Sussiste il diritto del proprietario di un appartamento, oggetto nel corso degli anni, di interventi di manutenzione, in relazione ai quali risulta che il Comune ha avviato un procedimento finalizzato alla verifica di presunti abusi edilizi, di accedere agli attidel procedimento avviato dall’Amministrazione comunale. Non ogni denuncia di reato presentata dalla P.A. all’Autorità Giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e, come tale, sottratta all’accesso, in quanto se la denuncia è presentata dalla P.A. nell’esercizio delle sue istituzionali funzioni amministrative non si ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 329 del c.p.p.; tuttavia se la P.A., che trasmette all’Autorità Giudiziaria una notizia di reato non lo fa nell’esercizio dell’istituzionale attività amministrativa, ma nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuite dall’ordinamento, si è in presenza di atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria che, come tali, sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell’art. 329 c.p.p. e sono conseguentemente sottratti all’accesso ai sensi dell’art. 24 della L n. 241 del 1990.
Consiglio di Stato, sez. VI^, 29 gennaio 2013, n° 547, Pres. Maruotti, Est. Contessa [ConsSt.547]
Il caso
Gli Agenti del Corpo di Polizia municipale del Comune di Napoli si erano recati presso l’appartamento di un Cittadino per verificare la liceità di alcuni manufatti esistenti e dei lavori che li avevano riguardati. Erano stati compiuti sopralluoghi con accertamenti sia concernenti i terrazzi che la copertura di due unità abitative e rispetto a questi accertamenti il proprietario aveva formulata richiesta di accesso agli atti al Comune, che l’aveva negata. Il Cittadino si era rivolto al T.A.R. Campania che aveva respinto il ricorso, in parte dichiarandolo inammissibile ed in parte ritenendolo infondato. Avverso tale pronuncia l’interesato si è rivolto al Consiglio di Stato, il quale ha parzialmente riformato la sentenza ritenendo che l’appello fosse, sotto determinati profili, fondato.
La sentenza
Il punto fondamentale della motivazione dei Giudici d’appello è quello secondo cui non ogni denuncia di reato edilizio presentata dalla P.A. all’Autorità Giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale, e come tale sottratta all’accesso. I Giudici di Palazzo Spada hanno sostenuto che se la denuncia è presentata dall’Amministrazione nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali in campo edilizio ed urbanistico non si ricade nell’ambito degli atti sottratti all’accesso in applicazione dell’art. 329 del Codice di Procedura Penale (che vieta la pubblicazione e la notizia degli atti di indagine). Se, invece, la P.A. trasmette all’Autorità Giudiziaria una notizia di reato nell’esercizio delle proprie funzioni di polizia giudiziaria, allora questo ricade nel segreto istruttorio e, quindi, nel divieto di ostensione.
Questo principio affermato dal Consiglio di Stato riprende un orientamento giurisprudenziale che, negli anni scorsi, ha affrontata la tematica con esiti talune volte diversi: alcune pronunce hanno ritenuto che, nel momento in cui la fattispecie asseritamente abusiva sul piano edilizio, transita nell’orbita della Autorità Giudiziaria penale, per effetto della segnalazione da parte del Comune, si entra automaticamente sotto l’ambito di operativitàdel segreto istruttorio e della non ostensibilità.
Commento
A riguardo dei difformi orientamenti va segnalata la giurisprudenza riassunta puntualmente nella sentenza T.A.R. Friuli Venezia Giulia n° 349 del 14 luglio 2011, ove si legge “non ignora il Tribunale che una parte della giurisprudenza ritiene che quando l’esposto di un terzo abbia avuto l’unica funzione di stimolare l’attivazione di poteri di indagine o repressivi propri della P.A., che la stessa ha in seguito normalmente esercitato, venga a mancare, in capo al soggetto sanzionato, l’interesse a conoscere datto atto di impulso.Tuttavia altra giurisprudenza, cui il Collegio aderisce (cfr., ad esempio: TAR Campania – Napoli n. 14859/10 e Lombardia – Brescia n. 1469/08; nonché C.S. n. 2511/08; n. 5569/07; e n. 3601/07), ritiene che ragioni di trasparenza (“.. nell’ordinamento delineato dalla legge n. 241/1990, ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica democratica, ogni soggetto deve poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l’avvio di un procedimento ispettivo o sanzionatorio, non potendo la P.A. procedente opporre all’interessato esigenze di riservatezza”) facciano propendere per la soluzione opposta, cioè per l’accessibilità da parte dell’interessato anche a tale documento, in quanto “la denuncia e l’esposto… non possono essere considerati un fatto circoscritto al solo autore, all’Amministrazione competente al suo esame e all’apertura dell’eventuale procedimento, ma riguardano direttamente anche i soggetti “denunciati”, i quali ne risultano comunque incisi”.3.2.1. – Né vale a legittimare il diniego di accesso all’esposto presentato dal vicino, l’eventuale sussistenza di indagini penali in relazione a fatti oggetto anche di indagine amministrativa, sia perché (come appurato in Camera di Consiglio) il Comune detiene comunque copia della documentazione di cui trattasi (che non è stata oggetto di sequestro); sia perché (come stabilito da TAR Puglia – Bari n. 2565/08) la richiesta di accesso anche ad atti oggetto di indagine penale (dei quali peraltro il Collegio non ritiene possa far parte l’esposto del privato, proprio perché ha solo dato impulso ad indagini autonomamente effettuate dalla P.A., unicamente all’esito delle quali si è ritenuta la possibile sussistenza di un illecito penalmente rilevante) può in ogni caso essere assentita, eventualmente, e ove di ragione, previa autorizzazione della competente Procura della Repubblica che deve esserne richiesta, senza indugio, dall’Amministrazione stessa.Questa parte della domanda va quindi accolta con conseguente dichiarazione dell’obbligo del Comune di consentire l’accesso all’esposto presentato dal vicino”.
