Con la legge sul procedimento amministrativo del 1990 e, in particolare, con l’art. 15, il legislatore ha individuato uno strumento generale dell’azione amministrativa, il cui utilizzo è rimesso alla discrezionalità della pubblica amministrazione ed il cui contenuto appare libero nelle modalità di attuazione, purché diretto a realizzare interessi pubblici.

Lo schema generaleLa legislazione nazionale, con l’art. 15 comma 1 della L. n. 241 del 1990, ha previsto infatti che le pubbliche amministrazioni possono concludere accordi tra di esse “per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune”. A seguire il comma 2 dispone che: “per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall’art. 11, commi 2 e 3”.

L’elemento primario che caratterizza tali accordi tra soggetti pubblici, detti anche accordi di cooperazione (quale forma di partenariato pubblico-pubblico), è l’esercizio in comune di una funzione pubblica da parte delle amministrazioni coinvolte. E proprio all’accezione di interesse comune la giurisprudenza maggioritaria ha dato un’ interpretazione abbastanza estesa del termine, facendolo coincidere con il perseguimento dell’interesse pubblico da parte degli enti partecipanti all’accordo, conformemente ai loro fini istituzionali. In simil contesto il Tar Lombardia , già nel 2008, aveva chiarito che tale fattispecie non attiene necessariamente ad un interesse patrimoniale dei soggetti pubblici stipulanti ma è funzionalizzata al perseguimento di interessi pubblici la cui tutela è affidata all’esercizio dell’azione amministrativa.

La norma, così formulata, appare estremamente generica, tant’è che essa rinvia esplicitamente all’art. 11 comma 2 della medesima legge sul procedimento amministrativo, disponendo che a tali accordi tra enti pubblici, in mancanza di una diversa disciplina normativa, si applicano i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. In quest’accezione, la manifestazione di volontà delle amministrazioni interessate non si configura come espressione della volontà contrattuale/negoziale fondata sull’autonomia provata, ma come espressione della discrezionalità amministrativa volta a tutelare interessi pubblici. Dunque l’accordo tra gli enti stipulanti costituisce semplicemente un modulo organizzativo dell’agire amministrativo che utilizza un iter procedimentale unico, sostituendo con l’accordo una pluralità di procedimenti condotti in modo autonomo dalle diverse amministrazioni e destinati a sfociare in provvedimenti diversi, ma tra di loro strettamente collegati .

Il partenariato pubblico-pubblico nel codice dei contratti E’ doveroso a questo punto il collegamento con l’art. 5 comma 6 del D.Lgs. n. 50/2016 che prevede latu sensu una forma di partenariato pubblico – pubblico orizzontale, di elaborazione giurisprudenziale (Corte di giustizia UE, già sentenza 9 giugno 2009 C-480/06, sentenza 19 dicembre 2012 C 159/11) posto in essere mediante accordi tra diverse amministrazioni e previsto già dalle direttive europee, in particolare dalla direttiva 2014/24/UE.

Questi specifici accordi non rappresentano una novità assoluta ma rientrano nello schema generale individuato dall’art. 15 della legge sul procedimento amministrativo.

In base al diritto europeo, le amministrazioni pubbliche possono agire e competere sul mercato ma su un piano di parità con gli altri operatori (pubblici o privati) senza beneficiare di alcun vantaggio competitivo e, come vedremo, la possibilità per le pubbliche amministrazioni di staccarsi dalle rigide regole dei contratti pubblici è soggetta a limiti molto forti.

Per cui la possibilità delle amministrazioni pubbliche di concludere accordi di cui alla disposizione generale dell’art. 15 della legge n. 241/90 va letta unitamente all’art. 5, comma 6, del D.Lgs n. 50/2016, il quale tipicizza tassativamente le condizioni in base alle quali un accordo può staccarsi dalle regole dell’evidenza pubblica.

Intanto le parti dell’accordo devono essere soggetti pubblici, considerato che la disposizione normativa si riferisce ad accordi conclusi esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici.

Le ulteriori condizioni di operatività contenute nel predetto art. 5 comma 6 implicano che:
1)l’accordo preveda una cooperazione tra le amministrazioni volta a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune; 2) l’attuazione di tale cooperazione sia retta soltanto da considerazioni inerenti all’interesse pubblico, 3) le amministrazioni partecipanti debbano svolgere sul mercato meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione.

E’ evidente che le due norme,  l’art. 5 comma 6 del D.Lgs n. 50/2016 e l’art. 15 della Legge n. 241/90, debbano essere lette in maniera simmetrica e complementare, posto che l’accordo è sottratto alla procedura di gara solo se soddisfa le condizioni su indicate. Al di fuori di quelle condizioni ogni accordo che abbia una natura patrimoniale o remunerativa deve sottostare alle regole della contrattualistica pubblica. Sicché i soggetti pubblici interessati dall’accordo, pur perseguendo ciascuno il proprio fine istituzionale, devono coordinarsi per la realizzazione di attività di interesse comune.

