenso traffico veicolare, con esposti prodotti dalla cittadinanza ecc..
Con sentenza n.124 pubblicata il 5 febbraio 2018 il TAR Emilia Romagna, sez.II, ha rigettato il ricorso avverso l’emissione di un foglio di via obbligatorio per esercizio della prostituzione, così argomentando:
“a) l’atto impugnato attesta che l’attuale ricorrente – all’atto della individuazione nel corso di un servizio straordinario di controllo del territorio “è stata rintracciata in inequivocabile abbigliamento e atteggiamento di attesa di occasionali fruitori di prestazioni sessuali a pagamento, da consumarsi pressoché in loco “e che” l’esercizio della prostituzione da parte della suddetta si svolge in luoghi pubblici, con offerta incondizionata a chiunque (..) e che la stessa è solita ad appartarsi con i clienti occasionali in fondi contigui al luogo dell’esercizio del meretricio”;
b) l’attestazione del fatto dianzi indicato è pienamente probante sino a querela di falso, trattandosi di atto pubblico avente fede privilegiata;
c) l’esercizio della prostituzione su strada in attesa di occasionali clienti – pur non costituendo un’attività di per sé criminale, sulla base della normativa attualmente vigente – è comunque necessariamente connessa a condotte che ipoteticamente configurano il reato continuato di atti osceni in luogo pubblico (nelle successive, ordinarie sequenze in cui tale attività si svolge) ed è ormai ordinariamente acquisito come esso sia oggi generalmente gestito da gruppi della criminalità organizzata o comunque da ambienti ad essa contigui per modo che risultano pienamente condivisibili e congrue le considerazioni di fatto e di legittimità delineate nella relazione in atti della Questura;
d) l’omissione della comunicazione di cui agli artt.7 ed 8 della legge n.241 del 1990 risulta pienamente giustificata dall’oggettiva urgenza di provvedere in relazione alle circostanze di tempo e di luogo ed alla conseguente necessità di contrastare con immediatezza la situazione di vergognoso degrado esistente nell’area in oggetto quale è delineata nell’atto impugnato”.
Tar Emilia Romagna n.124 del 2018