IN POCHE PAROLE…

Al personale in quiescenza sono conferibili incarichi retribuiti riferibili ad attività di assistenza solo se non assimilabili agli incarichi vietati dalle norme ovvero “incarichi di studio e consulenza”, “incarichi dirigenziali o direttivi” e “cariche in organi di governo”.

Corte dei conti, sezione controllo per il Lazio, bdeliberazione n. 88-2023-PAR, Pres. Mazzera, Est. Ruperto

La ratio del divieto si fonda sul duplice obiettivo di favorire il ricambio generazionale nell’amministrazione e di conseguire risparmi di spesa.

A margine

Il caso –  Il CAL per il Lazio chiede alla Corte dei conti circa l’interpretazione delle disposizioni in materia del conferimento di incarichi al personale in quiescenza, di cui al comma 9 dell’art. 5 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, conv. dalla l. n. 135/2021 e del comma 16-ter dell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001.

In particolare, è richiesto se “è possibile affidare un incarico di supporto, affiancamento e assistenza a titolo oneroso a personale in quiescenza, precisando che l’attività oggetto della prestazione non concernerebbe l’espletamento di funzioni direttive, dirigenziali, di studio o di consulenza; in caso affermativo, ricorrendo a quale istituto”.

Il parere

La Corte ricorda che l’art. 5, comma 9, del d.l. n. 95/2012 conv. dalla l. n. 135/2012, novellato dall’art. 6, comma 1, del d.l. n. 90/2014, conv. dalla l. n. 114/2014, di seguito riformulato dall’art. 17, comma 3, della l. n. 124/2015 prevede che “è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, nonché alle amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (Istat), ai sensi dell’art. 1, comma 2, della l. 31 dicembre 2009, n. 196, di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all’art. 2, comma 2-bis, del d.l. 31 agosto 2013, n. 101, conv., con modificazioni, dalla l. 30 ottobre 2013, n. 125. Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni di cui ai periodi precedenti sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall’organo competente dell’amministrazione interessata”.

In attuazione della norma il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione ha emanato le circolari del 4 dicembre 2014, n. 6 e del 10 novembre 2015, n. 4 che si integrano tra loro, in quanto la seconda si limita a chiarire come neppure utilizzando lo schema elastico dell’art. 90 del Tuel sia possibile, nell’ambito degli enti locali, conferire incarichi dirigenziali o direttivi a soggetti già pensionati”.

La tematica è stata oggetto di varie pronunce della Corte (Sez. contr. Basilicata, n. 38/2018; Sez. contr. Liguria, n. 60/2022 e Sez. contr. Lombardia, n. 126/2022) concordi nel ravvisare la ratio del divieto nel duplice obiettivo di favorire il ricambio generazionale nell’amministrazione e di conseguire risparmi di spesa.

La tassatività delle fattispecie vietate fa sì che le attività consentite per gli incarichi si ricavano a contrario, dovendosi le situazioni diverse da quelle elencate non essere ricomprese nel divieto di legge.

Se il divieto riguarda l’attività di “studio e quella di consulenza”, può ritenersi consentita quella di “assistenza” nei limiti in cui si diversifica dalle altre due: assistenza che non comporti studio e consulenza, ossia attività caratterizzata, in negativo, dalla mancanza di competenze specialistiche e che non rientri nelle ipotesi di contratto d’opera intellettuale di cui agli artt. 2229 e ss. del codice civile (Sez. reg. contr. Basilicata, n. 38/2018/PAR; Sez. reg. contr. Lombardia, n. 126/2022/PAR).

Pertanto la Corte conclude che sono conferibili al personale in quiescenza incarichi retribuiti riferibili ad attività di assistenza purché non assimilabili agli incarichi vietati dalla norma citata ovvero “incarichi di studio e consulenza”, “incarichi dirigenziali o direttivi” e “cariche in organi di governo”.

Infine si rammenta, altresì, che gli incarichi da conferire non devono configurarsi in contrasto con altre disposizioni limitative, come quella del comma 6 dell’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001 con riferimento ai contratti di lavo autonomo.

Le circolari del 4 dicembre 2014, n. 6 e del 10 novembre 2015, n. 4 precisano che:

–  la disciplina citata pone puntuali norme di divieto, per le quali vale il criterio di stretta interpretazione ed è esclusa l’interpretazione estensiva o analogica. Gli incarichi vietati, dunque, sono solo quelli espressamente contemplati: incarichi di studio e di consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi, cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e società controllati. Un’interpretazione estensiva dei divieti in esame potrebbe determinare un’irragionevole compressione dei diritti dei soggetti in quiescenza, in violazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale. Inoltre, ai fini dell’applicazione dei divieti, occorre prescindere dalla natura giuridica del rapporto, dovendosi, invece, considerare l’oggetto dell’incarico;

– il divieto dell’art. 9 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, riguarda anche le collaborazioni e gli incarichi attribuiti ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e dell’art. 90 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, assegnati nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione di organi politici.


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