IN POCHE PAROLE …
Il provvedimento di ammonimento determina effetti diretti sul piano penale e processuale: aumenta la pena e rende procedibile d’ufficio delitto di atti persecutori, altrimenti procedibile a querela.
D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con modificazioni dalla L. 23 aprile 2009, n. 38
D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159
L’adozione da parte del Questore del provvedimento di ammonimento determina effetti diretti sul piano penale e processuale.
In primo luogo, ai sensi dell’art.8, comma 3, D.L. n.11 del 2009, la pena per il delitto di cui all’articolo 612 bis del codice penale è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già destinatario di ammonimento.
Inoltre, la previa irrogazione dell’ammonimento incide sulla procedibilità del delitto di atti persecutori, il quale ordinariamente è procedibile a querela della persona offesa, ma diventa procedibile d’ufficio quando il fatto è commesso da soggetto già ammonito.
Avviso orale ed ammonimento rientrano tra i provvedimenti monitori: per entrambi è previsto che il ‘monito’ sia impartito oralmente e quindi verbalizzato, ed è possibile che venga delegato ad un ufficiale di Pubblica Sicurezza, ai fini del conferimento della data certa (TAR Umbria, Perugia, sez.I, 10 novembre 2008, n.714).
Sul piano contenutistico, mentre l’avviso orale reca un invito generico a tenere un comportamento conforme alla legge, l’ammonimento per atti persecutori (come anche quello per violenza domestica) non si limita alla mera notifica di un atto, ma entra nel cuore di ogni singola situazione offrendo, contestualmente alla ‘diffida’ dalla prosecuzione nelle condotte persecutorie o violente, la possibilità di acquisire progressivamente la consapevolezza del disvalore del proprio comportamento, entrando a far parte di un percorso di recupero totalmente gratuito presso strutture specializzate.
Obbligo di limite temporale all’ammonimento?
La giurisprudenza ha chiarito che non può ritenersi che il provvedimento di ammonimento per atti persecutori (stalking) di cui all’art.8 del d.l. n.11 del 2009, convertito in legge 23 aprile 2009 n.38 debba fissare un limite temporale all’ammonimento, atteso che l’efficacia deterrente dell’ammonimento, avente natura e finalità preventiva e cautelare, non può essere assoggettata ad una delimitazione temporale, peraltro di difficile perimetrazione, ponendo mente all’imprevedibilità delle condotte persecutorie senza perciò stesso frustrare la finalità dell’ammonimento medesimo, che ha nella cogenza dell’ordine e nelle gravi conseguenze sanzionatorie della sua violazione – tra le quali, prime fra tutte, l’inasprimento della pena (art.8 co.3 del d.l. n.11 del 2009) e la procedibilità d’ufficio del reato (art.8 co.4 del d.l. n.11 del 2009) – la sua forza dissuasiva che, verosimilmente, sarebbe elisa se l’ammonimento fosse assoggettato a breve scadenza e, certamente, sarebbe nulla dopo l’ipotetica scadenza stessa (così TAR Lombardia, sez.III, sentenza n.877 del 2 aprile 2015 e Cons. Stato, sez.III, 9 dicembre 2014 n.6038).
L’istanza di revoca dell’ammonimento
Il destinatario dell’ammonimento presenta o può presentare istanza di revoca, invocando l’applicazione dell’art.21 quinquies della legge 7 agosto 1990 n.241.
a) gli argomenti contrari alla revocabilità dell’ammonimento
Va osservato che la legge 23 aprile 2009 n.38, istitutiva dell’istituto dell’ammonimento, non prevede per esso alcuna scadenza temporale e/o la possibilità di chiederne la revoca, come invece è espressamente previsto per l’analoga misura di prevenzione dell’avviso orale di cui al d.lgs. n.159 del 2011.
In effetti, sussistono dubbi sulla revocabilità dell’ammonimento, che pare invero atteggiarsi come atto ad effetto istantaneo, emesso in base alla situazione del momento e che si esaurisce nel momento stesso in cui viene emesso per poi rilevare solo come fatto storico-giuridico ai limitati fini della procedibilità d’ufficio e dell’aumento di pena in caso di reiterazione della condotta antigiuridica (cfr. TRGA Trentino-Alto Adige, Bolzano, 26 agosto 2015, n.262; TAR Liguria, sez.I, 3 ottobre 2022 n.826).
L’effetto tipico dell’atto è un rimprovero, che si produce e si esaurisce istantaneamente nel momento in cui viene mosso.
