IN POCHE PAROLE …

Non è incostituzionale la temporanea esclusione, sino al 31 dicembre 2024, della responsabilità amministrativa per colpa grave davanti alla Corte dei conti, introdotta per le sole condotte commissive.

Il regime ordinario non potrà però limitarla al solo dolo.

Corte costituzionale, sentenza n. 132 del 17 luglio 2024 –  Presidente Barbera, relatore Pitruzzella


Il caso

La Sezione giurisdizionale per la Regione Campania della Corte dei conti solleva una serie di questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21, co. 2, del d.l. n. 76 del 2020, norma che, come noto, limita, per le condotte commissive, la responsabilità amministrativa alle sole ipotesi dolose.

Il termine finale di questa limitazione è stato più volte modificato, da ultimo fino al 31 dicembre 2024.

La Corte, in veste di giudice a quo, muove numerose censure, articolandole con riferimento ai parametri costituzionali di cui agli artt. 3, 28, 81, 97 e 103 Cost.

 In particolare, ad avvisto del giudice rimettente, la disposizione in parola:

a) esenta da responsabilità amministrativa i pubblici dipendenti che hanno tenuto una condotta attiva gravemente colposa, così incidendo su un «punto di equilibrio» riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale quale «principio generale» e deresponsabilizzando l’operato dei pubblici dipendenti medesimi, in violazione degli artt. 3 e 97 Cost.;

b) pur essendo finalizzata a consentire la ripresa dell’economia penalizzata dalla pandemia, ricomprende qualsiasi condotta attiva e non solo quelle inerenti alla gestione dell’emergenza epidemiologica o in grado di rilanciare il sistema economico, e non distingue tra attività provvedimentali e materiali, e tra condotte causative di danni verso l’amministrazione e verso terzi, in violazione degli artt. 3 e 97 Cost.;

c) opera una «discriminazione irragionevole» tra coloro che hanno la gestione attiva e i compiti «di predisporre i provvedimenti amministrativi» e coloro che hanno obblighi di controllo e vigilanza, i quali ultimi continuano a rispondere anche per condotte commissive connotate da colpa grave, in violazione dell’art. 3 Cost.;

d) discrimina tra i lavoratori del settore privato e quelli del settore pubblico, «perché, rispetto ai primi, i secondi, che già godono di un’esenzione per colpa lieve, risultano ancora più avvantaggiati essendo responsabili solo per condotte attive dolose o omissive gravemente colpose», in violazione dell’art. 3 Cost.;

e) sottrae alla giurisdizione della Corte dei conti le condotte attive gravemente colpose, foriere di danno erariale, in violazione dell’art. 103 Cost.;

f) “svuota” la responsabilità del pubblico dipendente e impedisce all’amministrazione di ricevere adeguato ristoro nel caso di condotte (attive) «che non poco contribuiscono ai deficit dei bilanci pubblici», in violazione degli artt. 28 e 81 Cost.

La sentenza

La Consulta ricorda che la responsabilità amministrativa rinviene la sua fonte normativa nell’art. 82, primo comma, del r.d. n. 2440 del 1923, secondo cui «l’impiegato che, per azione od omissione, anche solo colposa, nell’esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato, è tenuto a risarcirlo»; e ne ricostruisce i tratti salienti, sottolineando che:

  • si tratta di una responsabilità personale, che dà luogo ad un’obbligazione non solidale ma parziaria, il cui debito non è trasmissibile agli eredi, salvo ipotesi specifiche;
  • l’elemento psicologico richiesto per l’integrazione dell’illecito è il dolo o la colpa grave, con esclusione della colpa lieve;
  • in caso di decisioni di organi collegiali, «si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole» e, in caso di «atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi», non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati;
  • la Corte dei conti può esercitare il cosiddetto “potere riduttivo”, potendo porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto;
  • è caratterizzata dall’operare di una estesa compensatio lucri cum damno, posto che il giudice contabile deve tener conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio;
  • il termine prescrizionale è di cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso o dalla data della sua scoperta.

Conclusioni

La Corte costituzionale dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale evidenziando che il riassetto della responsabilità amministrativa recato dalla  legge n. 20/1994 ha rappresentato la componente di un processo riformatore volto a sancire il passaggio verso una “amministrazione di risultato”.

Il legislatore ha voluto promuovere un’amministrazione sempre più investita del compito di scegliere i mezzi di azione ritenuti più appropriati, di ponderare molteplici interessi, di legare in un disegno unitario differenti atti e provvedimenti, e di assicurare l’efficienza, operando in un orizzonte temporale preciso.

Questa discrezionalità, esercitata in un ambiente in cui la complessità è andata crescendo, è divenuta una componente essenziale e caratterizzante dell’amministrazione.

Ma proprio la necessità di scegliere tra un ventaglio ampio di possibilità e in un ambito non più integralmente tracciato dalla legge, ha accresciuto inevitabilmente la possibilità di errori da parte dell’agente pubblico, ingenerando il rischio della sua inazione (1).

La Consulta afferma, quindi, che il sistema della responsabilità amministrativa avrebbe dovuto, per necessità di armonia istituzionale, atteggiarsi in modo differente col cambiare del modello di amministrazione.

