Anche nell’ambito dell’ordinamento degli enti locali hanno peso gli indirizzi politici nella formazione e composizione degli organi collegiali. Consegue che il discostarsi dalle linee di indirizzo della formazione politica di appartenenza impone a un assessore che sia stato nominato su designazione di quel gruppo l’onere di adeguarsi e, nella persistenza del dissidio, di dimettersi. In difetto, è legittima la rimozione da parte del Sindaco mediante revoca della nomina.
Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Brescia, sez. I, sentenza 29 marzo 2013, n. 299, Pres. Petruzzelli Est. Sgambato
Il caso
Un sindaco revoca la nomina di un assessore perché il gruppo politico che l’ha designato non condivide il suo operato. L’assessore rimosso impugna il provvedimento, e il giudice amministrativo respinge il ricorso sul rilievo che è venuto meno il rapporto di fiducia che sta alla base della designazione, essendo interesse del gruppo medesimo ad essere adeguatamente rappresentato nell’organo collegiale. Il ricorso aveva affrontato anche altri aspetti: la rimozione dell’assessore, di sesso femminile, avrebbe violato il principio della parità di genere perché in giunta sarebbero rimasti solo assessori maschi, e il procedimento non sarebbe stato preceduto dall’avviso di avvio del medesimo.
La sentenza
La sentenza prende in esame il caso nato da una comunicazione fatta al Sindaco da parte di un movimento politico con la quale si rende noto che vi è dissenso con un assessore, espressione di quel movimento, di natura tale da portare alla considerazione di non sentirsi più rappresentato. Da qui la revoca dell’incarico da parte del Sindaco medesimo.
Il commento
Le questioni portate all’esame del giudice amministrativo sono molteplici (fra esse la non ancora sopita disputa sulla parità di genere), ma l’attenzione cade sulla rilevanza che, anche in sede locale, assumono gli orientamenti politici delle formazioni che concorrono alla costituzione degli organi elettivi. L’autonomia degli eletti sancita dall’articolo 67 della Costituzione per i membri del Parlamento non trova tutela a livello di enti locali, tanto che nella situazione presa in esame vi è un gruppo politico che intende la designazione di un proprio componente come una sorta di mandato per sentirsi rappresentato da costui nell’esercizio della azione amministrativa. E’ su questo aspetto che la sentenza merita qualche riflessione.
Si tratta di stabilire se quando un gruppo politico designa un soggetto perché sia nominato all’interno di un organo collegiale, ha anche un potere di vigilanza e di controllo sul suo operato, al punto da provocarne la rimozione se si discosta dalle direttive che gli vengono impartite dal gruppo medesimo.
Si deve innanzitutto annotare che l’azione amministrativa a livello locale è più legata al contingente, per le scelte che quotidianamente devono essere operate, che a visioni di largo respiro quali costituiscono, o dovrebbero e costituire, il punto di riferimento dell’iniziativa politica. L’unico testo che dovrebbe vincolare l’azione medesima è il documento programmatico sui cui contenuti il Sindaco ha ottenuto il consenso popolare per la sua elezione. Il parametro in base al quale si deve valutare la coerenza degli assessori nella gestione degli affari di loro competenza dovrebbe dunque essere solo questo documento. E’ infatti in base ad esso che si pone in essere un rapporto fiduciario del Sindaco con gli assessori, da lui nominati nella previsione dell’articolo 46 del D. Lgs. 267/2000 per l’attuazione del programma sul quale ha ottenuto adesione con il consenso elettorale. Ed occorre anche considerare il diverso ruolo che la riforma degli enti locali assegna rispettivamente alla Giunta, quale emanazione del Sindaco, e al Consiglio quale organo di indirizzo. Se ai gruppi presenti nel Consiglio, e pure fuori di esso, viene riconosciuta la facoltà di chiedere, e addirittura ottenere, la rimozione di un assessore, si viene a configurare una ingerenza nelle funzioni esecutive della Giunta e a incidere sul rapporto fiduciario che lega il Sindaco ai suoi assessori.
Si è dunque in presenza di una sentenza che merita ulteriori approfondimenti.
Mario Bassani