I giudici amministrativi (cfr. ancora TAR Liguria, sez.I, 3 ottobre 2022 n.826) osservano altresì che “contrariamente all’assunto ricorsuale, l’atto non costituisce fonte di effetti durevoli o prolungati nel tempo, perché la perseguibilità ex officio del delitto di atti persecutori e l’operatività dell’aggravante speciale sono conseguenze sancite dalla legge penale, che, oltretutto, si concretizzano solamente nel caso in cui l’ammonito persista nell’attività persecutoria e venga condannato per il delitto di cui all’art.612 bis c.p.”.
In altri termini, in caso di reiterazione della condotta antigiuridica, l’ammonimento rileva come fatto storico – giuridico ai fini del regime di procedibilità e dell’aumento di pena. “Ora, in base ai principi generali dell’azione amministrativa, la revoca è un istituto di autotutela decisoria tipicamente irretroattivo, che, quindi, può avere ad oggetto solamente atti in grado di produrre ancora i propri effetti nel momento in cui l’Amministrazione li riesamina.
Pertanto, secondo la tradizionale elaborazione dottrinale e pretoria, sono irrevocabili gli atti la cui efficacia si è esaurita, o perché istantanei e già eseguiti, o per scadenza del termine, o per raggiungimento dello scopo (ad esempio, è pacifica l’impossibilità di revocare il provvedimento di esproprio, in quanto produttivo di effetti istantanei: cfr., ex aliis, TAR Lazio, Roma, sez.II, 16 marzo 2010 n.4115).
Tali principi sono stati recepiti nell’art.21 quinquies, comma 1, della legge n.241 del 1990, il quale, codificando l’istituto della revoca in autotutela, ha stabilito che, in presenza dei presupposti ivi indicati (sopravvenuti motivi di pubblico interesse, mutamento della situazione di fatto o nuova valutazione dell’interesse pubblico originario), può essere revocato “il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole”.
Né in senso contrario depone – a parere dei giudici amministrativi – il comma 1-bis dell’art.21 quinquies, il quale, fissando i criteri dell’indennizzo nell’ipotesi di incidenza del provvedimento ritirato su rapporti negoziali, fa riferimento anche agli atti “ad efficacia … istantanea”.
Come evidenziato dalla dottrina, infatti, con tale inciso il legislatore non ha ammesso la rimuovibilità tout court degli atti ad effetti istantanei, giacché, come si è detto, il comma 1 del medesimo art.21-quinquies sancisce tuttora la regola generale della revocabilità dei soli provvedimenti con effetti duraturi nel tempo.
In realtà, la peculiare tipologia di revoca degli atti ad efficacia istantanea di cui al comma 1-bis presenta un ambito applicativo ristretto ai soli provvedimenti attinenti a rapporti negoziali. Inoltre, la formulazione letterale della normasembra suggerire che, in tali casi, la revoca sia consentita esclusivamente per rivalutazione delle esigenze pubbliche originarie, ossia per atti che l’Amministrazione, melius re perpensa, reputi fin dall’inizio incompatibili con l’interesse pubblico (“l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico“).
Discende da quanto sin qui esposto che, quando il legislatore ha inteso derogare alla regola dell’irrevocabilità degli atti ad effetto istantaneo, ha dovuto prevederlo in modo esplicito. È il caso della misura di prevenzione personale dell’avviso orale c.d. semplice del Questore, disciplinato dall’art.3 del d.lgs. n.159 del 2011, il quale consiste nell’invito a tenere una condotta conforme alla legge impartito ad un destinatario incline ad un contegno antisociale, che rientri in una delle categorie di cui all’art.1 del d.lgs. n.159 del 2011 (id est coloro che possano ritenersi abitualmente dediti a traffici delittuosi, oppure vivano con i proventi di attività delittuose, o, infine, risultino dediti alla commissione di reati che ledono l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica). Ragion per cui, non è possibile applicare analogicamente all’ammonimento l’art.3 co.3, del d.lgs. n.159 del 2011, che consente appunto la revoca dell’avviso orale, trattandosi di una norma costituente eccezione al precetto generale contenuto nell’art.21-quinquies co.1 , della legge n.241 del 1990.
Sotto altro profilo l’irrevocabilità del provvedimento ammonitorio non pare foriera della limitazione di libertà personale, quale “macchia” che potrebbe emergere in ogni momento della propria vita sia relazionale che lavorativa. In realtà, l’entità della compressione della libertà dell’ammonito è stata definita in dottrina “risibile”, poiché questi viene semplicemente spronato ad assumere un contegno rispettoso della legge.
Per quanto concerne il paventato pregiudizio sociale derivante dall’essere stato destinatario del monito questorile, l’agognata revoca non potrebbe certamente elidere né l’avvenuta emanazione dell’ammonimento, né il fatto storico che vi ha dato causa (le molestie e minacce all’ex fidanzata)”.
