IN POCHE PAROLE…

La facoltà del prefetto di vietare la detenzione delle armi  è una misura cautelare, applicabile, a tutela dell’incolumità pubblica e privata, anche senza la necessità di accertare  che ci sia un effettivo abuso, .

 


Tar Sardegna, sez.I, sentenza 21.1.2022 n.47,   Pres . Dante D’Alessio, Est. Gabriele Serra

Il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni, e materie esplodenti alle persone ritenute capaci di abusarne, disponendone la consegna per la custodia.

Il provvedimento non ha natura sanzionatoria o punitiva, ma costituisce una misura cautelare, finalizzata a prevenire abusi nell’uso delle armi a tutela dell’incolumità privata e pubblica.

Numerose pronunce di merito hanno evidenziato che ai fini dell’adozione del divieto non è necessario che sia accertato un effettivo abuso delle armi, essendo sufficiente la sussistenza di circostanze che dimostrino come l’interessato non sia del tutto affidabile quanto all’uso delle armi stesse.

Si tratta, quindi, di un potere caratterizzato da una discrezionalità ad ampio spettro: l’esercizio di tale potere culmina nell’espressione di un giudizio probabilistico ed ex ante sulla idoneità o meno del detentore a relazionarsi correttamente con le armi, fondato sul prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti emerse nella fattispecie concreta all’esame (TAR Calabria, sez. Reggio Calabria 24 agosto 2019; Cons. Stato, sez.III, 10 ottobre 2014 n.5039).

In questo senso, le circostanze suscettibili di rilievo si identificano nelle situazioni e nelle condizioni che riguardano la persona del detentore, anche con riguardo all’ambiente familiare e sociale in cui si esplica la sua vita di relazione.

Tra gli indicatori principali per l’adozione del divieto spiccano le situazioni di grave conflittualità che contrappongono il detentore ad altri soggetti, desumibili da denunce-querele per condotte violente o di minaccia, anche quando segue una remissione di querela (cfr. Cons. Stato, sentenze n.664 del 2019 e n.433 del 2020).

Queste situazioni ricorrono spesso in ambiti di vicinato, tali da non rendere inverosimile il rischio di episodi di violenza o di reazione impulsiva e imponderata. Il riferimento dei giudici al principio di massima cautela, che prevede l’attribuzione della prevalenza all’interesse ad evitare pericoli per l’incolumità all’interesse del privato a detenere armi, emerge anche dal fatto che nel nostro ordinamento “non è certamente sussistente un diritto di detenere armi”.

In diritto, vale richiamare il principio, ribadito nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, per cui “ai sensi dell’art.39 TULPS, è ragionevole, e comunque insindacabile in sede di giurisdizione di legittimità, la scelta dell’Amministrazione di prevenire che determinate  situazioni  possano  degenerare, vietando la detenzione di armi e munizioni a chi ha formulato minacce nel corso di litigi, anche se in assenza di un contestuale uso di armi (Cons.  Stato,  sez.III,  n.3693  del 2016)  ed  anche  se  ciò  è  avvenuto  fra  congiunti (Cons.  Stato,  sez.III,  n.3515  del  2016);  in  altri  termini,  in  relazione  ad  una situazione familiare caratterizzata da tensioni e litigi, è ragionevole – e comunque insindacabile nella sede della giurisdizione di legittimità – la scelta  dell’Amministrazione di prevenire che la situazione possa degenerare, vietando la  detenzione di armi  e  munizioni  nei  confronti di chi risultava comunque coinvolto in  tali tensioni  familiari  (Cons. Stato, sez.III, 18  marzo  2019,  n.1790; Cons. Stato,  sez.III, 24 aprile 2020, n.2614), dovendosi peraltro ricordare che il giudizio  prognostico a fondamento del diniego di uso delle armi viene considerato più stringente del  giudizio  di pericolosità  sociale o di responsabilità  penale, atteso che il divieto può essere  adottato anche in base a situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza (Cons. Stato, Sez. III, 7 gennaio 2020, n.65).

Ciò posto, si ravvisa la possibilità di argomentare e motivare l’adozione del divieto di detenzione armi anche nel caso di archiviazione di un procedimento penale nel quale sia stata tuttavia accertata una lite con minacce gravi (es. “ci vediamo tra  cinque minuti…che  ti  faccio  saltare  il  cervello  dalla  testa…” come risultante dalla comunicazione di notizia di reato della Forza di Polizia intervenuta).

Nella vicenda definita dal Tar della Sardegna, sez.I, con sentenza n.47 del 2022,  pubblicata il 21 gennaio 2022, dalla stessa richiesta di archiviazione emerge una situazione di conflittualità affatto esclusa dalla sussistenza di “evidenti ragioni di livore  (…) In tal clima è verosimile che ogni occasione di incontro tra le rispettive famiglie  sia motivo di litigio; tuttavia è difficile comprendere quale parte si trovi a soccombere  dinanzi a tali litigi o, invece, presumere che ciascuna parte, proprio perché bisognosa  di  sostenere le proprie ragioni, diventi petulante e verosimilmente molesta in tali  occasioni  (…)”.

In altri termini, pur non ravvisandosi elementi idonei a sostenere l’accusa nel  giudizio penale, può risultare sufficientemente motivato, come nel caso di specie e in  relazione alla natura discrezionale del potere ex art.39 Tulps, il provvedimento di divieto di detenzione armi, a fronte di una situazione di forte conflittualità familiare, nell’ambito della quale non risulta smentito il ruolo del  ricorrente.

Perciò, richiamato il principio di diritto sopra citato per cui le situazioni familiari connotate da tensioni o litigi possano giustificare l’adozione del provvedimento  prefettizio di divieto di detenzione di armi, le circostanze fattuali descritte  nella  stessa  richiesta di archiviazione penale appaiono idonee a giustificare il provvedimento impugnato.

Dunque, è proprio dalla stessa archiviazione disposta  in  sede  penale, valorizzata  dal ricorrente a sostegno  del  ricorso, anche sotto il profilo del difetto di  motivazione  e  istruttoria, che emergono invece pienamente i presupposti per l’adozione del provvedimento di divieto di detenzione di armi.

Il provvedimento esprime un potere ampiamente discrezionale, che deriva, sotto un primo profilo,  dall’assenza, nel nostro ordinamento, di posizioni di diritto soggettivo  con riguardo alla detenzione e al porto d’armi, costituendo tali situazioni delle eccezioni al generale divieto di cui all’art.699 c.p. e all’art.4 co.1 della legge 18  aprile 1975 n.110; sotto altro profilo, dalla circostanza che, ai sensi degli artt.11, 39 e 43 T.U.L.P.S., il compito dell’Autorità di P.S. non è sanzionatorio o punitivo, ma rivesta natura cautelare consistente nel prevenire abusi nell’uso delle armi, a tutela della privata e pubblica incolumità, sicché ai fini della revoca dell’autorizzazione e del divieto di detenzione di armi e munizioni, non è necessario un obiettivo ed accertato abuso delle armi, ma è sufficiente (ex  multis  T .A.R.  Umbria, sez.I 30 luglio 2019, n.425) la sussistenza di circostanze che dimostrino come il soggetto non sia del tutto affidabile al loro uso.


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