Del resto, la tendenza verso un’Amministrazione di risultato è andata consolidandosi nel tempo: una dimostrazione è data dal nuovo Codice dei contratti pubblici, che, nell’enunciare i principi generali che reggono l’azione amministrativa, stabilisce che:

  • il principio del risultato costituisce «criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto, nonché per […] valutare la responsabilità del personale che svolge funzioni amministrative o tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti»;
  • il principio della fiducia «favorisce e valorizza l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato».

Il nuovo Codice opera altresì una tipizzazione della colpa grave rilevante, ponendo a carico dell’amministrazione l’obbligo di attivarsi per la copertura assicurativa dei rischi per il personale.

A quanto sopra vanno ad aggiungersi ulteriori considerazioni emerse negli ultimi decenni, ovvero:

1) i costanti tagli alle risorse finanziarie, umane e strumentali, hanno aumentato il rischio di errore del dipendente pubblico;

2) anche il pluralismo sociale e il pluralismo istituzionale si proiettano nei procedimenti e nelle istituzioni, rendendo sempre più problematica ed esposta a contestazione la ponderazione degli interessi in cui si risolve l’esercizio della discrezionalità amministrativa.

Negli ultimi anni è stata quindi accentuata una “fatica dell’amministrare”, e stimolata, come reazione, la cd “burocrazia difensiva”.

A parere della Consulta, tutto ciò giustifica la ricerca legislativa di nuovi punti di equilibrio che riducano la quantità di rischio che grava sull’agente pubblico, in modo che il regime della responsabilità, nel suo complesso, non funga da disincentivo all’azione.

Una disciplina “provvisoria”, come quella recata dal d.l. n. 76 del 2020, che limita l’elemento soggettivo al dolo, non appare pertanto irragionevole, in quanto motivata da un contesto particolare, in cui la tutela di interessi di rilievo costituzionale ha richiesto che l’attività amministrativa si svolgesse in modo tempestivo, senza alcun tipo di ostacoli.

La limitazione di responsabilità è stata infatti introdotta per fronteggiare le ricadute economiche conseguenti all’emergenza epidemiologica da Covid-19, per realizzare un’accelerazione degli investimenti e delle infrastrutture attraverso la semplificazione delle procedure in materia di contratti pubblici e di edilizia, la digitalizzazione dell’amministrazione, nonché attraverso interventi di semplificazione in materia di attività imprenditoriale, di ambiente e di green economy.

Analogamente, gli successivi slittamenti del termine sono stati motivati per non compromettere, attraverso un’eventuale inerzia, l’attuazione del PNRR, la ripresa della crescita economica ed il superamento di alcuni divari economici, sociali e di genere, e con essi, interessi di grande rilevanza costituzionale, quali il rispetto degli obblighi assunti in sede UE, la tutela dell’ambiente, l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico, l’eguaglianza, la coesione territoriale, ecc..

Indicazioni per il legislatore

Dopo la scadenza del regime provvisorio, il fenomeno della “burocrazia difensiva” sembra destinato a rispandersi con possibili rallentamenti dell’azione amministrativa, a pregiudizio del buon andamento della PA e di altri rilevanti interessi costituzionali.

Secondo la Consulta appare dunque necessaria una complessiva riforma della responsabilità amministrativa per ristabilire coerenza tra la relativa disciplina e le trasformazioni dell’amministrazione e del contesto in cui essa deve operare.

Non si potrà limitare l’elemento soggettivo al dolo (2), ma potranno essere considerati profili diversi da quello dell’elemento psicologico, per rendere più equa la ripartizione del rischio di danno, e alleviare la fatica dell’amministrare senza sminuire la funzione deterrente della responsabilità amministrativa.

Ad esempio, il legislatore potrebbe valutare di:

  • fornire un’adeguata tipizzazione della colpa grave, posto che l’incertezza della sua effettiva declinazione, affidata all’opera del giudice, costituisce uno degli aspetti più temuti dagli amministratori;
  • introdurre un limite massimo oltre il quale il danno, per ragioni di equità, non viene addossato al dipendente pubblico, ma resta a carico dell’amministrazione nel cui interesse questi agisce, anche con la previsione della rateizzazione del debito risarcitorio;
  • modificare la disciplina del potere riduttivo, prevedendo, oltre all’attuale ipotesi generale affidata alla discrezionalità del giudice, ulteriori fattispecie obbligatorie normativamente tipizzate nei presupposti;
  • rafforzare le funzioni di controllo della Corte dei conti, col contestuale abbinamento di una esenzione da responsabilità colposa per coloro che si adeguino alle relative indicazioni;
  • incentivare la stipula di polizze assicurative nell’interesse sia dell’agente pubblico che dell’amministrazione danneggiata;
  • vagliare un’eccezionale esclusione della responsabilità colposa per specifiche categorie di pubblici dipendenti, anche solo in relazione a determinate tipologie di atti, in ragione della particolare complessità delle loro funzioni o mansioni e/o del connesso elevato rischio patrimoniale.

dott.ssa Stefania Fabris, incaricata di EQ

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(1) Per evitare tale pericolo, l’art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 543 del 1996, ha escluso la colpa lieve dalla configurazione dell’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa, che pertanto è stata circoscritta ai casi di dolo o colpa grave.

(2) Limitare la responsabilità alla sola ipotesi del dolo non realizzerebbe una ragionevole ripartizione del rischio, che anzi sarebbe addossato in modo prevalente sulla collettività; inoltre, i comportamenti macroscopicamente negligenti non sarebbero scoraggiati, con un irrimediabile indebolimento della funzione deterrente della responsabilità amministrativa.


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