Infine, in relazione ad eventuali autorizzazioni di polizia cui il ricorrente parrebbe aspirare (quale la licenza di porto d’armi), si osserva che l’Autorità di pubblica sicurezza è sempre tenuta ad apprezzarne i presupposti all’attualità, vale a dire a valutare se, pur avendo in passato compiuto atti disdicevoli, egli si sia in seguito ravveduto, adeguandosi alle regole della civile convivenza e divenendo una persona affidabile.
“Del resto, portando alle estreme conseguenze la tesi propugnata dal ricorrente, potrebbero verificarsi situazioni palesemente contrarie alla ratio dell’istituto preventivo: infatti, se il soggetto, dopo il ritiro dell’ammonimento, riprendesse le prevaricazioni nei confronti della vittima, egli, in mancanza di querela, potrebbe sottrarsi al processo penale e, in ogni caso, schiverebbe l’inasprimento di pena. Per contro, il fatto che l’ammonito abbia posto termine alla condotta persecutoria significa che la misura ha raggiunto lo scopo cui è preordinata, apparendo incongruente che, per tale ragione, il rimprovero a suo tempo impartito sia rimosso“.
Sarebbe evidentemente illogico concepire la revocabilità di un provvedimento (l’ammonimento), la quale troverebbe il suo necessario presupposto proprio nel raggiungimento dello scopo cui è preordinato il provvedimento medesimo (la cessazione della condotta persecutoria). L’ammonimento, sotto questo profilo, costituirebbe un provvedimento annullabile per vizi genetici, ma non revocabile per essere venuti meno i presupposti che ne avevano determinato l’emissione.
Né pare pertinente il richiamo a vicende in cui il ricorrente chiede (non la revoca, bensì) l’annullamento d’ufficio dell’ammonimento: come rilevato dai giudici del Consiglio di Stato (sentenza n.65 del 2020, tale istituto è pacificamente ammissibile, alla stregua dell’art.21-nonies della legge n.241 del 1990 “se il provvedimento sia affetto da un vizio di legittimità e sussista un interesse pubblico alla caducazione ex tunc, purché entro un termine ragionevole e tenendo in cale gli interessi delle parti coinvolte. Nel caso di specie, l’appellante sosteneva che l’atto ammonitorio fosse illegittimo perché il G.I.P. aveva archiviato la denuncia-querela per il reato di stalking: perciò, con la pronunzia in parola, il giudice di seconda istanza ha chiesto alla Questura se il diniego di autoannullamento si fondasse su condotte successive a quelle inizialmente considerate, che potessero autonomamente sorreggere l’atto in tesi viziato.
Peraltro, con la successiva sentenza n.4077 del 2020, resa a definizione del giudizio, il Consiglio di Stato ha respinto l’impugnativa, ritenendo ab origine legittima la misura, nonché, conseguentemente, corretto il rifiuto di caducarla retroattivamente (in quanto, per la differente logica valutativa connotante il procedimento amministrativo di prevenzione rispetto al giudizio penale, nel primo risulta sufficiente un quadro indiziario che renda verosimile il comportamento minaccioso o semplicemente molesto del soggetto, non essendo necessaria l’acquisizione della prova del fatto penalmente rilevante).
Né vale la doglianza la lagnanza concernente il mancato rispetto delle garanzie partecipative di cui agli artt.7 e 10-bis della legge n.241 del 1990, considerato che l’effetto istantaneo dell’ammonimento comporta necessariamente l’impossibilità della revoca e, quindi, il non accoglimento della richiesta di cui è causa. La fattispecie ricade sotto l’egida dell’art.21-octies, comma 2, primo periodo, della legge n.241 del 1990, perché l’Autorità di pubblica sicurezza non dispone di alcun margine di discrezionalità, con la conseguenza che l’eventuale partecipazione dell’appellante al procedimento, con memorie ulteriori rispetto all’istanza iniziale, non avrebbe spiegato alcuna influenza sul contenuto dell’atto.
