“Il presidente del consiglio comunale può essere legittimamente revocato se viene meno il necessario rapporto di fiducia sull’imparziale assolvimento, da parte del titolare della funzione presidenziale, dei doveri di “arbitro” e garante delle regole, che ne caratterizzano il ruolo istituzionale”
Tibunale amministrativo regionale per il Veneto, sez. III, sentenza n. 173 del 6 febbraio 2019; Pres. C. Rovis, Est. M. Rinaldi.
A margine
L’ex presidente di un consiglio comunale impugna, dinnanzi al T.A.R., la deliberazione con la quale è stata sancita la sua revoca dalla carica di presidente dell’organo consiliare, deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere. Tale revoca è stata disposta dal consiglio comunale, in quanto ha ravvisato la violazione dei doveri istituzionali nelle seguenti condotte:
“- Riteneva erroneamente di poter avere iniziativa di convocazione autonoma del consiglio comunale che invece compete al Sindaco o a un quinto dei consiglieri comunali;
– Non intendeva iscrivere all’ordine del giorno consiliare le proposte di delibera richieste da parte del sindaco, ma riteneva di poter decidere autonomamente su quali argomenti portare in consiglio comunale, violando in tal modo la neutralità istituzionale propria della funzione;
– Riteneva erroneamente di verificare la legalità della convocazione del consiglio e l’ammissibilità delle questioni da trattare unicamente tramite la conferenza dei capigruppo, mentre tale decisione spetta unicamente allo stesso consiglio;
– Dichiarava unilateralmente chiuso il consiglio comunale ancora in corso senza porre ai voti tale decisione e si assentava senza giustificazione dall’aula consiliare per chiamare i carabinieri, chiedendo loro di interrompere i lavori del consiglio comunale, che nel frattempo erano legittimamente proseguiti con il vice presidente;
– Manifestava anche di recente perdurante incompetenza nella convocazione e nella gestione delle attività consiliari”.
I giudici amministrativi richiamano, innanzitutto, la giurisprudenza che riconosce come legittima la revoca dalla carica di presidente del consiglio comunale se fondata sulla violazione di doveri istituzionali e sul venir meno del ruolo super partes di neutralità politica proprio dell’organo, mentre ne sanziona l’illegittimità se fondata sul preteso venir meno del nesso di fiduciarietà politica con la maggioranza che ha votato l’incarico (Cons. St., sez. V, 25 novembre 1999, n. 1983; 6 giugno 2002, n. 3187; 3 marzo 2004, n. 1042; Tar Campania, Salerno, sez. II, 12 marzo 2001, n. 234).
Nel merito, i giudici riconoscono che “trattasi di fatti che denotano un cattivo esercizio della funzione presidenziale, lesivo della neutralità dell’organo: ponendo in essere siffatte condotte, la ricorrente si è posta oggettivamente in contrasto con i doveri istituzionali del presidente del consiglio comunale, organo super partes“.
Il TAR stabilisce, infine, che “Tale violazione dei doveri istituzionali può ragionevolmente determinare il venir meno della fiducia dell’organo collegiale non già in un inammissibile nesso di fedeltà politica del presidente del consiglio comunale rispetto alla maggioranza consiliare che ebbe ad esprimerlo (nesso di dipendenza che non può sussistere, poiché, altrimenti, verrebbe meno l’imparzialità della carica presidenziale), bensì in quel necessario rapporto di fiducia sull’imparziale assolvimento, da parte del titolare della funzione presidenziale, dei doveri di “arbitro” e garante delle regole, che ne caratterizzano il ruolo istituzionale“.
Ruggero Tieghi