IN POCHE PAROLE….
La parità di genere diventa obbligatoria anche nelle liste elettorali dei Comuni sotto i cinquemila abitanti.
Corte costituzionale, sentenza 25 gennaio 2022, n. 62 – Pres. Amato, Red. De Pretis
Il combinato disposto degli artt. 71, comma 3-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e 30, primo comma, lettere d-bis) ed e), del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, risulta incostituzionale nella parte in cui non prevede l’esclusione delle liste che non assicurano la rappresentanza di entrambi i sessi nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.
A margine
Due elettori e componenti di una lista elettorale per il rinnovo di un consiglio comunale di un Comune con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, ricorrono contro la decisione della sottocommissione elettorale che nega la ricusazione dell’altra lista concorrente, in quanto composta senza candidature femminili.
Il Tar per la Campania, con sentenza n. 6185 del 16 dicembre 2020, respinge il ricorso ritenendo che l’art. 2, comma l, lettera c), numero l), della legge n. 215 del 2012, recante modifiche al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL) e al d.P.R. n. 570 del 1960 ((Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), pur prevedendo il controllo e il diretto intervento delle commissioni elettorali circondariali a garanzia della rappresentanza di entrambi i sessi anche nelle liste dei candidati relative ai comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, non appresterebbe tuttavia misure sanzionatorie a carico delle liste che non assicurino tale rappresentanza. Non sarebbe inoltre possibile interpretare in via analogica le disposizioni sulla parità di genere previste per le elezioni nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, per il carattere speciale della disciplina elettorale.
I ricorrenti si appellano quindi al Consiglio di Stato che, con ordinanza del 4 giugno 2021 n. 4294, solleva questioni di legittimità costituzionale:
- sull’art. 71, comma 3-bis, del TUEL che disciplina l’elezione del sindaco e del consiglio comunale nei comuni sino a 15.000 abitanti prevendendo che: «[n]elle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi. Nelle medesime liste, nei comuni con popolazione compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati, con arrotondamento all’unità superiore qualora il numero dei candidati del sesso meno rappresentato da comprendere nella lista contenga una cifra decimale inferiore a 50 centesimi». Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale della disposizione «nella parte in cui non prevede la necessaria rappresentanza di entrambi i generi nelle liste elettorali nei comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti».
- sull’art. 30, primo comma, lettere d-bis) ed e), del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 che disciplina i compiti spettanti alla «Commissione elettorale mandamentale» dopo la presentazione delle candidature nei comuni sino a 10.000 abitanti, nell’ambito del procedimento preparatorio alle elezioni dei consigli comunali. La censura, simmetricamente alla prima, si rinviene «nella parte in cui esclude dal regime sanzionatorio sub specie “esclusione della lista” […] le liste elettorali presentate in violazione della necessaria rappresentatività di entrambi i sessi in riferimento ai comuni con meno di 5.000 abitanti».
La sentenza
La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 71, comma 3-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e 30, primo comma, lettere d-bis) ed e), del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, nella parte in cui non prevede l’esclusione delle liste che non assicurano la rappresentanza di entrambi i sessi nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.
Essa ricorda che la normativa in esame non esclude i comuni più piccoli dall’obbligo della presenza nelle liste elettorali di candidati di entrambi i sessi. Pertanto non si può negare che anche per essi opera una, sia pur minima, misura di garanzia delle pari opportunità di accesso alle cariche.
Tuttavia tale minimale misura di promozione della parità di genere non risulta assistita da alcun rimedio per il caso di violazione dell’obbligo e tale circostanza rende la misura del tutto ineffettiva nella protezione dell’interesse che mira a garantire e, in quanto tale, inadeguata a corrispondere al vincolo costituzionale dell’art. 51, primo comma, Cost.
La riscontrata violazione dell’art. 51, primo comma, Cost non può essere superata nemmeno facendo leva sulla necessità di contemperare l’obiettivo della promozione delle pari opportunità nella vicenda elettorale con altri interessi costituzionalmente rilevanti, quale quello della rappresentatività. Interesse che sarebbe messo in pericolo dalla difficoltà di reperire candidati in numero sufficiente nelle realtà demografiche più piccole.
Si osserva, infatti, che l’obbligo di liste rappresentative dei due sessi, operante per i comuni più piccoli, è assolto con la semplice presenza di un solo candidato di sesso diverso dagli altri, e che, d’altra parte, non diverse obiettive difficoltà di reclutamento di candidati – dell’uno o dell’altro sesso indifferentemente – si presentano negli stessi comuni semplicemente per raggiungere il numero minimo prescritto di candidati della lista, ciò che nondimeno non ha dissuaso il legislatore dal prescrivere comunque il numero minimo (almeno pari ai tre quarti del numero di consiglieri da eleggere) e, soprattutto, dal sanzionare il mancato rispetto di tale condizione con la ricusazione della lista (art. 30, primo comma, lettera e, del d.P.R. n. 570 del 1960).
Le disposizioni contestate risultano poi tanto più censurabili, se si considera la loro palese incoerenza con la ratio della legge n. 215 del 2012, che le ha introdotte al dichiarato fine di «promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali».
Pertanto la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 71, comma 3-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e 30, primo comma, lettere d-bis) ed e), del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, nella parte in cui non prevede l’esclusione delle liste che non assicurano la rappresentanza di entrambi i sessi nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.