Di conseguenza, vizi quali l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento e del preavviso di rigetto, sono insuscettibili di determinare l’annullamento del provvedimento impugnato, non essendo ipotizzabile una decisione diversa rispetto a quella in concreto adottata (precisandosi che, nella specie, non opera l’art.21-octies, comma 2, ultimo periodo, il quale esclude la sanabilità della violazione dell’art.10-bis per i soli provvedimenti discrezionali: in argomento cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 15 settembre 2022, n. 7993; Cons. St., sez. III, 10 giugno 2022, n. 4750; Cons. St., sez. III, 15 febbraio 2022, n. 1123; Cons. St., sez. II, 20 dicembre 2019, n. 8638; Cons. St., sez. IV, 28 marzo 2019, n. 2052; Cons. St., sez. IV, 12 giugno 2017, n. 2855).
b) gli argomenti a favore della revocabilità dell’ammonimento
Ai sensi dell’art.21 quinquies della legge n.241 del 1990 la misura potrebbe essere revocata con effetti ex tunc qualora l’Amministrazione accerti che il prevenuto abbia cessato la condotta idonea ad ingenerare pericolo per la vittima e, quindi, sia venuta meno la necessità di mantenere l’efficacia dell’atto ammonitorio (cfr. TRGA Trentino-Alto Adige, 1 marzo 2021, n.28).
Il disposto dell’art.21 quinquies della legge n.241 del 1990 prevede per ogni provvedimento la possibilità di revoca tra l’altro in caso di mutamento della situazione di fatto: occorre tuttavia che il lasso di tempo trascorso dalla data dell’ammonimento sino a quello della richiesta di revoca sia sufficiente per consentire un’esauriente e completa valutazione circa il concreto cambiamento dell’ammonito, non potendosi escludere in alcun modo eventuali riprovevoli atti di recidiva. Se si ritiene dunque che il lasso temporale per poter pienamente valutare il reale ravvedimento dell’ammonito sia ancora troppo breve, tanto da impedire, al momento, ogni ragionevole valutazione circa una reale mutazione delle condizioni di fatto, si ha il rigetto dell’istanza di revoca, con riserva di riesaminare e valutare la situazione una volta trascorso un più ampio e significativo lasso di tempo.
Naturalmente può risultare opportuno, in istruttoria, coinvolgere la parte offesa per verificare se effettivamente ricorrano le condizioni per la revoca e magari acquisire una sorta di ‘parere favorevole’ in tal senso, beninteso a condizione che il soggetto non si sia ulteriormente evidenziato o siano intervenuti fatti e circostanze degne di rilievo (es. a distanza di tempo i due si sono addirittura sposati, hanno avuto figli e sia tangibile una raggiunta serenità di coppia).
Si dovrebbe procedere, in altri termini, con un preavviso di revoca notificato al richiedente l’ammonimento, cui farà seguito la revoca vera e propria, notificata ad entrambi i soggetti.
Contro il diniego di revoca dell’ammonimento e contro l’ammonimento medesimo il ricorrente può chiedere al TAR l’annullamento degli atti impugnati, riservandosi di agire separatamente per il ristoro dei danni subiti e proponendo incidentalmente, ai sensi dell’art. 55 cod. proc. amm., istanza di sospensione dei provvedimenti impugnati.
In questi casi appare palese l’irricevibilità del ricorso, nella parte attinente l’originario ammonimento poiché tardivo.
Ove tuttavia si entri nel merito della valutazione e si ritenga di rigettare la richiesta per la sola esiguità del tempo trascorso, l’Amministrazione può risultare soccombente qualora non abbia anche valutato il reale mutamento della situazione fattuale.
La giurisprudenza formatasi in materia di annullamento dell’ammonimento ex art. 8 D.L. n.11 del 2009 evidenzia che lo stesso è legittimamente emesso solo in costanza di una condotta persecutoria concreta e attuale del soggetto. Ne fa conseguire che, in caso di cessazione di detta condotta, ove dimostrata dalla dichiarazione della stessa vittima come da testimonianze di terzi, il provvedimento deve essere revocato ai sensi dell’art.21 quinquies della legge n.241 del 1990, per essere venuti meno i suoi presupposti.
In particolare, la revoca ai sensi della citata normativa costituirebbe istituto di portata generale riferibile a ogni tipo di provvedimento amministrativo, dunque anche all’ammonimento.
Il giudizio sulla mancata prova del concreto mutamento della condotta persecutoria, fondato unicamente sull’estrema esiguità del tempo trascorso, scivolerebbe in una mera presunzione contraddetta dai fatti, concreti e percepibili, addotti dal ricorrente a sostegno dell’istanza di revoca, particolarmente significativi, poiché provenienti, almeno in parte, dalla vittima stessa.
In siffatte circostanze è stata ritenuta non ammissibile una difesa della Questura basata su un proprio presunto errore, diverso da quello fatto valere dal ricorrente, rilevato all’unico fine di paralizzare il ricorso da quest’ultimo proposto, utilizzando l’illegittimità in cui è o sarebbe incorsa nell’emanare il provvedimento gravato, per conseguire uno scopo diverso rispetto a quello per cui all’Amministrazione, per perseguire l’autotutela nel pubblico interesse, è attribuito il potere di rilevare e rimuovere gli errori in cui è incorsa. “È evidente, nella difesa dell’Amministrazione, l’utilizzo di una propria illegittimità, non per porvi spontaneamente rimedio, ma per ostacolare, sul piano processuale, la difesa avversaria”.
