In caso di annullamento del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale la domanda risarcitoria non può essere accolta se non viene provata la colpa dell’Amministrazione.

Consiglio di Stato, Sezione III – 12 febbraio 2015, n. 748Pres. Lignani, Est. Stelo

Il caso

Un Sindaco rimosso dalla carica per effetto dello scioglimento del consiglio comunale, dopo d’avere ottenuto l’annullamento del relativo decreto, ha promosso azione avanti al giudice amministrativo per chiedere il risarcimento dei danni di natura patrimoniale e morale. Il TAR adito ha respinto la domanda sul rilievo che, pur essendo il provvedimento di scioglimento affetto da nullità, come appunto è stato accertato, non è stato emesso con comportamento colpevole dell’Amministrazione, in quanto assunto a conclusione di una diligente e approfondita attività istruttoria anche se ha condotto a conclusioni non condivisibili sotto il profilo della legittimità. Il soccombente ha proposto appello al Consiglio di Stato.

La sentenza

Il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza di primo grado avendo ritenuto fondato il rilievo secondo cui il comportamento tenuto dall’Amministrazione nell’adozione del provvedimento, sia pure dichiarato illegittimo, è esente da colpa. Viene dunque dato rilievo alla componente soggettiva del comportamento suddetto. Con una annotazione conclusiva, la sentenza annota che, in ogni caso, la domanda era priva di qualsiasi supporto probatorio.

Il commento

Il giudice amministrativo è stato ancora chiamato a decidere su una domanda volta a ottenere il risarcimento dei danni che sarebbero stati prodotti da un provvedimento di scioglimento di un consiglio comunale dichiarato illegittimo. Analoga questione era già stata affrontata dal TAR del Lazio che, con la sentenza della Prima Sezione-Ter 15 luglio 2013, n. 7040, ha statuito che il sindaco illegittimamente rimosso dalla carica ha titolo per chiedere e ottenere il risarcimento dei danni subiti (in questa Rivista, 15 settembre 2013). La domanda era stata accolta essendosi ravvisata nella condotta dell’Amministrazione un comportamento colpevole perché negligente per una istruttoria carente e per travisamento dei fatti.

Condotta colpevole che invece in questa vicenda non è stata ravvisata, il che ha indotto i giudici a respingere la domanda.

L’accoglimento della domanda avrebbe comportato, oltre al risarcimento del danno di natura patrimoniale anche il risarcimento del danno biologico, come si legge nella sentenza della Quinta Sezione del Consiglio di Stato 28 febbraio 2011, n. 1271. Vi è da osservare, in margine, che fra le componenti del danno non patrimoniale ha non poco rilievo nella materia qui considerata, l’incandidabilità ex art. 143, c. 11, del T.U. EE.LL. nei confronti degli amministratori responsabili della condotta che ha dato causa allo scioglimento, come hanno ribadito le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 30 gennaio 2015, n. 1747.

L’interesse per questa sentenza non sta dunque nel riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti da un sindaco che sia stato illegittimamente rimosso dalla carica, ma nella rilevanza della colpa nel comportamento, lesivo della amministrazione procedente. Con la sentenza qui in commento la colpa viene esclusa, e per questo la decisione appare semplice nella sua enunciazione e nei motivi a supporto, ma non rimuove alcune perplessità che ancora permangono su questo tema.
La discussione, attiva da qualche tempo sulla risarcibilità da lesione di interessi per effetto di provvedimenti amministrativi, venne chiusa dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 500 del 1999, secondo la quale ogni atto o comportamento da qualsiasi soggetto promani, è produttivo di risarcimento se il danno patito è ingiusto, secondo la formula dell’articolo 2043 del codice civile. Con questa sentenza si stabilisce il principio secondo cui il danno è ingiusto, e quindi risarcibile, se il comportamento dell’agente è doloso o colposo.