E’ necessario, in sostanza, un coordinamento sinergico verso attività di comune interesse tra gli enti interessati. Se dunque due amministrazioni pubbliche stipulano una convenzione per finalità apparentemente cooperative ma nell’interesse soltanto di una di esse, allora il servizio che sta alla base dell’accordo deve essere affidato con le regole dell’evidenza pubblica, cioè deve essere posto a gara. Così se alla base dell’accordo che prevede prestazione di servizi vi è la remunerazione soltanto di una parte allora si dovrà attivare la procedura di affidamento secondo il codice dei contratti pubblici. Ciò perché anche le amministrazioni pubbliche vanno incluse tra gli operatori economici sottoposti alle regole della concorrenza ai sensi dell’art. 3 lett. P) del D.Lgs n. 50/2016.

I presupposti necessari per l’utilizzo corretto dell’art. 15 della legge n. 241 del 1990, desumibili già nelle passate pronunce giurisprudenziali della Corte di Giustizia in materia ; di recente erano state riprese e ribadite dalla prassi dell’ANAC nella  delibera n. 918 del 2016, la quale, sulla base della giurisprudenza comunitaria e nazionale, ha precisato che:

– lo scopo dell’accordo deve essere rivolto a realizzare un interesse pubblico comune ai partecipanti, che hanno l’obbligo di perseguirlo come compito principale, da valutarsi alla luce delle finalità istituzionali degli enti coinvolti;
– alla base dell’accordo vi deve essere una reale divisione di compiti e responsabilità pubbliche;
– i movimenti finanziari tra i soggetti che sottoscrivono l’accordo devono configurarsi solo come ristoro delle spese sostenute (o contributo), dovendosi escludere la sussistenza di un corrispettivo per i servizi resi (rectius realizzazione di un profitto, margine di guadagno);
– il ricorso all’accordo non deve interferire con il perseguimento dell’obiettivo principale delle norme comunitarie in tema di appalti pubblici e gli atti che approvano l’accordo devono dare contezza di ciò nella parte motiva.

Tali principi sono stati ben ripresi dal Tar Campania sez. I nella sentenza n. 548/2019.

Si può ben dedurre che né la normativa comunitaria né quella nazionale limitino in alcun modo il potere delle amministrazioni pubbliche di perseguire i propri interessi anche mediante accordi o cooperazione tra di esse: l’unico limite è che tali accordi non abbiano non implichino remunerazione per lo scambio di diritti e obblighi reciproci ma i movimenti finanziari tra gli enti cooperanti devono esistere unicamente come rimborsi per le spese effettivamente sostenute.

Posto quanto sopra detto, oggi le pubbliche amministrazioni nell’ambito del potere discrezionale con cui possono operare, hanno la possibilità di concludere diverse tipologie di accordi:
– quelli di cui all’art 11 della Legge n. 241/1990, ovvero gli accordi integrativi e sostitutivi di provvedimenti, conclusi tra amministrazioni e privati; (Partenariato Pubblico-Privato);
– quelli di cui all’art. 15 della legge 241/90, ovvero accordi di cooperazione finalizzati a disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune, con l’utilizzo delle risorse umane e strumentali in dotazione e in osservanza del 2 e 3 comma dell’articolo 11 per quanto attiene la forma degli accordi e la motivazione. (Partenariato Pubblico-Pubblico);
– quelli previsti dall’art. 5 comma 6 del D.Lgs. n. 50/2016, quale forma di partenariato pubblico – pubblico (rientrante nel quadro generale dell’art. 15 legge 241 /1990) escludente la procedura di gara se gli accordi o la cooperazione tra gli enti sia mossa da esigenze o valutazioni connesse al perseguimento di obiettivi di interesse pubblico.

Il contesto normativo analizzato, pur essendo stato schematizzato dal punto di vista delle fattispecie astratte, diventa di attuazione non immediata quando gli istituti analizzati vanno applicati e riportati nella dimensione empirica.

In attesa di un auspicabile intervento del legislatore che entri in maniera più dettagliata sull’applicazione di tali istituti, le amministrazioni pubbliche dovrebbero dotarsi di proprie linee guida o strumenti similari ove prevedere ambiti di applicazione dei vari accordi, le forme di cooperazione di natura convenzionale e/o altri strumenti amministrativi da adattare caso per caso. Ciò per evitare di incorrere in facili violazioni dei principi costituzionali (art. 97, buon andamento della P.A) e delle norme che reggono l’agire amministrativo.

avv. Maria Iaria – funzionario pubblico


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