Questa pronuncia ha fatto proprio l’indirizzo giurisprudenziale che afferma – condivisibilmente, a mio avviso – la prevalenza del diritto all’ostensione e quindi alla conoscenza degli atti del procedimento amministrativo da parte degli interessati -ed in particolar modo del Soggetto cui viene contestato l’abuso- a fini di difesa e di preparazione delle controdeduzioni.
E’ da ribadire, infatti, che il diritto di accesso agli atti amministrativi – soprattutto se motivato dalla necessità di tutelare le proprie posizioni soggettive ed ancor più in presenza di provvedimenti cautelari (sospensione lavori e simili) prodromici a quelli sanzionatori – prevale su ogni contraria esigenza di segretezza degli atti, proprio perché volto ad assicurare l’effettività di diritti di difesa e di azione in giudizio- costituzionalmente garantiti (si veda, al riguardo, la Giurisprudenza consolidata formatasi in ordine al disposto dell’art. 13, commi 6 e 5, D. Lgs. n° 163/2006, con enunciazione di principi di valore generale; tra le tante, T.A.R. Veneto, Sez. I^, sentenza n° 755/2010 ed ivi altre conformi citate).
Con riferimento alla fattispecie specifica di accesso relativamente a documenti che possono costituire corredo di indagine penale in corso è stato, infatti, affermato: “non può ritenersi che ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all’Autorità Giudiziaria costituisca atto coperto da segreto istruttorio penale che è, in quanto tale, sottratto all’accesso; qualora, infatti, la denuncia sia stata presentata dalla pubblica amministrazione nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, l’atto richiesto in ostensione non ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 329 Cod. Proc. Pen.” (Cons. Stato, Sez. VI^, 9 dicembre 2008, n° 6117; nello stesso senso T.A.R. Emilia Romagna – Bologna, Sez. II^, 18 febbraio 2011, n° 144); “la circostanza dell’avvenuta trasmissione degli atti, oggetto della domanda di accesso, al vaglio della magistratura penale, peraltro senza un provvedimento di sequestro, non giustifica il rifiuto o il differimento dell’accesso, né comporta uno specifico obbligo di segretezza che escluda o limiti la facoltà per i soggetti interessati di prendere conoscenza degli atti, anche alla luce della previsione dell’art. 258 c.p.p..” (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. I^, 23 febbraio 1995, n° 38; T.A.R. Puglia – Bari, Sez. I^, 18 febbraio 2011, n° 287); “il segreto istruttorio di cui all’art. 329 c.p.p. non costituisce un motivo legittimo di diniego all’accesso dei documenti fintanto che gli stessi siano nella disponibilità dell’Amministrazione ed il Giudice che conduce l’indagine penale non li abbia acquisiti con uno specifico provvedimento di sequestro” (Cons. Stato, Sez. IV^, 28 ottobre 1996, n° 1170); “la parte ha diritto di accedere al verbale dei Vigili Urbani ancorché esso sia stato trasmesso al Giudice Penale ed alle denunce scritte sulla scorta delle quali sono stati disposti sopralluoghi” (T.A.R. Puglia – Bari, Sez. I^, 14 novembre 2002; T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III^ bis., 21 luglio 2004 relativamente all’illegittimità di un provvedimento interdittivo del diritto di accesso in considerazione della pendenza di un’inchiesta della Magistratura penale a carico dell’interessato).