Appare invero curioso che si parli di colpa in capo alla pubblica amministrazione. L’elemento della colpa può infatti essere riferito alle persone per quanto riguarda la produzione di atti e comportamenti, e non agli enti che pur se dotati di personalità giuridica e dai quali promanano manifestazioni di volontà, non sono persone fisiche con tutte le componenti d’ordine psicologico che attengono ad esse. La componente della colpa dovrebbe dunque essere ravvisata nel comportamento dell’agente. Se l’atto o il provvedimento sono illegittimi, e da questi deriva danno, il dato che emerge è puramente oggettivo. L’indagine sulla colpa, e tanto più sul dolo, dovrebbe essere pertanto spostata sul funzionario, o sui componenti degli organi che hanno deliberato, e dai quali il provvedimento illegittimo deriva. Si dovrebbe pertanto sostenere che l’amministrazione ne risponde in ogni caso, e che l’elemento soggettivo è rilevante solo per la proposizione dell’azione di regresso. Vi è al riguardo la previsione dell’articolo 28 della Costituzione secondo il quale la responsabilità della pubblica amministrazione è sussidiaria rispetto a quella dei funzionari.

Occorre però rilevare che sono considerazioni che non trovano ingresso neppure in un dibattito, in quanto l’orientamento giurisprudenziale è stabile sull’affermazione secondo cui è l’amministrazione il soggetto di riferimento.

Giova allora rifarsi alla copiosa giurisprudenza che si è formata con il richiamo alla sentenza della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, 13 febbraio 2008, n. 775, secondo cui il danneggiato può limitarsi a rappresentare la sola illegittimità del provvedimento lesivo, ponendo in capo all’amministrazione l’onere di dimostrare l’assenza di colpa per essere incorsa in errore scusabile derivato, a titolo semplificativo da carente o contraddittoria produzione normativa, o per contrasti giurisprudenziali (su questa problematica si vedano anche le sentenze 3 dicembre 2008 n. 13, dell’Adunanza Plenaria, e quelle della Quinta Sezione 2 marzo 2009, n. 1162, e 12 giugno 2009, n. 3727).

Di contrario avviso rispetto alla ripartizione dell’onere probatorio è la IV Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza del 24 dicembre 2008, secondo la quale la colpa non è presunta ma deve essere puntualmente accertata. Tale accertamento deve muovere dalla valutazione del comportamento complessivo degli organi che sono intervenuti nel procedimento, dal quadro incerto delle norme di riferimento, dalla presenza di interpretazioni controverse, ed anche se vi sia stata violazione delle comuni regole di buona amministrazione, di correttezza, di imparzialità, e di buon andamento (aspetti che hanno costituito criteri di valutazione nella assunzione della decisione in commento).

A questo punto occorre tuttavia dare atto che è intervenuto il legislatore con la legge 18 giugno 2009, n. 69, di aggiornamento e integrazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, sul procedimento amministrativo. Ne è derivato l’articolo 2-bis secondo il quale il risarcimento del danno è dovuto quando sia stato cagionato in conseguenza di inosservanza dolosa o colposa della legge. E’ ben vero che si tratta di una disposizione in tema di diniego o ritardo nella emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento, ma è evidente che anche il legislatore attribuisce rilievo alla valutazione della colpa in capo all’amministrazione quale presupposto dell’azione risarcitoria.

Il dibattito, almeno per quanto riguarda il risarcimento dei danni provocati da provvedimenti che incidono sulle funzioni elettive, potrebbe essere superfluo se si considerasse che si tratta della lesione di un diritto, lo ius ad officia, che ha fonte nell’articolo 51 della Costituzione e nelle leggi che trattano dell’elettorato passivo. Non avrebbe dunque più senso discutere sui presupposti dell’azione risarcitoria per lesioni di interessi, quando la lesione dei diritti trova la tutela piena nell’articolo 2043 del codice civile. Non avrebbe al riguardo rilievo la devoluzione di queste controversie al giudice amministrativo, giacché anche a questo giudice è attribuita competenza a giudicare sui diritti, come nei casi nei quali gli è attribuita giurisdizione esclusiva.

Si può a questo punto osservare che l’orientamento giurisprudenziale finisce con l’introdurre una soglia di immunità a favore dell’amministrazione. Sarebbe più semplice e conforme a criteri di imparzialità, e a esigenza di tutela piena dei diritti dei cittadini, oltre che di buon andamento, tenere distinti i due piani nella previsione del ricordato articolo 28 della Costituzione: l’amministrazione sia sempre tenuta a risarcire i danni che propri atti o provvedimenti hanno causato. Quanto alla colpa, che attiene all’agire degli organi o dei funzionari, il suo accertamento è rilevante ai fini dell’azione di regresso.

Potrebbe essere questa la via per una maggiore ed efficace tutela dei diritti dei cittadini.


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