“Si tratta all’evidenza di un comportamento che integra la violazione del divieto di venire contra factum proprium, divieto che s’inscrive nella più ampia figura dell’abuso del diritto derivato dall’operatività, nell’ordinamento giuridico, di un generale principio di condizionamento del diritto alla sua concreta socialità, cui consegue la valutazione di abusività dell’esercizio dello stesso per finalità che appaiono contrarie, o estranee, rispetto a quelle per le quali la posizione di vantaggio viene riconosciuta al titolare. È di palmare evidenza, infatti, che la Questura si avvale di un proprio presunto errore – nella specie l’aver ritenuto ammissibile la revoca dell’ammonimento – rilevato appena in sede giurisdizionale, esclusivamente per ragioni di opportunità difensiva riferite alla sua posizione processuale, per derivare da tale errore l’inammissibilità del ricorso, eludendo, a scapito dell’interessato, i confini tematici da essa stessa tracciati in sede di procedimento amministrativo, in cui la questione della revocabilità dell’ammonimento veniva data per positivamente risolta. Non potendosi dunque tenere in conto alcuno la questione della (ir)revocabilità dell’ammonimento prospettata dalla Questura, in quanto da essa già positivamente risolta in sede di procedimento amministrativo, non resta che ricondurre il vaglio del provvedimento all’esame, di cui va rilevata la discrezionalità tecnica riguardo alla valutazione dei suoi presupposti, nell’alveo del giudizio sulla non manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione addotta a suo sostegno, precisandosi, ancora una volta, che la giurisprudenza citata dall’Amministrazione resistente con riferimento ai presupposti per l’emissione dell’ammonimento non viene in rilievo, trattandosi qui della diversa questione dell’apprezzamento dei fatti a comprova del venir meno di quei presupposti.
Invero, mentre i fatti che documentano il mutamento, anzi la cessazione, della condotta persecutoria, a partire da un momento addirittura anteriore all’emissione dell’ammonimento, paiono connotati – non da ultimo per la loro provenienza, almeno in parte, dalla stessa vittima – da un apprezzabile grado di certezza, concretezza e attualità, tali da determinare, simmetricamente, il venir meno dell’attualità della condotta persecutoria precedentemente tenuta dall’ammonito, e dunque dei presupposti che giustificano l’ammonimento, il semplice riferimento all’esiguità del tempo trascorso come elemento idoneo a erodere, fino a farlo scomparire, lo spessore di detti fatti, pare largamente ed ictu oculi insufficiente. Ciò a maggior ragione ove considerato che il tempo trascorso dall’ultimo atto persecutorio documentato corrisponde a circa 6 mesi, ossia a un tempo che, in assenza di altri elementi di giudizio a suo corredo, appare tutt’altro che evidentemente esiguo e che peraltro corrisponde all’entità del tempo in cui ebbero luogo le condotte persecutorie, documentando così la corrispondenza dei periodi, quello in cui avvennero i comportamenti censurabili, e quello scevro da essi, e dunque, in ultima analisi il lasso temporale, per così dire, di assestamento psicologico del soggetto, dal quale è ragionevole trarre il giudizio prognostico del venir meno, in capo al medesimo, dell’intento persecutorio.
Conseguentemente è manifestamente illogica la motivazione del diniego di revoca, poiché non rende ragione dell’ingiustificato maggior peso riconosciuto alla mera entità del tempo trascorso, la quale appare tutt’altro che prima facie esigua, a fronte dei fatti concreti e attuali, idoneamente documentati, addotti dal ricorrente in sede d’istanza di revoca.
La valutazione delle circostanze operate dalla PA in sede di procedimento di revoca non si sottrae dunque alla censura di manifesta irragionevolezza, illogicità e apriorismo con conseguente accoglimento, in conclusione, del ricorso proposto” (TAR Bolzano, 26 agosto 2015 n.262).
Conclusioni
Riassumendo:
1) l’Amministrazione ha validi argomenti per non accogliere l’istanza di revoca dell’ammonimento in forza della natura monitoria del provvedimento;
2) se tuttavia il diniego viene motivato esclusivamente sull’esiguità del tempo trascorso, l’Amministrazione può risultare soccombente ove non abbia anche valutato il reale mutamento della situazione fattuale.