Il cennato contrasto giurisprudenziale, invero, ha avuto origine nel fatto che il Testo Unico dell’Edilizia reca una norma che si presta ad interpretazioni differenziate circa il ruolo amministrativo o il ruolo di polizia giudiziaria svolto dagli Organi comunali nella circostanza dell’abuso edilizio. Stiamo parlando dell’art. 27, comma quarto, del Testo Unico il quale, sotto la rubrica “vigilanza sull’attività edilizia urbanistico-edilizia”, dispone “gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, ove nei luoghi in cui vengono realizzate le opere non sia esibito il permesso di costruire, ovvero non sia apposto il prescritto cartello, ovvero in tutti gli altri casi di presunta violazione urbanistico-edilizia, ne danno immediata comunicazione all’autorità giudiziaria, al competente organo regionale e al dirigente del competente ufficio comunale, il quale verifica entro trenta giorni la regolarità delle opere e dispone gli atti conseguenti”.Una norma del genere può far pensare che, in ogni caso, l’attività dell’Ente pubblico di segnalazione all’Autorità Giudiziaria delle presunte violazioni urbanistico-edilizie sia attratta al segreto di indagine penale e, quindi, automaticamente fuoriesca dalla fattispecie amministrativa.
In realtà le cose non stanno in questo modo e se si desse seguito ad una simile lettura sarebbe sufficiente la semplice comunicazione all’Autorità Giudiziaria da parte del Comune per impedire l’accesso ai Soggetti interessati dalla vicenda abusiva. Lagiurisprudenza con talune sue sentenze ha avvallato questanon condivisibile tesi. Vi è una sentenza del T.A.R. Sicilia – Catania, Sez. I^, 20 settembre 2012, n° 2220 che ha ritenuto legittimo il diniego, da parte del Corpo di Polizia Municipale di un certo Comune,alla domanda di accesso formulata dal presunto autore dell’abuso edilizio concernente gli esiti del sopralluogo espletato nel suo immobile a seguito di segnalazione di abuso fatta da terzi. In quel caso il Comune negò l’accesso, proprio in base alla tesi della pertinenza all’attività giudiziaria penale degli esiti del sopralluogo, ed il T.A.R. Catania ritenne legittimo il diniego equiparando, quindi, gli esiti di una verifica in loco all’attività di Polizia giudiziaria espletata in sede di indagine delegata dall’Autorità Giudiziaria penale.
Questo indirizzo, però, determina un’inaccettabile restrizione del diritto di accesso e, quindi, una forte compromissione delle possibilità di difesa e di controdeduzione del privato, non tanto in sede penale -dove vi sono le garanzie procedimentali, una volta concluse le indagini preliminari, di prendere visione degli atti, di formulare memorie, di chiedere audizioni o interrogatori- ma in sede amministrativa, laddove il privato, o comunque il Soggetto interessato dal presunto abuso, ha il diritto di poter controdedurre, di poter argomentare in senso diverso e contrario rispetto a quello ritenuto dall’Amministrazione, o da chi ha fatto l’esposto contro di lui.
Ebbene, se tutta l’attività accertativa della pubblica amministrazione fosse ritenuta compresa all’interno del segreto istruttorio penale, quel Soggetto si vedrebbe privato della concreta possibilità di difesa.
E’, dunque, fondamentale distinguere l’attività amministrativa per la quale l’accesso è consentito, dall’attività prettamente giudiziaria penale per la quale vige il segreto istruttorio. La sentenza del Consiglio di Stato che qui si commenta, compie questa distinzione anche se una miglior puntualizzazione sarebbe stata opportuna.
La puntualizzazione, invero, concerne il discrimine tra le due funzioni, che è dato dalla delega di funzioni da parte dell’Autorità Giudiziaria penale.
Nel momento in cui l’Autorità Giudiziaria, infatti, raggiunta dalla semplice informativa di possibile reato edilizio ad opera del Comune, acquisisce questa informativa, avvia un procedimento e chiede alla Polizia Municipale o agli Organi o tecnici del Comune di espletare accertamenti specifici secondo determinate direttive, allora l’attività che andranno a svolgere il Corpo di Polizia municipale o gli Organi delegati sarà pertinente al procedimento penale e quindi sottratta all’accesso perché vincolata dal segreto istruttorio. Ma sino al momento in cui il Comune esercita, a seguito dell’esposto del privato, del terzo, o per iniziativa d’ufficio propria, attività di verifica, di sopralluogo, di accertamenti, di rilievi sul presunto abuso, gli esiti di questa attività e anche l’esposto dell’eventuale terzo che ha originato quegli accertamenti sono ostensibili e debbono essere consegnati in copia all’interessato, dietro richiesta ex Legge n° 241/1990. Il diniego di questo rilascio, infatti, darebbe luogo alla specifica actio ad exibhendum disciplinata dalla Legge sull’accesso edalla relativa sentenza di accoglimento del Tribunale.
In questa maniera vengono salvaguardate e contemperate le ragioni di pubblico interesse che muovono il Comune a svolgere gli accertamenti, i sopralluoghi e le verifiche ed anche le ragioni dell’interessato dall’abuso, che può controdedurre, motivare, difendersi in sede amministrativa per prevenire eventualmente i provvedimenti repressivi successivi o per interloquire efficacementenei riguardi di essi.
Massimo Carlin*
*avvocato