L’accesso pubblico generalizzato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 33/2013, ha l’esclusiva finalità di “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”, non già di rendere pubblici colloqui privati che esulano dall’esercizio di funzioni istituzionali.

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza, 25 giugno 2018, n. 3907, Presidente Santoro, Estensore Caputo

Il fatto

Una dipendente chiede l’accesso civico ai sensi del d. l.vo n. 97/2016 a:

1) un video in versione integrale del Collegio dei Direttori, trasmesso in diretta in streaming e poi pubblicato sul sito dell’amministrazione, nella parte successivamente “tagliata” relativa ad un colloquio tra il Direttore generale e responsabile prevenzione corruzione e altra dipendente;

2) il provvedimento con il quale sarebbe stato disposto “il taglio” del video inizialmente pubblicato nella versione integrale.

Il Tar Lazio, con sentenza della sez. terza bis, n. 11628/2017 respinge il ricorso sul rilievo che l’accessibilità della ripresa relativa alla pausa pranzo e, in particolare, al colloquio richiesto, non fosse “strumentale al perseguimento delle funzioni istituzionali, all’utilizzo delle risorse pubbliche e promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, quanto piuttosto a ragioni personali della ricorrente che si inseriscono nel quadro dei rapporti con l’altra dipendente coinvolta”.

Pertanto la ricorrente propone appello al Consiglio di Stato.

La sentenza

Il Collegio rileva che la parte tagliata riguarda un colloquio tra i partecipanti alla riunione intrattenuti durante la sospensione dei lavori per la pausa pranzo, ed inavvertitamente filmati.

Della parte di ripresa eliminata, il responsabile del procedimento ha dato formalmente atto di non conservarne la registrazione. Dichiarazione che, in quanto atto pubblico, ai sensi dell’art. 2700 c.c. fa piena prova fino a querela di falso dei fatti compiuti dal dichiarante.

Alla materiale inesistenza della registrazione, ex se ostativa all’accesso ai “ dati e documenti” non (più) “detenuti” dall’amministrazione, va aggiunta anche la considerazione che l’accesso pubblico generalizzato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 33/2013, rivendicato dalla ricorrente, ha l’esclusiva finalità di “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”, non già di rendere pubblici colloqui privati che esulano dall’esercizio di funzioni istituzionali.

Inoltre l’accesso va bilanciato con il diritto alla protezione dei dati personali di cui è parola all’art. 5 bis, comma 2 lett.c), d.lgs. n. 33/2013.

L’art. 5, comma 5, d.lgv. cit., prescrive infatti che “fatti salvi i casi di pubblicazione obbligatoria, l’amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, ai sensi dell’articolo 5-bis, comma 2, d.lgv. cit. è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione” ai fini della eventuale opposizione.

Nel caso in esame non è dato individuare a monte l’interesse pubblico costituente il presupposto ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. 196/2003 per il trattamento dei dati sensibili riguardanti manifestazioni di pensiero fra persone che, in quel particolare momento, non rivestono né esercitano funzioni pubbliche.

Conclusioni

Da ultimo, il collegio evidenzia che, come correttamente sottolineato dal Tar, gli obblighi di tutela dei dati personali sono oggi ancor più pregnanti dopo l’entrata in vigore degli artt. 5, 6 e ss. Regolamento UE 2016/679, laddove ribadiscono l’inderogabilità, neppure in nome della trasparenza e del diritto di accesso, di essi per effetto di disposizioni normative interne di eventuale segno opposto.

Pertanto l’appello è respinto.


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