IN POCHE PAROLE …
In un solo decreto – legge misure urgenti diverse: divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti che non collaborano con la giustizia; rinvio al 30 dicembre prossimo dell’applicazione della riforma penale Cartabia; obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 ; prevenzione e contrasto dei raduni illegali.
Il decreto – legge 31 ottobre 2022 n.162 reca “misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n.150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali”
L’art.1 del provvedimento introduce modifiche alla disciplina prevista dall’art.4 bis della legge 26 luglio 1975 n.354, dichiaratamente “in ragione dei moniti rivolti dalla Corte costituzionale al legislatore per l’adozione di una nuova regolamentazione dell’istituto al fine di ricondurlo a conformità con la Costituzione e dell’imminenza della data dell’8 novembre 2022, fissata dalla Corte costituzionale per adottare la propria decisione in assenza di un intervento del legislatore”.
La questione, oggetto dell’ordinanza n.97 del 2021 della Corte costituzionale, riguarda i benefìci penitenziari da concedere ai detenuti per gravi reati che non collaborino con la giustizia.
In primo luogo viene ampliato il ventaglio dei reati che ostano ai fini della concessione dei benefici penitenziari, risultandovi inclusi quelli che sono stati commessi per occultare i reati di cui all’art.4 bis co.1 primo periodo della legge n.354 del 1975, ovvero abbiano procurato al condannato o ad altri il prodotto o il prezzo ovvero l’impunità di detti reati.
La ratio è evidentemente quella di precludere l’accesso alle misure premiali ai soggetti che possano avere ancora collegamenti con contesto criminale di provenienza e comunque di prevedere, per i soggetti che abbiano dimostrato buona condotta carceraria ed effettiva partecipazione al trattamento rieducativo, la necessità di adempiere alle obbligazioni civili agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna, fatta salva l’assoluta impossibilità di tale adempimento.
Agli interessati è rimesso l’onere di allegare “elementi specifici (…) che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile”.
Al fine della concessione dei benefici, il giudice deve altresì accertare “la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa”.
Le persone condannate per i delitti di cui ai commi 1, 1-ter e 1-quater dell’art.4-bis della legge 26 luglio 1975 n.354, non possono essere ammesse alla liberazione condizionale se non hanno scontato almeno due terzi della pena temporanea o almeno trenta anni di pena, quando vi è stata condanna all’ergastolo per taluno dei delitti indicati nel co.1 dell’art.4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354.
In tal caso, la pena dell’ergastolo rimane estinta e le misure di sicurezza personali ordinate dal giudice con la sentenza di condanna o con provvedimento successivo sono revocate decorsi dieci anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale e la libertà vigilata, disposta ai sensi dell’art.230 co.1 n.2 c.p. comporta sempre per il condannato il divieto di incontrare o mantenere comunque contatti con soggetti condannati per i reati di cui all’art.51 co.3-bis e 3-quater c.p.p. o sottoposti a misura di prevenzione ai sensi delle lettere a), b), d), e), f) e g) dell’art.4 co.1 del d.lgs. 6 settembre 2011 n.159, o condannati per alcuno dei reati indicati nelle citate lettere.
All’articolo 3 del decreto legge si prevede una disciplina transitoria per i condannati e gli internati i quali, dell’entrata in vigore del decreto in esame abbiano commesso delitti previsti dall’art.4-bis co.1 della legge n.354 del 1975 “nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendano comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’art.62, n.6, anche se il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall’art.114 o dall’art.116 co.2 c.p.”.
In tali ipotesi, le misure alternative alla detenzione di cui al capo VI del titolo I della legge n.354 del 1975 e la liberazione condizionale possono essere concesse sempre a condizione che siano acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva. Ai condannati alla pena dell’ergastolo, ai fini dell’accesso alla liberazione condizionale, non si applicano le disposizioni di cui all’art.2 co.1 lett.b) del decreto legge in esame.
L’art.4 del decreto stabilisce che la verifica concessa al nucleo di polizia tributaria del Corpo della guardia di finanza, in merito alla posizione fiscale, economica e patrimoniale ai fini dell’accertamento di illeciti valutari e societari e comunque in materia economica e finanziaria, anche allo scopo di verificare l’osservanza della disciplina dei divieti autorizzatori, concessori o abilitativi di cui all’art10 della legge n.575 del 1965, può essere disposta anche nei confronti della persona a carico della quale sia stato adottato il regime carcerario differenziato, fermo restando che copia del decreto con cui è stato disposto siffatto regime è trasmessa, a cura del Ministero della giustizia, al predetto nucleo di polizia economico-finanziaria.
L’art.6 del decreto differisce al 30 dicembre 2022 l’entrata in vigore della c.d. riforma Cartabia sulla giustizia penale.
La norma più controversa del provvedimento è contenuta nell’art.5 del decreto, che introduce il reato di invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.
Art.434-bis – Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.
L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.
Chiunque organizza o promuove l’invasione di cui al primo comma è punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000.
Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita.
È sempre ordinata la confisca ai sensi dell’articolo 240, secondo comma, del codice penale, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma nonché di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalità dell’occupazione».
Particolarmente ampia è l’accezione riconducibile ai “raduni illegali” – così come indicati nel titolo del decreto – ed ai “raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, di cui alla rubrica del nuovo art.434 bis c.p..
Il co.1 definisce l’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica attraverso il riferimento alla condotta ‘arbitraria’ e finalizzata all’organizzazione di un raduno da parte di “più di cinquanta persone” che, invadendo terreni o edifici altrui, pubblici o privati, determinano un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.
Sebbene il provvedimento miri esplicitamente a contrastare i cc.dd. rave party, non può escludersi che raduni organizzati con siffatte modalità e da parte di più di 50 persone, posti in essere con finalità di protesta al di fuori di una scuola o da parte di manifestanti che occupano una fabbrica o attuano forme di picchettaggio anche mediante il blocco delle merci, possano formalmente integrare gli estremi della fattispecie ove si ravvisi la sussistenza di un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.
Una conferma indiretta sembra potersi evincere dalla collocazione della norma nel codice penale subito dopo l’art.434, relativo alla fattispecie di crollo di costruzioni e altri disastri, che si attaglia alle occupazioni vere e proprie di stabili pubblici o privati piuttosto che alle sole ipotesi di invasione di terreni per manifestazioni musicali autogestite.
Analoghe considerazioni discendono dal riferimento a raduni non meglio caratterizzati da una specifica finalità ma – ciononostante – ritenuti potenzialmente idonei a generare pericolo per l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica o la sanità pubblica. Tali connotazioni estendono, di fatto, le ipotesi per le quali è possibile limitare il diritto di riunione, che la Costituzione ravvisa esclusivamente in comprovate ragioni di sicurezza e di incolumità pubblica.
Al di là delle perplessità che normalmente accompagnano l’introduzione di una norma penale, peraltro fortemente connotata sul piano simbolico, attraverso lo strumento del decreto legge, la dottrina ha immediatamente evidenziato l’inopportunità di una misura che è parsa dettata da specifiche contingenze (nel caso concreto, un rave party in atto nella provincia di Modena) e la scelta di una risposta sul piano esclusivamente penale, senza considerarne la portata in termini di extrema ratio ovvero sperimentare soluzioni di tipo amministrativo, già attuate in altri paesi europei.
Analoghe preoccupazioni ha destato la scelta di prevedere, per la “straordinaria necessità ed urgenza di introdurre disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del fenomeno dei raduni dai quali possa derivare un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica incolumità o la salute pubblica”, l’immediata entrata in vigore della norma, ai sensi del co.3 dell’art.434 bis c.p., senza la previsione di garanzia rappresentata dal periodo di tempo che ordinariamente intercorre tra la pubblicazione di una legge sulla Gazzetta Ufficiale e la sua effettiva entrata in vigore per assicurare la conoscibilità del precetto.
Sul piano della strutturazione della fattispecie, che sembra presupporre un’azione contestualmente posta in essere da almeno cinquantuno persone che invadono un terreno o un edificio, va preliminarmente osservato che il modus operandi seguito dagli organizzatori dei cc.dd. rave party non segue modalità di invasione di massa, trattandosi in genere di poche decine di persone che, individuato il luogo ove tenere l’evento, cominciano ad allestirvi impianti musicali ed altro per poi attendere l’arrivo ‘diffuso’ degli altri partecipanti, che possono facilmente raggiungere numeri anche di gran lunga superiori al migliaio di unità.
Così intesa, la norma, sebbene proiettata a contrastare un’ampia gamma di ‘raduni’ potenzialmente idonei a generare un pericolo per l’ordine pubblico, presenta altrettanti potenziali profili di ineffettività e di inapplicabilità.
Ove si intenda considerare, invece, il superamento della soglia di cinquanta unità come discrimine tra l’art.434 bis e l’art.633 c.p., quest’ultimo tradizionalmente configurato per sanzionare le condotte in esame ove compiute al fine di trarne profitto o anche dell’occupazione in sé del terreno o dell’edificio, spicca il rilevante inasprimento della pena prevista.
La sanzione è evidentemente diretta a coloro che assumono il ruolo di organizzatori o promotori e si caratterizza per un notevole rigore (da tre a sei anni) ma, anche in questo caso, le maglie del provvedimento si estendono fino a ricomprendervi i meri partecipanti, sia pure con pene diminuite ma senza che sia predeterminata dal legislatore la misura minima o massima della citata diminuzione.
Parimenti ampia è, di fatto, la ‘forbice’ rispetto alla preesistente fattispecie di cui all’art.633 c.p., la cui pena massima si attesta sostanzialmente nei medesimi termini (tre anni per la fattispecie base, quattro anni “se il fatto è commesso da più di cinque persone o se il fatto è commesso da persona palesemente armata”) della pena minima ora introdotta dall’art.434 bis c.p..
Va altresì considerato, per condotte sostanzialmente coincidenti, il diverso riferimento ad un oggetto di tutela che nel caso dell’art.633 c.p. riguarda “non solo con la proprietà, ma anche il possesso dei terreni e degli edifici”, essendo la norma “diretta a salvaguardare quel rapporto di fatto che viene esercitato sugli immobili sia dal proprietario che da terzi; (…) con il termine ‘altrui’ la norma medesima ha inteso tutelare non solo il diritto di proprietà, ma anche ogni altro rapporto con l’immobile di soggetto diverso dal proprietario, ma interessato allo stesso modo alla libertà e integrità del bene (cfr. Cass. pen. sez.IV, n.1665 del 2007, in Riv. pol. 2007, III, 4479), mentre per l’art.434 bis c.p., attesa la sua collocazione nel codice, sembrerebbe riguardare l’incolumità pubblica e più nello specifico il contrasto a delitti di comune pericolo commessi mediante violenza.
Il provvedimento, nella sua attuale configurazione, consente l’utilizzo delle intercettazioni ex art.266 c.p.p. nei confronti dei possibili sospettati, in ragione del limite edittale massimo, superiore ai cinque anni.
Nei confronti dei soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 434-bis del codice penale è altresì possibile proporre la più grave misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di P.S. per pericolosità ‘qualificata’, eventualmente contornata da obblighi o divieti di soggiorno.
È sempre ordinata la confisca ai sensi dell’art240 co.2 c.p. “delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato”, “nonché di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalità dell’occupazione”.